Altíssima povertà Regole monastiche eform eforma a di vita vita Homo sacer; IV; IV; I li Regno e la Gloria Per una genealogia teoiogica del/economia e dei governo Homo sacer; n 2
LUSO
dei corpi corpi
Roma Roma sacer, sacer, IV,
2
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-,
NE NERI POZZA EDITORE
Indice
9 Avvertenza I I
,19 2 1
Prologo 1 .L uso I.
dei corp corpii
L'uomo L'uomo senz'opera
48. : , l 2. < Chresis 56
3. L'uso e la cura
65
4. L'uso L'uso deI mondo mondo
78
5. L'uso L'uso di sé
88
6. L'uso abituale
97
7. Lo stru strume mento nto anim animato ato e la la tecnica tecnica
4- La vita vita e una fOrma fOrma genera generata ta vivend vivendo o
La La vita divisa divisa Una Una vita insepar inseparabil abile e dalia sua fOrma fOrma vivente vivente
286
Per 5. Per
unontol unontologi ogia a
298
Esilio 6. Esilio
dello dello stile
di un solo presso presso un solo
7. «Cosi faeciamo"» faeciamo"» I 3I
8. Opera Opera e inoperosi inoperosità tà 9. 11mito 11mito di Er
333
353
Epilogo Epilogo Per una una teoria teoria della della potenz potenza a destitue destituenre nre
Bibliografia Indice Indice dei nomi nomi
I r I
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Do ragazz ragazzino ino di Sparta, Sparta, ehe aveva rubato rubato una una volpe volpe e se rera rera nasco nascosta sta sotto sotto la giacc giacca. a. poich poiché é la gent gente, e, per per la sua sua
piu di quanto stoltezz stoltezza, a, si vergo vergogna gna di uo furto furto piu quanto Doi temiamo la punizio punizione, ne, soppor sopportà tà .che .che essa gli strazia straziasse sse il ventre ventre piuttosto che scoprirsi. MONTAIGNE,
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e la
Essais, I,
. XIV
volpe rubara rubara che il ragazzo
celava sotto V. SERENI,
pannii ipann
e il fianca fianca gli straiiav<;l straiiav<;l ...
Appunt Appuntam ament ento o
a ora insoli insolita ta
Illibero uso dei dei proprio proprio e la cosa cosa piu difficile difficile.. F. HOLDERLIN
1
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Avvertenza
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Coloro che hanno letto e compreso le patti precedenti di quest' opera saptanno che non devono aspettarsi ué uo fiuava inizio nê tanto meno una conclusione. Dccorre, infatti, revocare decisamente in questione il luogo comune, secando cui e buona regala ehe una ricerca CD.minei con una pars destruens e si concluda con una pars con'struens e, inoltre, che le due parti siano sostanzialmente e formalmente distinte. In una ricerca £Iloso£Ica,non soltanto la pars destruens non puo essere separata dalla pars construens, ma questa coincide in ógni punto senza residui con la prima. Una teoria che, nella misura de! possibile, ha sgombratà il campo dagli errori ha, con cio, esaurito la sua ragione d'essere e non puo pretendere di sussistere iri quanto separata dalla prassi. I:arche che l' archeologia porta alla luce non e omogenea ai presupposti che ha neutralizzato: essasi dà integralmente soltanto ne!loro cadere. Lasua opera e la loro inoperosità. Il lettore troverà qui pertanto delle riflessioni su alcuni concetti - uso, esigenza, modo, forma-di-vita, ino perosità, potenza destituente - che hanno £Indall'inizio orientata una ricerca, che, come ogni opera di poesia e di pensiero, nou puà essere conclusa, ma solo abbandonata (e, eventualmente, continuata da altri). Alcuni dei testi qui pubblicati sono stati scritti all'inizio della ricerca, eioe quasi venti anni fa; altri -la maggior parte - sono stati scritti ne! corso degli ultimi einque anni. Il lerrore comprenderà che, in una stesura cosi prolungata ne! tempo, e difEeile evitare le ripetizioni e, a volte, le discordanze.
Prologo
I 1
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I . E curioso come in Cuy Debord una lueida coseienza dell'insujfieienza della vita privata si accompagnasse alia piit o meno consapevole convinzione che vi ftsse, nella propria esistenza o in quella dei suoi amiei, qualcos,!- di unico e di esemplare, che esigeva di essere ricordato e comunicato. Cià in Critique de la séparation, egli evoca cosi a un certo punto come úitrasmissibile «cette clandestinité de la vie privée sur laquelle on ne possede jamais que des documents dérisoires» (DEBORD,p. 49); e,. tuttavia, nei suoi primi film e ancora in Panégyrique, non cessano di sfilare uno dopo l'altro i volti degli amiei, di Asger Jorn, di Maurice WYckaert, di Ivan Chtcheglov e il suo stesso volto, accanto a quello delle donne che ha amato. E non solo, ma in Panégyrique compaio no anche le case in cui ha abitato, il 28 della via delle Caldaie a Firenze, la casa di campagna a Champot, lo square des Missions étrangeres a Parigi (in realtà il I09 della rue du Bac, il suo ultimo indiri=o parigino, nel cui salotto una ft- . tografia dei I984 lo ritrae seduto sul divano di cuoio inglese che sem brava piacergli). vt e qui come una contraddizione centrale, di cui i si tuazionisti non sono riusciti a venire a capo e~insíeme~qual-: cosa di prezioso che esige di essereripreso e sviluppato- ftrse l'oscura, inconfessata coscienza ehe telementa genuinamente politico comista proprio in questa incomunicabile, quasi ridicola clandestinità della vita privata. Poic.hé certo essa - la clandestina, la nostra forma-di-vita - e cosi intima e vicina, che, se proviamo ad affirrarla, ei laseia fra le mani soltanto l'impenetrabile, tediosa quotidianità. E tuttavia, ftrse pro prio ques{omonima, promíscua, ombrosa presenza custodisce il segreto della politica, lâltra fáceia dell'arcanum imperii, su
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L'USO DEI CO RPI
PROLOGO
cui naufragano ogni biograjia e ogni rivoluzione. E Guy, che era cosi abile e accorto quando doveva analizzare e descrivere lejórme alienate dell'esistenza nella società spettacolare, e cosi candido e inerme quando prova a comunicare lajórma della sua vita~ a jissare. in viso e a sfatare il clandestino con cui ha
condiviso jino all'ultimo il viaggio. igni (I978) si 2 . In girum imus nocte et consumimur apre con una dichiarazione di guerra contro il suo tempo e prosegue con unanalisi inesorabile delle condizioni di vita che la società mercantile alIo stadio estremo del suo sviluppo ha istaurato su tutta la terra. Improvvisamente~ tuttavia~ circa a
metà deIjilm, la descrizione dettagliata e impietosa si arresta per lasciare il posto alIa malinconica, quasi flebile evocazione di ricordi e vicende personali, che anticipano l'intenzione dichiaratamente autobiograjica di Panégyrique. Guy rammenta la Parigi della sua giovinezza, che non esistepiit, nelle cui strade e nei cui caffi erapartito con i suói amici alrostinata ricerca di quel «Graal néfàste~ dont person'ne n~avait voulu».
Benché il Graal in questione, <<Íntravisto .fuggevolmente», ma non «incontrato»~ dovesse avere indiscutibilmente un significato politico, poiché coloro che lo cercavano «si sono trovati in grado di comprendere la vita ftlsa alIa luce della vera» (DEIIORD, p. 252), il tono della rievocazione, scandita da cita zioni dall'Ecclesiaste, da amar Khayyam, da Shakespeare e da Bossuet, e altrettanto indiscutibilmente nostalgico e tetro: «À la moitié du chemin de la vraie vie~ nous étions environ-
nés d'une sombre mélancolie, qu'ont exprimée tant des mots railleurs et tristes, dans le cafl de la jeunesse perdue» (lvi, p. 240). Di questa giovinezza perduta, Guy ricorda il disordine, gli amici e gli amori (<
I
,
I
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negli anni settanta. Si vedono poi passare rapidamente le case in cui Guy ha vissuto, l'impasse de Clairvaux, la rue St: ]acques, la rue St. Martin, una pieve nel Chianti, Champot e, ancora una volta, i volti degli amici, mentre si ascoltano le parole della canzone di Gilles in Les visiteurs du soir: «Tristes enfimts perdus, .nous errions dans la nuÍf ... ». E, poche sequenze prima della jine, i ritratti di Guy a I9, 25, 27, 3I e 45 anni. 11nefasto Graal, di cui i situazionisti sono partiti alIa ricerca, concerne non soltanto la politica, ma, in qualche modo, anche la clandestinità della vita privata, di cui il jilm non esita a esibire, apparentemente senza pudore, i «docu menti ridicoli».
3. L'intenzione autobíograjica era, deI resto, già presente nel palindromo che dà il titolo aI jilm. Subito dopo aver evocato la sua giovinezza perduta, Guy aggiunge che nulla ne esprimeva meglio lo scialo di questa «antica frase costruita lettera per lettera come un labirinto senza uscita, in modo che essaaccordaperftttamente lajórma e il contenuto della perdi ta: In girurn irnus nocte et consurnirn ur igni. uGiriamo in
cerchio nella notte e siamo divorati dal.fuoco"». La frase, definita a volte il «verso deI diavolo», proviene, in realtà, secondo una corsiva indicazione di Heckscher, dalla letteratura emblematica e si riftrisce alle ftlene inesorabilmente attratte dalla jiamma della candeIa che le consumerà. Un emblema si compone di una impresa - cioe una frase o un motto - e di un'immagine; nei libri che ho potuto consultare, l'immagine delleftlene divorate dal.fuoco compare spesso, ma non epera mai associata aI palindromo in questione, bensi a frasi che si riftriscono alIa passione amorosa «
in qualche raro caso, all'imprudenza in politica o in guerra (<
che Guy, scegliendo il palindromo come titolo, paragonasse se stesso e i suoi compagni alIefizlene
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L'USO
DEI
CORPI
che, amorosamente e temerariamente attratte dalla luce, sono destinate a perdersi e.a comumarsi ne!fúoco. Nell1deologia tedesca - un'opera che Guy conosceva perfettamente - Marx evoca criticamente la stessa immagine: «ed e cosi che lefil1:fâlle notturne, quando il sole dell'universale e tramontato, cercano la luce della lampada deI particolare". Tanto piu singolare e che, malgrado questa avvertenza, Guy abbia continuato a inseguire questa luce, a spiare ostinatamente lajiamma dell'esistenza singolare e privata. 4. Verso la jine degli anni novanta, sui banchi di una libreria parigina, il secondo volume di Panégyrique, con tenente l'iconografia~ si trovava - per caso oper un'ironica intenzione de! libraio - accanto all'autobiograjia di Paul RictEur. Niente epiu istruttivo che comparare l'uso delle immagini nei due casi. Mentre lejõtograjie dellibro di RictEur ritraevano il jilosojõ unicamente nel corso di convegni accademici, quasi che egli non avesse avuto altra vita aI di fúori di quelli, le immagini di Panégyrique pretendevano a uno statuto di verità biograjica che riguardava l'esistenza dell'autore in tutti i suoi aspetti. «L'illustration authentique" avverte la breve premessa «éclaire te discours vrai ... on saura
donc enjin quelle était mon apparence à diffirentes ages; et quel genre de visages ma toujours entouré; et quels lieux j'ai habités ... ". Ancora una volta, nonostante l'evidente insufficienza e la banalità dei suoi documenti, la vita - la clande stina -
e in
primo piano.
5. Una sera, a Parigi, Alice, quando le dissi che molti giovani in Italia continuavano a interessarsi agli scritti di Guy e aspettavano da lui una parola, rispose: <
.PROLOGO
15
quel son art davvero inaspettato - deI tutto ironico nella sua intenzione biografica e~prima di cancentrarsi con una stra ordinaria veemenza sull'orrore dei «suo tempo»~ questa sorta
di testamento spirituale reitera con lo stesso candore e le stesse . vecchie jõtograjie l'evocazione nostalgica della vita trascorsa. Che cosa significa dunque: on existe? L'esistenza - questo concetto in ogni sensojõndamentale della jilosojia prima dell'Occidente - ha jõrse costitutivamente ache fàre con la vita. «Essere»scrive Aristotele «per i viventi significa vivere».
E, secoli dopo, Nietzsche precisa: «Essere: noi non neabbiamo altra rappresentazione che vivere". Portare alla luce - aI di fúori di ogni vitalismo - l'intimo intreccio di essere e vivere: questo e certamente oggi il compito deI pensiero (e della politica). si apre con la parola Toute la vie des sociétés dam lesquelles regnent les
6. La società dello spettacolo
«vita»
«<
conditions "modernes de production
./annonce eomme une
immeme accumulation de spectacles,,) ejino alia jine lanalisi dellibro non cessadi chiamare in causa la vita. Lo spettacolo, in cui «cià ehe era dírettamente vissuto si allontana in una rappresentazione»~ e dejinito .come una «inversione concre-
ta della vita". «Quanto piu la vita dell'uomo diventa il suo prodotto, tanto piu egli e separato dalla sua vita" (n. 33). La vita nelle condizioni spettacolari e una «fà/sa vita" (n. 48) o una «sopravvivenza" (n. I54) o uno
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L'USO
DEI
CORPI
PROLOGO
cosa si debba intendere per «vita della società» non e chiarito in alcun momento; e, tuttavia, sarebbe troppo jàcile rim proverare all'autore incoerenza iJ imprecisione terminologica. Guy non jà qui che ripetere un atteggiamento costante nella nostra cultura, in cui la vita non e mai dejinita come tale, ma viene di volta in volta articolata e divisa in bios e zoê, vita politicamente qualificata e nuda vita, vita pubblica e vita priva ta, vita vegetativa e vita di relazione, in modo che ognuna delle partizioni non sia determinabile che nella sita relazione alie altre. Ed e , jórse, in ultima analisi proftio l'indecidibilità della vita chejà si che essadebba ogni volta essere politicamente e singolarmente decisa. E l'indecisione di Guy tra la clandestinità della sua vita privata - che, col passar dei tempo, doveva apparirgli sempre piu sjúggente e indocumentabile - e la vita storica, tra la sua biograjia individuale oscura e irrinunciabile in cui essasi iscrive, tradisce e l'epoca" una difficoltà che, almeno nelle condizioni presenti, nessuno puo illudersi di aver risolto una volta per tutte. In ogni caso, il Graal caparbiamente ricercato, la vita che inutilmente si consuma nella jiamma non era riducibile a nessuno dei termini opposti, né all'idiozia della vita privata né all'incerto prestigio della vita pubblica e revocava anzi in questione la possibilità stessadi distinguerle. Ivan Illich ha osservato .che la nozione corrente di vita (non «una vita», ma «la vita» in generale) e percepita come un «jàtto scientifico», che non ha piu alcun rap porto con l'esperienza dei singolo vivente. Essa e qualcosa di anonimo e generico, che puo designare di volta in volta uno spermatozoo, una persona, un'ape, uná cellula, un orso, un embrione. Di questo
In quanto in essasi e insinuato in questo modo un residuo sacrale, la clandestina che Guy inseguiva e diventata ancorapiu inaffirrabile. 11tentativo situazionista
di restituire
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la vita alla politica si urta a una difficoltà ulteriore, ma non e per questo meno urgente. 8. Che significa che la vita privata ci accompagna co me una clandestina? Innanzüutto, ehe essa e separ.ata da noi come lo e un clandestino e, insieme, da noi inseparabile, in quanto, come un clandestino, condivide nascostamente con noi l'esistenza. Questa scissione e questa inseparabilità definiscono tenacemente lo statuto della vita nella nostra cultura. Essa e qualcosa che puo esst!rediviso - e, tuttavia, ogni volta articolato e tenuto insieme in una macchina medica ojiloso jico-teologica o biopolitica. Cosi non e soltanto la vita privata ad accompagnarci come una clandestina nel nostro lungo o breve viaggio, ma la stessa vita corporea e tutto cio che tradi zionalmente si iscrive nella sftra della cosiddetta «intimità»: la nutrizione, la digestione, l'orinare, il defecare, il sonno, la sessualità. .. E il peso di questa compagna senza volto e cosi jórte che ciascuno cerca di condividerlo con qualcun altro e, tuttavia, estraneità e"clandestinità non scompaiono mai dei tutto e permangono irrisolte anche. nella convivenza piu amorosa. La vita e qui veramente come la volpe rubata che il ragazzo nasconde sotto le vesti e non pito conftssare benché gli . dilani atrocemente la carne.
E come se ciascuno sentisse oscuramente che proprio l'opacità della vita clandestina racchiude in sé un elemento genuinamente politico, come tale per eccellenza condivisibile - e, tuttavia, se siprova a condividerlo, essosfUggeostinatamente alia presa e non lascia dietro di sé che un resto ridicolo e incomunicabile. 11castello di Silling, in cui il potere politico non ha altro oggetto che la vita vegetativa dei corpi, e , in questo senso, la cifra della verità e, insieme, del jàllimento della politica moderna - che e , in realtà, una biopolitica. Occorre cambiare la vita, portare lapolitica nel quotidiano - eppure, nel quotidiano, il politico non puo che naufragare. E quando, come avviene oggi, l'eclisse della politica e della sftra pubblica non lascia sussistere che ilprivato e la nuda vita, la clandestina, rimasta solapadrona dei campo; deve, in quanto privata, pubblici=arsi e provare a comunicare i propri non pi" risibili (e, tuttavia, ancora tali) documenti,
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L'USO DEI CORPI
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ehe coincidono ormai immediatamente con essa, con te sue uguali giornate riprese daI vivo e trasmesse sugli schermi ad altri, una dopo l'altra. E, tuttavia, solo se il pensiero.sarà capace di trovare l'elemento politico che si ~ nascosto nella clandestinità dell'esistenza singolare, solo se, aI di là della scissionefia pubblico e privato, politica e biografia, zoe e bios, sarà possibile delinec are i contorni di una forma-di-vita e di un uso comune dei corpi, la politica potrà uscire daI suo mutismo e la biografia individuale dalla sua idiozia, .
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LLUSO
dei corpi
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uomo senz opera,
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. LI. I:espressione «I'uso del corpo» (he tou somatos ehresis) si legge all'inizio della'PiiLitiea di Aristotele (lz54b 18), nel punto in cui si ttatta di definire la natura dello schiavo. Aristotele ha appena affermato che la città ê composta
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L'VOMO .
L'USO DEI CORPI
La risposta passa atttavetso una giustificazione dei comando (<
SENZ' OPERA
23
invece, quelto fra inteltetto e appetito). Ma cio significa, anche, che la relazione fra il padrone e lo schiavo e quelta fra l'anima e il corpo si definiscono a vicenda e che e anche alta prima che dobbiamo guardare se vogliamo comprendere la seconda. L'anima sta ai corpo come il padrone alto schiavo. La cesura che divide la casa dalta città insiste sulfa stessa soglia che separa e, insieme, unisce l'anima e il corpo, il padrone e lo schiavo. Ed e solo interrogando questa soglia che il rapporto fra economia epolitica in Grecia potrà diventare veramente intellegibile.
I.2.E a questo punto che compare, quasi in forma di una parentesi, la definizione dello schia~o come « 1 ' esserela cui opera_e_l'u~ dei corp.9»; --
l'anima comanda al corpo con un comando despotico, mentre !'intelleno comanda all'appetito con un comando
.quegli uomini che differiscono fra Iara come l'anima daI
politico o regale. Ed e chiaro, in questi esempi, che e con-
corpo e l'uomo dalla bestia - e sono in questa condizione
forme alla natura e conveniente per il corpo essere coman-
coloro la cui opera e l'uso dei corpo [oson esti ergon he tou
dato dalI' anima e per la parte passionale essere comandata
sornatoschresis]equesroe il meglio(chepuà venire)daessi
dall'intelletto e dalla parte che possiede la ragione, mentre
[ap' auton
la Iara uguaglianza o la Iara inversione sarebbe nociva ad
i quali e meglio essere comandati
entrambi. .. Lo stesso deve dunque avvenire anche per tut-
comesopraderro[r254br7-2o].
beltiston]
- questi sono per natura schiavi, per con questo comando,
ti gli uomini... [r254b5-r6]. L'idea che l'anima si serva dei corpo come di uno strumento e, insieme, lo comandi erastata jOrmulata da Platone in un passo dellNcibiade (I]Oa I) che Aristotele doveva verisimilmente avere in mente quando cerca di jOndare il dominio deI padrone sullo schiavo attraverso quello dell'anima sul corpo. Decisiva e , perà, la precisazione, genuinamente aristotelica, secondo la quale il comando che l'anima esercita sul corpo non e di natura politica (la relazione «despotica» fra padrone e schiavi e dei resto, come abbiamo visto, una delle tre relazioni che, secondo Aristotele, definiscono l'oikia). H
Cià significa - secondo la chiara distinzione che, nel pensiero di Aristotele, separa la casa (oikia) dalla città (polis) che il rapporto animalcorpo (come quello padronelschiavo) e un rapporto economico-domestico e non politico (com'e,
Il problema di quale sia l' ergon, l'opera e la funzione propria dell'uomo, era stato posto da Aristotele nell'Etica nicomachea. AlIa domanda se vi sia qualcosa come un'opera dell'uomo come tale (e non semplicemente dei falegname, dell'auleta o dei calzolaio) o se l'uomo non sia invece nato senz'opera Cargos), Aristotele aveva qui risposto affermando che «l'opera dell'uomo e l'essere-inopera dell'anima secondo iClogos» (ergori-tinthroJiõu.psy Tanto piu singolare ches erlergeia kat?1logon - I09-Sa e, allora, la definizione dello schiavo come quell'uomo la cui opera consiste soltanto nel1'uso dei .corpõ.-Che lo schiavo sia e resti un uomo e , per Aristotele, fuori que::" stione (anthropos on, «pur essendo uomo» - I254a r6). Cià significa, tuttavia, che vi sono degli uomini il cui ergon non e propriamente umano o e diverso da quello degli altri uomini.
7 ).
24
L'USO DEI CORPI
Già Platone avevascritto che I'opera di ciascun essere (che si tratti di un uomo, di un cavallo o di qualsiasi altro vivente) e «cio che egli e il solo a fare o fa in un modo piu. bello degli altri» (monon ti e kallista ton allon apergazetai - Resp., 353a lO). Gli schiavi rappresentano l'emergere di una dimensione dell'umano in cui l'opera migliore «
he tou somatos chresis
l'opera dell'uomo e l'essere-in-atto dell'anima secondo il lagos
I'operadelloschiavoe l'u~odei corpo, energeia e chresis, essere-in-.opera e uso, sembrano giustapporsi puntualmente come psyche e soma, anima e corpo.
1.3. La corrispondenza e tanto piu. significativa daI momento che noi sappiamo che, nel pensiero di Aristotele, vi e , Erai due termini energeia e chresis, una stretta e complessa relazione. In uno studio importante, Strycker (STRYCKER, PP.I59-I6o) ha mostrato che la classica oppo'sizione aristotelica di potenza (dynamis) e atto (energeia, lett. «essere-in-opera») aveva in origine la forma di un' op posizione fra dynamis e chresis (esserein potenza e esserein uso). Il paradigma dell'opposizione si trova nell'Eutidemo di Platone (28od), che distingue fra il possesso (ktesis) di una tecnica e degli strumenti appropriati senza servirsene e il loro impiego in atto (chresis). Secondo Strycker, Aristotele avrebbe cominciara, sull'esempio dei maestro, col
L'UOMO
SENZ'OPERA
25
distinguere (ad esempio in Top., I30a 19-24) tra il possedere una scienza (epistemen echein) e l'usarla (epistemei chresthai) e avrebbe poi tecnicizzato I'opposizione sostituendo al comune chresis un vocabolo di sua invenzione, sconosciuto a Platone: energeia, essere-in-opera. . In effetti, nelle opere giovanili, Aristotele si serve di chresis e chresthai in un senso simile a quello dei piu. tardo energeia. CosI, nel Protrettico, dove la filosofia e definita ktesis kai chresis sophias, «possesso e uso della saggezza» (DÜRING,fr. B8),Arisratele distingue con cura coloro che posseggono la vista tenendo gli occhi chiusi e coloro che la usano effettivamente e, nello stesso modo, fra chi si serve della scienza e colui che semplicemente la possiede (ivi, fr. B79). Che I'uso abbia qui una connotazione etica e_non solo ontologica in senso tecnico, e evidente nel passo in cui il filosofo cerca di precisare il significara dei verbo chresthai: Úsare\ [chresthai] qualcosa consiste dunque in questo: ~ando vi sia la capacità [dynamis] di fare una sola cosa, questa si faccia; se i~v.ecele.cose possi?ili sono molte, si faccia quella di esse che e la rnigliore, come avviene per l'uso dei Hauri, quando qualcuno usa il fl~uto nel modo unico e rnigliore... Si deve dire, pertanto, ehe usa colui che usa cettamente, poiché per eolui che usa rettamente son~ pres~n.ti tanto il fine ehe la eonformità alIa natura [fr. B84].
Nelle opere piu. tarde, Arisratele continua a servirsi dei termine chresis in un senso simile a quello di energeia e, tuttavia, i due termini non sono semplicemente sinonimi, ma vengono spesso afliancati quasi per integrarsi e completarsi a vicenda. Cosi, nei Magna moralia, dopo aver affermato che «l'uso e preferibile all'abito» (hexis, che indica il possesso di una dynamis o di una techne) e che «nessuno'vorrebbe avere la vista se non puo vedere e deve tenere gli occhi chiusi», Aristotele scrive che <
26
L'UOMO SENZ'OPERA
.L'USO DEI CORPI
i Greei e i Romani potessero vedervi un fenomeno di
nella Politica (estin eudaimonia aretes energeia kai chresis tis teleios, «la felicità e un essere-in-opera e un certo uso perfecto della vinu» - Pol., 1328a38) mostra ehe i due termini sono, per AristoteIe, insieme simili e distinti. Nella definizione delIa felicità, l' essere-in-operae l'essere-in-uso, prospectiva ontologica e prospectiva etica si integrano e eondizionana a vieenda. . Poiché AristoteIe non definisce iI termine energeia se non in modo negativo rispetto alla potenza (esti d' he energeia to hyparchein to pragma me outos hosper legomen dynamei, « e energe.ia I'esistere di una cosa, ma non nel senso in cui diciamo ehe essa e in potenza» - Metaph., 1048a 31), tanto piu urgente sarà provare a comprendere, in questo contesto, il significato de! termine chresis (e dei verbo eorrispondente chresthai). E cerro, in ogni caso, che I'abbandono aristoteIico de! termine chresis a favore di energeia come termine chiave dell'ontologia ha determinato in qualche misura iI modo in cui la filosofia occidentale ha pensata l'essere come attualità.
altro ordine, che richiedesse una concettualizzazione de! tutto diversa dalla nostra, sembra irrilevante. Tanto piu scandaloso appare allora ai modemi iI fatto che i filosofi antichi non solcanto non abbiano problematizzato la schiavitu, ma sembrino accettarla come ovvia e naturale. Capita cosl di leggere, all'esordio di un' esposizione recente della teoria aristotelica della schiavitu, che questa presenta aspetti francamente «ignobili», mentre la piu e!ementare cautela metodologica avrebbe dbvuto suggerire, piuttosto che lo scandalo, un' analisi preliminare de! contesto problematico in cui iI filosofo iscrive la questione e della concettualità attraverso la quale egli cerca di
N Come il tenere gli occhi chiusi, cosi anche il sonno in Aristotele e per eccellenza il paradigma dellapotenza e della
hexis, e, in questo semo, esso e cO"f!trappostoe subordinato all'uso, assimilato invece alIa veglia: «L'esistenza tanto deI sonno che della veglia implica quella dellanima; ma la ve glia e simile aI sapere in atto, il sonno a un avere senza esercitare» (echein kai me energein - De an., 4I2a 25). L'in firiorità deI sonno, in quanto figura della potenza, rispetto all'energeia e affirmata 'con ancora piu decisione nelle opere etiche: «Che la filicità sia un'energeia, si vede da questo: se un uomo passa la vita a dormire,' non lo diremmo certofilice. Egli ha, injàtti, il vivere, ma non il vivere secondo virtu» (M. Mor., n85a 9-I4).
1.+ Negli studi modemi sulIa schiavitu neI mondo antieo, il problema - con un singolare anacronismo, visto che gli antichi mancavano persino dei termine corrispondente - e considerato unicamente socto iI pro filo dell' organizzazione dei "lavoro» e delIa produzione. Che
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definirne la natura. Della teoria aristote!ica de!la schiavitu esiste, fonunatamente,una lettura esemplare, che si sofferma sul carattere de! tucto speciale della tractazione che iI filosofo fa de! problema. In un saggio de! 1973,Victor Goldschmidt mostra che Aristote!e rovescia qui la sua metodologia abituale, secondo cui, di fronte a un fenomeno, oecorre prima ehiedersi se esso esista e solo suecessivamente provare a definirne I' essenza. Rispetto alIa schiavitu, egli fa esactamente il contrario:ne deflnisce prima - in verità, piuttosto sbrigativamente -1'essenza (lo schiavo e un uomo che non e di sé, ma di un altro) per passare poi a interrogarne I' esistenza, ma anche questo in un modo affatto particolare. Ladomanda non riguarda, infatti, l'esistenza e la legittimità della schiavitu cometale, ma iI «problema fisico» della schiavitu (GOLDSCHMIDT, p. 75):si tracta, cioe, di stabilire se esista in natura un corpo corrispondente alIa dejinizioné delto schiavo. Linchiesta non e, cioe, dialectica, bensl fi-' sica, ne! senso in cui Aristote!e distingue neI De anima (403a 29) iI metodo de! dialectico, che definisce, ad esem pio, la colleracome un desiderio di vendecta, da quello de! Jisico, che vedrà in essa solcanto un ribollire de! sangue intorno al cuore. Raccogliendo e svolgendo iI suggerimento di Goldschmidt, possiamo allora affermare che la novità e la specificità della tesi aristotelica e che iI fondamento de!la
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L'USO DEI CORPI
schiavitu ê di ordine strettamente «fisico»e non dialettieo ehe essa puo, cioe , sol tanto consistere in una differenz~
corporea rispetro aI corpo delI'uomo libero. La.domanda diventa a questo punto: «esiste quaIcosa come un corpo (delIo) schiavo?». La risposta e affermativa, ma con tali restrizioni, che ci si e potuto legittimamente chiedere se la dotrrina di AristoteIe, che i moderni hanno sempre inteso come una giustificazione della sehiavitu, non dovesse invece apparire ai suoi contemporanei come un attaceo (BARKER, p. 369).
L'UOMO
SENZ'OPERA
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differenza corporea fra lo schiavo e iI padrone?». Questa domanda implica almeno in via di principio I'idea che sia possibile un altro corpo per I'uomo, che iI corpo umano sia costitutivamente diviso. Cercare di comprendere che cosa significa «uso deI corpo» significherà anche pensare que6t'altro possibile corpo delI'uomo. ~ L'idea di un jóndamento «fisico» della schiavitu e ri presa senza riserve secoli dopo da Sade, che mette sulle labbra deI libertino Saint-Fond questa perentoria argomentazione:
La natura - scrive Aristotele - vuole [bouletai] rendere dif-
Guarda le opere della natura e considera tu stesso Festrema
ferenti i corpi degliuomini Iiberida queIli degli scbiavi,
différenza che la sua mano ha posto nella jórmazione degli uomini nati nella prima classeripadroni] e quelli nati nella
facendo questi forti per l'uso necessario (pros ten anankaian chresin] e i primi, invece, dritti di statura e inadatti per questo tipo di opere e adatti alIa vita politica ... ma capita spesso il contrario e alcuni hanno solo iI corpo dei . liberi e altri l'anima. Ê evidente, infatti, che se gli uomini liberi fossero diversi quanto aIcorpo come lo sono le statue degli dei, tutti converrebbero ehe quelli che sono inferiori meritano di servirli come schiavi. E se questo e vero per II
seconda fi servi]. Hanno forse la stessa voce, la stessa pelle, le stesse membra, la stessa andatura,
gli stessi gusti e - oserei
dire - gli stessi bisogni? E vano obiettare che a stabilire queste dijferenze sono stati illusso e l'educazione e che, nello stato di natura, gli uni egli altri sono assolutamente simili fin dalFin fanzia.
lo lo nego, ed e sia per averlo notato io stesso che per
averlo fatto osservare da abili anatomisti che affermo che non
corpo, sarebbe ancora piu giusto affermarlo per l'anima;
vi e alcuna somiglianza
ma Ia bellezza deU'anima non e altrettanto facile da vedere
altri. .. Non dubitate piit, juliette, di queste disuguaglianze
chequeIladeIcorpo [Pol., 1254b28sqq.].
ne!la conformazione degli uni e degli
e, visto che esse esistono, non dobbiamo
esitare ad approfit-
tarne e a convincerci che, se la natura ha voluto firei
La concIusione che Aristotele immediatamente ne trae e , pertànta~ incerta e parziale: «Echiara [phaneron, che qui non indica in alcun modo una concIusione 10gica, ma vale piuttosto: " ê un farto"] che vi sono alcuni [tines] che sono Iiberi per natura e altri che sono schiavi, e per questi ultimi servire conviene ed e giusto [symphere, to douleuein kai dikaion estin]» (1255a1-2). Come egli
npete poche righe dopo: «Ianatura vuole [bouletai] fare qu~sto [scil. che da un genitore nobile e buono venga un figllOslmlle ad esso], ma non lo puà [dynatai] sempre» (1255b 4). Lungi dalI'assicurarIe un fondamento certo, la trattazione «fisica»deIla schiaviru lascia senza risposta la sola domanda che avrebbe poturo fondarla: «esiste o no una
nella prima
di queste due classi d'uomini,
e perché
nascere
possiamo
godere come ci aggrada de! piacere di incatenare Faltro e di farlo despoticamente servire a tutte le nostre passioni e a tutti i nostri bisogni.
La riserva di Aristotele e qui scomparsa e la natura realizza immancabilmente cib che vuole: la diffirenza corporea fia padroni
e schiavi.
1.5.Tanto piu sorprendente e che Goldschmidt, .dopo aver registr~to con tanta precisione il carattere «:fisico» deU'argomentazione aristotelica, non la metta in alcun
modo in reIazione con la definizione delIo schiavo in termini di «uso deI corpo» che immediatamente precede
L'UOM O 30
L'USO
DEI
né tragga da questa alcuna conseguenza quanto alIa concezione stessa della schiavitu .. E possibile, invece, che la comprensione della strategia che spinge AristoteIe a concepire in modo puramente «fisico»l' esistenza dello schiavo si dischiuda soltanto se si cerca preliminarmente di intendere il significato della formula {(1'uomola cui opera e l'uso dei corpo». Se AristoteIe riduce il problema dell'esistenza dello schiavo a quello dell' esistenza dei suo corpo, do e forse perché la schiavitu definisce una dimensione dell'umano (che lo schiavo sia un uomo e , per lui~fuori di dubbio) affatto singolare, che il sintagma «uso dei corpo»
cerca di nominare. Pet comprendere che cosa AristoteIe intenda con questa espressione, converrà leggere il passo, di poco precedente, in cui la definizione della schiavitu si incroda con la questione dei suo essere giusta o violenta, per natura (physei) o per convenzione (nomoi) e col problema dell'amministrazione della casa (Iz53b 20-I254a I). Dopo aver ricordato che, secondo alcuni, il potere dei capofamiglia sugli schiavi (to despozein) e contro natura e quindi ingiusto e violento (biaion), AristoteIe introduce una comparazione fra lo schiavo e i ktemata, le suppellettili (gli arnesi, neI senso ampio che questo termine ha in origine) e gli strumenti (organa) che fanno parte dell'amministrazione di una casa: Linsieme dellesuppellettili [ktesis]e parte dellacasae !'arte di usare le suppellettili [ktetike] e parte dei!'economia (senza le cose neeessarie e , infatti, impossibile
sia vivere
che vivere bene). Come per ogni tecnica determinata
e
necessario, se un'opera deve essere compiuta, ehe vi siano degli strumenti propri [oikeia organa], cOSIavviene anche per coIui che amministra
una casa [oikonomikoi]. Degli
srrumenti, alcuni sono inanimati, alrri animati (per chi comanda una nave, il timone e inanimato, l'ufficiale di prua ê, invece,
SENZ'OPERA
CORPI
animato; nelle teeniche, I'aiutante [hyperetes] esi-
ste neHa forma di uno strumento). AlIo stesso modo anche
la suppellettile [ktema] e uno strumemo per la vita [pros zoen] e l'insieme delle suppellettili [ktesis]e una moltitu-
dine di strumenti e anche lo schiavo
e in
un certo senso
una suppellettileanimata [ktema ti empsychon] e l'aiutante e come
ganon,
uno strumento per gli srrumenti [organon pro orovvero uno strumento ehe viene prima degli alrri
strumenti]. Se lo strumento potesse compiere la sua opera a comando o provvedendovi
in anticipo, come le statue.
di Dedaloo i tripodi di Efesto, i quali, secondoil poeta, enrravano da soli [automatous]
nel consesso degli dei, e se
alIo stesso modo le spole tessessero da sole e i plettri suonassero la cetra, allora gli architetti non avrebbero bisogno di aiutanti né i padroni di schiavi.
Lo schiavo e qui paragonato a una suppelletrile o a uno st~1iP:t~!1to_
termine ktema, che abbiamo reso con «suppeltetti-
le», viene spesso tradotto come «oggetto di proprietà». Questa traduzione e jUorviante, perché suggerisce una caratterizza zion.e in termini giuridici che manca nel termine greco. Forse la dejinizione piu esatta deI termine e quelta di Senofimte, che spiega ktema come «cio che e vantaggioso per la vita di ciaseuno», precisando ehe e vantaggioso «tutto cià di eui si sa /are uso» (Oec., VI, 4). II vocabolo, com'e deI resto evidente nei passi seguenti deI testo di Aristotele, rimanda alta sfera dell'uso e non a quella delta proprietà. Nella sua trattazione deI problema delta schiavitu, Aristotele sembra, cioe, inten zionalmente evitare la dejinizione delta schiavitit in ter,!,ini giuridici che ci aspetteremmo come la piu ovvia per spostare la sua argomentazione sul piano delt'«uso deI corpo». Che anche nella dejinizione delto schiavo come «l'uomo che non e di sé ma di altro», la contrapposizione autou/allou non vada
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L'UOMO
L'USO DEI CORPI
in tesa necessariamente in termini di proprietà e provato oftre che dalfatto ehe «essereproprietario di sé>,non avrebbe senso - anehe dall'analoga fOrmula che Aristotele usa in Metaph., 982b 25, dove essa rimanda alfa sfera delf'autonomia e non a quelfa delfa proprietà: "Come diciamo libero l'uomo che e in vista di sé e non di un altro lho autou beneka kai me 'allou on], alfo stesso modo diciamo che la saggezza e la sola scienza libera». 1.6. Subiro
dopo, Aristotele, con un decisivo svolgimento, coUegail tema deUo strll~ellto a quello deU'uso: Gli strumenii appena menzionati
[le spole e i plettri] so-
no organi produttivi [poietikà organa], la suppellettile ê,
invece, uno strumento pratico [praktikon]. Dalla spola, infatti, si genera qualcosa alue al suo uso [heteron ti gi netai parà ten chresin autes], dalla veste e dalletto,
invece,
soltanto fuso [he chresis monon]. Dal momento che produzione [poiesis] e prassi (praxis] sono differenti per specie e entrambe hanno bisogno di srrumenti, e necessario che anche negli strumenti si rrovi la stessa differenza. 11modo
SENZ'OPERA
33
I..:assimilazionedello schiavo a una suppellettile e a uno strumento e qui svolta distinguendo innanzitutto gli strumenti in strumenti produttivi e st.rumenti d'uso (ehe
non producono j,:U:Ua,senoÍ1illoro us~). NelI' espressione «~só---a.e-l earp-q»,uso deve essere inteso, pertanta, in senso
n õ n prõdUtti;'o, ma pratico: l'uso~del
corpo dello schiavo e . simile a quelfo dei letto o delfa veste, e non a quelfo della spola o dei plátro. '
, Noi siamo a tal punto abituati a pensare l'uso e la strumentalità in ~unzionedi uno seapo esterno, ehe non
d e fadle intendere una dimensione dell'uso deL tUttO indirendente da un fine, qual e quella suggerita da Aristoteie:-per-;:'c;i anch': il letto serve' a I dposo e la veste a ,riparard dal freddo. AlIo stesso modo, siamo abituati a considerare il lavoro degli schiavi alia sttegua di quello, eminentemente produttivo, deU'operaio moderno. Una prima, neeessaria preeauzione e , pertanto, quella di sottrarre "l'uso dei corpo» dello schiavo alia sfera della poiesis
e della produzione, per restituiria a queUa - secondo Aristotele per definizione improduttiva - della prassi e dei modo di vita.
di vita [bios] e una prassi e non una produzione; pertanto lo schiavo ê un aiutante per le cose della prassi. Ora «suppellettile» ha lo stesso significato di .«parte» [morion, «pezzo», cio che appartiene a un insieme] e la parte non ê sempllcemente parte di qualcos'altro [aliou]' ma ne fa par.te integralmente [holos-- alcuni manoscritti hanno haplos, «assolutamente», o, con espressione ancora riu forre, ha pios holos, «assolutamente e integralmente»]. Lo stesso puo
fra l'operazione che produce qualcosa N La distinzione di esterno e quelfa da cui risufta soltanto un uso doveva essere cosi importante per Aristotele, che egli la svolge in una prospettiva propriamente ontologica nellibro 1heta della Metafisica, dedicato ai problema della potenza e delf'atto . Topera [ergon] - egli scrive ~
e
ilfine
e l'essere-in-opera
dirsi per la suppellettile.Per questoil padrone e soltanto padrone dello schiavoe non e [parte] di essa; lo schiavo
[energeia] e un'opera, e da questa deriva il termine essere-in-
non ê soltanto schiavo dei padrone, ma ê integralmente
certi casi, il fine ultimo e ruso [chresls], come avviene nella
[parte]di essa. Quali sianola natura [physis]e la potenza [dynamis] dello
opera, che significa anche possedersi-nel-fine [entelecheia]. In vista [opseos] e nella visione /horasis], in cui non si produce . altro che una visione; in altri, invece, viene prodotto
schiavo ê pertanto evidente: colui che, pur essendo uomo
co/altro,
ad esempio Farte di costruire produce,
[anthropos on], ê per natura di un altro, ê schiavo per na-
zione di costruire [oikodomesinj,
tura; ed e di un altro l'uoIDo che, pur essendo liomo, e
quei casi, dunque,
una suppellettile, doê uno strumento pratico e separato
alfuso, l'essere-in-opera e nella cosaprodotta:
[organonpraktikon kai ehoriston] [I254a 1-17].
struire e nella cosa costruita e iazione
qual-
oltre al/'a-
anche la casa... In tutti
in cui vi e produzione
di qualcosa oltre lazione di co-
di tessere nel tessuto...
34
L'UOMO
L'USO DEI CORPI
AI contrario~ in quelle [operazioni] opera oltre alressere-in-opera~
in cui non vi e alcuna
in esse risiede ressere-in-opera~
nel senso in cui la visione e nel vedente e la contemplazione
[theoria] in colui che contempla e la vita nellanima" (Metaph., r050a 2r - r050b r).
Aristotele sembra qui teorizzare un eccessodell'energeia sull'ergon, dell'essere-in-opera sull'opera, che implica in qualche modo un primato delle operazioni in cui non si produce altro che l'uso su quelle poietíche, la cui energeia risiede in' un~opera esterna e ehe i Greci tendevano a tenere in 'scarsa considerazione. E certo, in ogni caso, che lo schiavo, il cui ergon consiste so!tanto nell'«uso delcorpo», andrebbe iscritto, da questo punto di vista, nella stessa classe in cui jigurano la. visione, la contemplazione
e la vita.
1.7. I.:assimilazione dello schiavo a un ktema implica, per Aristotele, che esso sia parte (morion) dei padrone, e parte in senso integrale e costitutivo. Il termine ktema che, come abbiamo visto, non e un tennine tecnico deI diritto,. ma deU' oikonomia, non significa «proprietà» in senso giuridico e designa, in questo contesto, le cose in quanto fanno parte di un insieme funzionale e non in quanto ap partengono in proprietà a un individuo (per quest'ultimo senso, un greco non direbbe ta ktemata, ma ta idia). Per questo Aristotele puà considerare, come abbiamo visto, ktema come sinonimo di morion e ha cura di precisare che lo schiavo «non soltanto e schiavo dei padrone, ma ne e integralmente parte» (1254a13).Nello stesso senso, occorre restituire al termine greco organon la sua ambiguità: esso indica tanto lo strumento che I'organo in quanto parte dei corpo (scrivendo che lo schiavo e un organon praktíkon kai choriston, Aristotele gioca ovviamente sul doppio senso dei termine). Lo schiavo e a tal punto una parte (dei corpo) dei padrone, nel senso «organico}) e non semplice,mente strumentale dei termine, che Aristotele puà padare di una «comunità di vita» fra schiavo e padrone (koinonos zoes _ 1260a 40). Ma come dobbiamo intendete, allora, I'«uso
SENZ' OPERA
35
dei corpo» che definisce I'opera e la condizione dello schiavo?E come pensare la «comunità di vita» che lo unisce al padrone? NeI sintagma tou soma tos chresis, il genitivo «dei corpo» non va inteso soltanto in senso oggettivo? ma anche (in analogia ali'espressione ergon anthropou psyches energeia dell'Etica nicomachea) in senso soggettivo: nell'uomo schiavo, il corpo e in uso come, nelruomo libero, l'anima e in opera secando ragione. La strategia che porta Aristorele a definire lo schiavo come parte integrante dei padrone mostra a questo punto la sua sottigliezza. Mettendo in uso il proprio corpo, lo schiavo e , per cià stesso, usato dal padrone, e, usando il corpo dello schiavo, il padrone usa in realtà il proprio corpo. Il sintagma «uso dei corpo» non soltanto rappresenta un punto di indifferenza fra genitivo soggettivo e genitivo oggettivo, ma anche fra il corpo proprio e quello dell'altro. N E opportuno leggere la teoria della schiavitit che.ab Mamo jin qui delineata alla luce dell'idea di Sohn-Rethel, secondo cui nello sfruttamento di un uomo da parte di un altro avviene una rottura e una trasjormazione nel rapporto immediato di ricambio organico fra il vivente e la natura. Alia relazione dei corpo umano con la natura, si sostituisce cosi una relazione degli uomini fra di loro. Gli sfruttatori vivono, cíoe, dei prodotti dellavoro degli sfruttati e il rapporto produttivo fra uomo e natura diventa oggetto di une relazione fia uomini, in cui la relazione stessa e reifieata e appropriata. < < lI rapporto produttívo uomo - natura diviene l'oggetto di un rapporto uomo - uomo, viene assoggettato ai suo ordinamento e alia sua legge epercía "snaturato" rispetto allo stato "naturale'; per realizzarsi in seguito solo secondo la legge delle jórme di mediazione che rappresentano la sua negazione affirmatí-
va» (ADORNO,SOHN-RETHEL,p. 32). Nei termini di Sohn-Rethel, si potrebbe dire che quel che avviene nella schiavitu e che il rapporto deI padrone con la natura, come Hegel aveva intuito nella sua dialettíca per if.riconoscímento di sé, e ora mediato dalmpporto dello
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L'USO DEI CORPI
L'UOMO
schiavo con la natura. 11corpo dello schiavo nel suo rapporto di ricambio organico con la natura viene cioe usato come medio deI rapporto deI corpo deI padrone con la natura. Si puo chiedere, tuttavia, se mediare la propria relazione con la natura attraverso la relazione con un altro uomo non siafin dall'inizio proprio dell'umano e se la schiavitu non contenga una memoria di questa originale operazione antropogenetica. La perversione comincia soltanto quando la relazione reciproca d uso viene appropriata e reificata in termini giuridici attraverso la costituzione della schiavitit come istitu zione sociale. 7
7
7
Benjamin ha dejinito una volta la giusta relazione con la natura non come «dominio delruamo sulfa natura», ma come «dominio del rapporto fra l'uomo e la natura». Si puo dire, in questa prospettiva, che,.mentre il tentativo di padroneggiare il dominio dell'uomo sulla natura dà luogo alie contraddizioni di cui l'ecologia non riesce a venire a capo, un dominio della relazione fra uomo e natura e resopossibile proprio dal.fàtto che la relazione dell'uomo con la natura non e immediata, bensi mediata dalla sua relazione con altri uomini. 10 posso costituirmi come soggetto etico dei mio rapporto con la natura soloperché questo rapporto e mediato daI rapporto con altri . uomini. Se, pero, io cerco di appropriarmi, attraverso quella che Sohn-Rethel chiama «socializzazione jimzionale», della mediazione attraverso l'altro, allora la relazione d'uso decade in sfruttamento e come la storia dei capitalismo mostra a suf jicienza, lo sfruttamento e dejinito dall'impossibilità di essere padroneggiato (per questo l'idea di uno sviluppo sostenibile in un capitalismo «umanizzato» e contraddittoria).
SENZ'OPERA
37
Ciô e tanto piu sorprendente, in quanto - come Jean-Paul Vernant ha mostrato in uno studio esemplare (VERNANT, VIDAL-NAQUET, pp. 28-33)- il mondo classico non considera mai l' attività umana e i suoi prodotti daI punto di vista dei processo lavorativo che essi implicano, ma solo da quelIo dei suo risultato. Yan Thomas ha cosi osservato éhe i contratti di opera non determinano mai
il vaIare delI'oggetto commissionato secando la quantità di lavoro che essa richiede, ma solo secondo i caratteri propri delI'opera prodotta. Gli storici dei diritto e delI'economia sogliono, per questo, affermare che il .mondo classico non conosce il concetto di lavoro. (Sarebbe piu esatto dire che essa non lo distingue dalI'opera che esso produce). La prima volta - questa ê la scoperta di Yan Thomas - che,neI diritto romano, qualcosa come un lavara appare come una realtà giuridica autonoma7 e nei contratti di locatio operarum delIo schiavo da parte di chi ne avevala proprietà a - nel caso secando Thomas esem-
pIare -l'usufrutto. E significativo che l' isolamentO di qualcosa come un «lavoro" delIo schiavo sia potuto avvenire soltanto separando concettualmente l'uso (usus) - che non poteva essere alienato dalI'usuarius e coincideva con l'uso personale dei corpo delIo schiavo - dai fructus, che il fructuarius poteva alienare sul mercato:
7
Illavoro a cui ha diritta l'usuarius si confonde con l'uso personale o domestico ehe egli ha dello schiavo - un uso ehe esclude il profitto mereantile. Illavoro a eui ha diritto ilfructuarius
1.8. Si
puà, al contrario, essere alienato sul mereato
riRetta alIa singolare condi2Íone delI'uomo il cui ergon ê I'uso dei corpo e, insieme, alIa natura particolare di questo «USO". A differenza dei calzolaio, dei falegname, delI'auleta o delIo scultore, lo schiavo, anche se esercitasse queste attività -' e Aristotele sa perfettamente che ciõ poteva avvenire nelI'oikonomia delIa casa- ê e rimane
in cambio di un prezzo: puà essere dato in locazione. In
essenzialmente senz'opera, nel senso che, a di.fferenzadi quanto avviene per I'artigiano, la sua prassi non e definita
per cOSIdire in natura, che potremmo chiamare un lavora
dalI'opera che produce, ma solo dalI'uso dei corpo.
re le sue operae, separate da lui, rappresentano una «cosa>}
entrarnbi i casi, ehe si tratti, cio e , di uso o di usufrutto delIo schiavo, questi in concreto lavora. Ma la sua attività, ehe la língua com une chiamerebbe il suo lavaro, nan ha per il diritto lo stesso valore. O lo sehiavo resta a disposizione dell'usuario in persona: si tratta, alIora..di un servizio d'uso, nel senso in cui si parl;3di un vaIare d'uso. Oppu-
L'USO
DEI
L'UOMO
CORPI
39
.priva di un'opera propria e non poreva pertanro esserevalutata in base ai suo ergon, come avveniva per l' artigiano. Proprio perché il suo ergon e l'uso de! corpo, lo schiavo e essenzialmente argos, privo di opera (almeno ne! senso poietico de! termine).
alienabile a dei terzi, nella forma giuridiea di ull eontratto. Per l'usufruttuario, si tratterà allora soltanto di una rendita monetaria. Al lavoro d'uso, si aggiunge in questo modo un lavara ehe si p u o definire una meree, nel senso in eui si parla di valare rnereantile [THOMAS I, p. 222; cfr. THOMAS2, p. 227].
LUso dello schiavo, anche quando il proprietario lo ha ceduto ad altri, resta sempre inseparabile dall'uso de! suo corpo. ,
SENZ' OPERA
°
1.9. La particolare natura dell'uso de! corpo clello schiavo appare con evidenza iOn" una sfera che e curiosamente sfuggita alI'attell;zione degli storici. Ancora" ne! 1980, ne! suo studio su Ancient slavery and modern ideology, Moses Finley, riprendendo un'osservazione di Joseph Vogt, lamentava la mancanza di ogni indagine sulla re!azione fra schi~vitu e rapporti sessuali. Purtroppo lo studio rece"ntedi Kyle Harper (Slavery in the late Roman world, 20rr), che dedica un ampio capitolo a questo pro blema, riguarda solo la tarda Antichità romana e deve, per questo, servirsi di fonti cristiane non sempre obiettive. La sua indagine mostra tuttavia ai di là di ogni dubbio che i rapporti sessuali fra il padrone e i suoi schiavi erano considerati de! tutto normali. Le fonti esaminate da Harper suggerisco~~, anii, che essi funzionavano in qualehe modo come una controparte dell'istituzione matrimoniale e che e anche grazie ad essi che questa istituzione ha potuto conservare la sua forza neHa soeietà romana (HARPER, pp. 290-291). Cio che qui ci interessa e , piuttosto, che il rapporto sessuale faceva parte integrante dell'uso de! corpo dello schiavo e non era percepito in alcun modo come un abuso. Niente e piu significativo, in questa prospettiva, della testimonianza dell' Interpretazione dei sogni di Artemidoro, che e!enca i rapporti sessuali con gli schiavi fra quelli «conformi a.llanatura, alla legge e ai costume» (katà physin kai nomon kai ethos - ARTEM1DORO, p. 218). In perfetta coerenza con la dottrina aristote!ica dello schiavo come suppellettile, l'usare sessualmente in sogno dello schiavo e qui il simbolo de! miglior rapporto possibile coi propri oggetti d'uso: «sognare di unirsi sessualmente col proprio schiavo o con la propria schiava e propizio: gli schiavi sono infatti suppellettili [ktemata] de! sognatore e unirsi
40
L'UOMO
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con essi significherà percià che egli godrà delie sue sup pellertili, le quali diventeranno piu numerose e preziose» (ivi, p.220). A riprova dei suo carartere affarto normale, il rapporto sessuale con lo schiavo puà apparire anche come chiave per l'interpretazione di un sogno: «Se si sogna di masturbarsi con le mani, cio significa che si avranno rapporti sessuali con uno schiavo o con una schiava, in quan-
to le mani che si avvicinano alie pudende sono servizievoli [hyperetikas]». Naturalmente, a sognare puà essere anche uno schiavo: «Conosco uno schiavo che sogno di mastur-
bare il padrone e divenne poi precertore e educatore dei suoi figli: infatti aveva tenuto tra le mani il membro dei padre, che e simbolo dei figli»; il pronostico puà, perà,
.
~
.
porea, si sia, con la fine deU' ancien réginze, estesa a tutti
. gli esseri umanÍ. Che illavoratore moderno assomigli piu allo schiavo che al creatore di oggerti (con éui la modernitàtende~;econdo la Arendt,a confonderlo) o ,al1'uomo politico e indubbio e già Cicerone affermava che per coloro ch"'-V"endonoil loro lavoro, il compenso e il «salario della schiavitu» (auctoramentum servitutis - De off, I, 42, 150); occorre pero non dimenticare che i Greci ignaravana il concetto di lavaro e, come abbiarno vis-to, concepivano l'artività delio schiavo non come un ergon, ma come un -«uso del.c~:)fR_o». Se non vi puo essere in Grecia una nozione general e
di lavoro paragonabile alia nostra, cià e perché, come ha
anche non essere favorevole: «ne conosco un altro, che,
aI contrario, sognà di essere masturbato daI padrone: fu legato a una colonna e riceverte molte frustate» (p. 223).
lcepite in reiazione a quei referente unitario che e, per noi, il mercato, ma rispetto aI valore d'uso dell'oggetto prodorto.
bra qui suggerire e che non soltanto l'uso dei corpo dello schiavo comprende l'uso delle sue parti sessuali, ma anche
Attraverso il mercato, tutti i lavori effettuati in una soeietà
che, nell'indeterminarsi dei due corpi, la mano «servizie-
nel suo insieme sono messi in relazione gli uni con gli altri,
vole»dei padrone equivale al servizio dello schiavo. Di qui la singolare promiscuità che definisce da sempre i rapporti coi servitori, da cui i padroni (o le padrone) si fanno la-
confrontati Eraloro e ugu~gliati. .. questa universale equi-
vare,vestire, pettinare senza che questo corrisponda a una realenecessità.
punto di vista delloro uso, in merei comparabili dal pun-
Turtavia, proprio per questo e a conferma dei carattere personale e non mercantil e dell'uso dei corpo dello schiavo, il padrone che prostituisce una schiava disonora
tutti diversi e particolari, in una stessa attività lavorativa,
se stesso ~la sua casa. ~ i
aspetto concreto. Ogni compito e definito in funzione dei
.~ ~?
dY
41
.mostrato Vernant, le attività produttive nan sono con-
Cio ehe l'acume oneirocritico di Arternidoro Sern-
~.
SENZ'OPERA
L I O .
I'"
i
_
!
Lartività dello schiavo e stata spessoid:llt.ificata
parazione dei prodotti dellavoro sul mercato, neUo stesso istante in cui trasforma i diversi lavori, tutti diversi dal to di vista del loro valore, trasmuta anche i lavori umani, generale e astratta. AI contrario, neU'ambito deUa tecnica e deU'economia antica, il lavoro non appare ehe nel suo prodotto che si propone di fabbricare: il calzolaio rispetto alla calzatura, il vasaio rispetto al vaso. Non si considera il
con cio che i moderni hanno chiamato «lavora». E questa,
lavoro neUa prospettiva del produttore, come espressione
com' e noto, la tesi piu o meno esplicita della Arendt: la ' virtoria dell' homo laborans nelia modernità e il primato dei ,lavoro sulle altre due forme deli'artività umana (il produr;re - Herstellen -, che corrisponde alla poiesis aristotelica, e l'agire - Handeln -, che corrisponde alIa praxis) implica in realtà che la condizione dello schiavo, cioe di colui che e interamente occupato nella riproduzione della vita cor-
di uno stesso sforzo umano creatore di un valore sociale. Per questo non esiste, nella Grecia classica, una uniea grande"funzione umana, chiamata lavaro, che comprende tutti i mestieri, ma piuttostá una pluralità di mestieri diversi, eiascuno dei quali definisce un tipo particolare di attività ehe produce la sua opera propria NAQUET, p. 28].
[VERNANT,
V1DAL-
42
L'VOMO
L'USO DEI CORPI
E in que$to contesto che si deve situare la riflessio-
ne aristotelica sulla poiesis nel passo citato della Metafisica (1050a 21- 1050b I): mentre colui che agisce o usa senza produrre possiede I'energeia nella sua azione stessa, I'artigiano che produce un oggetto non possiede in sé I'energeia della sua arrività, che risiede invece fuori di lui nell' opera. Per questo la sua attività, sottomessa
costitutivamente
a un
fine esterno, si presenta come inferiore alla prassi. Vernant puà pertanto a ragione affermare che in uo simile sistema sodale e mentale, l'uomo «agisce»
quando utilizzale cose e non quando le fabbrica. Lideale dell'uomo libero e attivo e di essere sempre e universalmente un «utente» [usager] e 'rnai un produttore. 11vero
problema dell'azione, almeno per quanto riguarda il rapporto dell'uomo con la natur~, e quello del «buon uso» delle cose e non della Iara trasformazione attraverso il la-
varo [VERNANT,
VÚ)AL-NAQUET,
p. 33].
In questa prospettiva, I'interpretazione dell' attività dello schiavo in termini di lavoro appare, oltre che anac~onistica,estremamente
problematica.
In quanto si risol-
ve in un uso improduttivo dei corpo, essa sembra quasi costituire I'altra faccia dei buon uso delle cose da parte dell'uomo libero. E possibile, cioe, che l'<
Hannah Arendt 'ha ricordato la differenza che separa la concezione antica della schiavitu da quella dei moderni: mentre per questi lo schiavo e un mezzo per procurarsi forza-Iavoro a buon mercato a fini di profirro, per gli antichi si trarrava di eliminare il lavoro dall' esistenza propriamente umana; che era incompatibile con esso e che gli schiavi, assumendolo su di sé, rendo no possibile. «Poiché gli uomini sono sorroposti alIenecessità della vita, L I ! .
SENZ'OPERA
essi posso no essere liberi solo se ne assoggettano
altri, co-
stringendoli a forza a sopportare per essi quelle necessità» (ARENDT, p. 78).
Occone aggiungere, perà, che lo statuto speciale de~ gli schiavi - insieme
esclusi e inclusi nell'umanità,
come
quegli uomini. non propriamente umani che rendono possibile agli altri di essere umani - ha come conseguenza un cancellarsi e un confondersi dei limiti che separano la physis dal nomos. Insie.me strumento artificiale e essere umano, lo .schiavo non appartiene propriamente né alIa sfera della' natura né .a quella della convenzione, né alIa sfera della giustizia né a quella della violenza. Di qui I'ap parente arribiguità' della teoria aristotelica della schiavitu, che, come la filosofia antica in generale, sembra costretta a giustificare cià che non puà che condannare e a condannare cià di cui non puà negare la necessità. Il farro e che lo schiavo, pur escluso dalla vita politica, ha con essauna relazione dei turro speciale. Egli rappresenta, infarri, una vita non propriamente umana che rende possibile agli altri il biospolitikos, cioe lavita veramente umana. E sel'umano si definisce per i Greci arrraverso una dialerrica fra physis e nomos, zoe e bios, alIara lo schiava, come la nuda vita, sta
sulla soglia che li separa e congiunge. che noi abbiamo ereditato dalla fiN L'antropologia losofia classica e modellata sull'uomo libero. Aristotele ha sviluppato la sua idea dell'uomo a partire daI paradigma dell'uomo libero, anche se questo implica loschiavo come sua condizione di possibilità; si puà immaginare che avrebbe potuto sviluppare una tutt'altra antropologia se avesse tenuto conto dello schiavo (la cui «umanità» egli non ha mai inteso negare). Cià significa che, nella cultura occidentale, lo schiavo e qualcosa come un rimosso. fI riemergere della figura dello schiavo nel lavoratore moderno si presenta quindi, se condo lo schema freudiano, come un ritorno dei rimosso in fOrma patologica. L U . Come intendere quella particolare sfera dell'agire umano che Aristotele chiama <
44
L'USO DEI
CORPI
cosa significa qui «usare»? Si tratta davvero, come Aristotele sembra suggerire, forse per distinguerla dalla produzione, di una sorta di prassi (lo sch.iavoe uno «strumento pratico»)? Nel!'Etica nicomachea, Aristotele aveva distinto poiesis e praxis in base alla presenza o all'assenza di un fine esterno (la poiesis e definita da un telos esterno che e l'oggetto prodotto, menrre nella prassi «agire bene [eu praxiaJ e in sé il fine» - II40b 6). Che I'uso dei corpo non appanenga alla sfera produttiva della poiesis, Aristotele lo afferma piu volte senza riserve-;ma nemmeno sembra possibile iscriverlo semplicemente nel!' ambito della prassi. Lo schiavo e , infatti, assimilato a uno strumento e definito come «strurnento per la vita [zoe]» e «alutante per la prassi»: ma,' proprio per questo, e impossibile dire per
le sue azioni che, come avviene per la prassi, agire bene sia in sé il fine. Cià e tanto vero che Aristotele limita esplicitamente la possibilità di applicare all'azione dello schiavo il concetto di vinu (arete) che definisce l'agire del!'uomo libero: in quanto lo schiavo e utile per le necessità della vita «echiaro che egli ha bisogno di poca vinu, quanto basti perché non abbandoni l'opera per intemperanza o per svogliatezza» (Pol., I260a 35-36). Non vi e un'arete dell'uso dei corpo dello schiavo, COSI come (secondo M Mor., II85a 26-35) non vi puo essere un' arete della vita nutritiva che, per questo, e esclusa dalla felicità. E come sembra sfuggire al!'opposizione fra physis e nomos, oikos e polis, l'attività del!o schiavo non e nemmeno classificabile secondo le dicotomie poiesis /praxis, agire beneI agire male che dovrebbero definire, secondo Aristotele, le operazioni umane. si N Nel passo citato dei Magna moralia, Aristotele chiede se sia pensabile una virtit delta vita nutritiva (cioe quelta parte delta vita umana che gli uomini hanno in comune con le piante e che, a partire dai commentatori
tardo-antichi, sarà definita «vegetativa»): «Che avviene se chiediamo se vi e una virtit anche per questa parte delt'ani-
L'VOMO
SENZ'OPERA
45
ma? Se si, e chiaro che vi sarà anche qui un essere-in-opera [energeia] e la ftlicità e appunto l'essere-in-opera di una virtU perfetta. Se esista una tale virtu, non e qui il caso di discuterne; ma se anch.e esistesse, non vi sarà un essere-in opera di essa».
E interessante riflettere sult'analogia fra unattività umana priva di ergon e di virm, qual e quella dello schiavo, e la vita vegetativa, in quanto vita umana esclusa dalta virmo E come Aristotele sembra suggerireper quest'ultima lapossibilità di una virtu senza essere-in-opera (<
46
L'USO
DEI
CORPI
" r) Si tratta di un' attività impIOduttiva (argos, <~corpo altrui. Il padIOne, usando il cor po deUo schiavo; usairprópiio corp.'o,e lo schiavo, U ~"!t:'q9 il pIOprio corpo, e usato dal padIOn~. 3) Il corpo deUo scJ:,iavosi situa in una zona di indifferenza fra lo strumento artificiale e il corpo vivente (e un empsychon organon, un organo animato) e, quindi, fra physis e nomos. 4) Luso de! corpo non e , nei termini aristotelici, né .poiesis né praxis, né una produzione né u~aprassi, ma non ', e nemmeno assimilabile allavoIO dei moderni. 5) Lo schiavo, che si definisce atrraverso questo «uso de! corpo», e l'uomo senz'opera che rende possibile la realizzazione deU'opera deU'uomo, que! vivente che, pur essendo umano, viene escluso - e, attraverso questa esclusione, incluso - nell'umanità, perché gli uomini possano avere una vita umana, doê política. Proprio in quanto, tuttavia, 1'1;1so deI corpo st_~i.tua neU",soglia indecidibile fra zoe ebios, fra la casa,e la cJttà, fra la physis,ejl fiomos, e possibile che lo schiavo rappresenti la cattura ne! diritro di una figura deU'agire umano che
,,/i,:ci_~sta ancora da de!ibare. ~N Da Aristotele in poi, la tradizione della jilosofia oc'"\, ,', ridentale ha sempre posto a fimdamento della politica il cO,ncetto di azione, Ancora in Hannah Arendt, la sftra pubbltca coincide con quella dell'agire e la decadenza della política e spiegata con laprogressiva sostituzione, nel corso dell'età moderna, delfare ali 'agire, dell'homo faber e, poi, dell'homo
, :,~ ~
laborans all'attore politico. fi termine actio, tuttavia, da cui deriva la parola «azione» e che, a partire dagli stoici, traduce il greco praxis, appartiene in origine alia sftra giuridica e religiosa e non a quella politica. Actio designa a Roma innanzitutto il processo. Le istituzioni giustinianee esordiscono cosi divíden-
L'UOMO
SENZ'OPERA
47
do l'ambito dei diritto in tre grandi categorie: le personae (i diritti personali), le res (i diritti reali) e le actiones (il diritto processuale). Actionem constituere significa pertan to «intentare un processo», cosi come agere !item o causam significa «condurre un processo». D'altra parte il v~>:poago significa in origine «celebrare _Zfn ja.crifjc!f!» e, secondo alcuni, e per -qiúúto che nei piit antichi sacramentari la messa e dejinita actio e l'eucarestia actio sacrificii (CASEL, p. 39; BAUMSTARK, pp. 38-39).
E u;n termine propeniente. dalla sftra giuridico-religiosa che haJó!,n!to. fl-llqjJolitt.cfl jl. S1f.O soncetto jimdamentale. Una delle ipotesi della presente ricerca ,e, revocando in questione la centralità dell'azione e dei fare per la politica, quella di , :provare' a)e;úare l'uso come -categoriFP-Qliticafimdar;;;ntale. " 0. .- . .,
__
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~_~ _~~ A ~.-----
49
CHRESIS
2 .
chresthai chresthai chresthai chresthai
Chresis
theoi, lett. «usaredei dio» consultare un oracolo; nostou, lett. «usare il ritorno» provare nostalgia; logoi, lett. «usareillínguaggio» ~ padare; symphorai, lett. «usare la sventura» essere infe=
=
=
lice;
chresthai gynaiki, lett. «usare una donna»
=
avere rapporti
sessuali con-una donna;
chresthai te polei, lett. <
partecipare alia
=
vita politica;
chresthai keiri, lett. «usare la mano» colpire col pugno; =
chresthai niphetoi, lett. «usare la neve»
=
essere soggetto a
nevicate;
chresthai alethei logoi, lett. «usare undiscorso vero» dire =
la verità;
definisce «uno studio di semantica», era stato concepito
chresthai lotoi, lert. «usare illoto»
come un capitolo di una ricerca piu ampia sulla terminologia mantica (i verbi in questione, che noi riferiamo abitualmente alla sfera dell'uso, appartengono in origine in greco, secondo Redard, alla famiglía dei «verbi oracolari») . Cià che piu sorprende innanzitutto quando si esamina l' ampio materiale lessÍcaleraccolto da Redard e che il
cresthai orgei, lett. «usare la col1era»:::essere collerico; chresthai eugeneiai, let~. «usare-la buona nascita» essere
=
mangiare illoto; =
di nobile stirpe; chresthai Platoni, lett. «usare Plarone» Platone.
=
essere amÍco di
verbo chresthai sembra non avere un significato proprio,
Lasituazione e dei tutto analoga per il corrispondente verbo latino uti:
ma acquista significati ogni volta diversi secondo iI contesto. Redard elenca cosl 23 significati dei termine, da «con-
uti honore, lett. «usare una carica» ricoprire una carica;
sultare un aracala» a «avere rapporti sessuali», da «padare» a «essere infelice», da «colpire col pugno» a «provare nostalgia». La strategia, com une nei nostri dizionari, che consiste nel distinguere i «diversi» significati di un termi-
ne, per poi rimandare all'etimologia iI tentativo di ricondurli a unità, mostra qui la sua insufficienza. Il fatto e che il verbo in questione sembra trarre il suo significato da quello dei termine che I'accompagna, che non e di norma, come noi moderni ci aspetteremma,
all'accusativo,
ma ai dativo o, a volte, ai genitivo. Si consideri l'elenco seguente, desunto in gran parte daglí esempi menzionati da Redard:
=
uti lingua, lett. «usare la língua» padare; =
uti stultitia,
leu. «usare la staltezza»
=
essere stolto (o dar
prova di stoltezza); uti arrogantia,
«usare arroganza» essere arrogante (o dar =
prova di arroganza);
.
uti 7nisericordia, lett. «usare la misericorciia»
=
essere mise-
ricordioso (o dar prova di misericordia); uti aura, «usarela brezza» avere il vento favorevole; uti aliquo, «usare di qualcunol> avere dimestichezza cori-. =
=
qualcuno; uti patre diligente, <
50
CHRESIS
L'USO DEI CORPI
plificazione rende immedia2 . 2 . Cià che questa esem t
E davvero singolare che Redard possa padare di «esteriorità», di intransitività e di assenza di modificazion'e fra il soggetto e I'oggetto, proprio quando ha appena evocato il «ritorno a cui si aspira», la «collera che vi afferra», il «gelo di cui si e vittima)~ e la «nobiltà da cui si discende», esempi fra molti altri di una reIazione COSI stretta fra il soggetto e I'oggetto, che non soltanto il soggetto ne risulta intimamente modificato, ma anche le frontiere fra i due termini dei rapporto sembrano indeterminarsi. E fQrseper la consapevolezza di questa intimità fra il soggetto e l'oggetto dell'usoche Redard sembra a un certo punto sfumare la sua.definizione dei significato dei verbo chresthai, aggiungendo che esso esprimerebbe un tentativo di «accomodamento» e di «appropriazione» da parte dei soggetto: Lappropriazione puà essere attualizzata come in arpagei, iemasi chresthai (essere avido) o virtuaIe, come nel caso di nostou chresthai ... In ogni caso, l'appropriazione e sempre
occasionaIe, e questa la sua specificità. Che si consulti un oracolo, che si provi un bisogno, si prenda in prestito un aratro o ci si arrabbi, cio e sempre in funzione di un evento. Una espression~come symphorai
Se cerchiamo ora di definire il processo espresso dal verbo, costatiamo che esso si compie alI'interno della sfera deI soggetto ... la costruzione
di chresthaí e intransitiva:
l'oggetto e ai dativo o ai genitivo...
chresthai (essere infe-
lice) non fa eccezione alla rego la: «essere infelice)~ significa piu _precisamente «attirare su di sé la sventura»... Il rapporto soggerro - oggetto si dehnisce come un rapporto di
Che si tratti di una
appropriazione occasionale, dei tipo fulmine - parafulmi-
persona o di una cosa, l'oggetto afferma ogni volta la sua
ne, per riprendere la bella immagine d~lsignor Benveniste [ivi, p. 44].
indipendenza rispetto all'oggetto... Il dio che si consulta, il gioiello di eui ci si orna, il loto che si mangia, il giavellorro ehe si utilizza, il nome di eui ci si serve, la língua che si parIa, il vestito ehe si porta, l'elogio a cui si rleorre, l'attività che si esercita, l'opinione che si segue, i cóstumi che si osservano, il geIo di cui si e vittima, il caso a cui si e
Ancora una volta, I'esemplificazione smentisce puntua!mente la tesi:~«essere infelice» non puo significare appropriarsi occasionalmente della sventura, né «provare nostalgia» appropriarsi dei ritorno.
sottoposti, la collera che vi afferra, l'autore che si frequenta, il ritorno a cui si aspira, la nobiltà da cui si discende, tutte queste nozioni sono delle realtà indipendenti da colui che vi ricorre: l'oggettO-esiste aIdi fuori deI soggetto e nou
lo modificamai [REDARD, p. 42].
2.3. E probabile che proprio la reIazione soggettol oggetto - COSI marcata nella concezione moderna dell'utilizzazione di qualcosa da parte di qualcuno - risulti inadeguata a cogliere il significato dei verbo greco. Eppure
52
L'USO
DEI
CORPI
una spia di questa inadeguatezza era propria nella farma stessa de! verba, che nan e né attiva né passiva, ma nella diatesi che i grammatici antichi chiamavana «media» (mesotes). Redard, regiswinda questo dato, rinvia all'articala di Benveniste, apparso lo stesso anno in cui era stato discussa il sua mémoire (Actif et moyen dans le verbe, 195.0). La tesi di. Benveniste e . perspicua: mentre, nell' attiva, i verbi denatana un processa che si realizza a pa:rtire dal saggetta e ai di fuari di essa,
CHRESIS
53
2.4- Si rifletta alia singalare farmula attraversa cui. Benveniste cerca di esprimere il significato della diatesi media: il effictu"-E} .s~ajfectant. Da una parte, il saggetta che campie I'aziane, per il fatto stessa di campierla, nan agisce transitivamente su un oggetto, ma implica e affeziona innanzitutta se stessa ne! processa; dall' altra, propria per questa, il processa suppane una tapalagia singalare, in cui il soggetto non sovrasta l'azione, ma e egli stesso il luaga de! sua accadere. Carne implicita nella denaminazione mesotes, il medio si situa, doe, in una zona di indeterminaziane fra saggetto e aggetta (1'agente e in qualche ma da anche aggetta e luaga dell'aziane) e fra attiva e passiva (l'agente riceve un'affeziane dal sua prapria agire). Si camprende, aliara, perché Redard, insistenda sulla re!aziane saggetta/ aggettoe sul significata maderna di <
. quanto e in relazione con un corpo.
54
L'USO DEI CORPI
CHRESIS
55
Forse da nessuna parte questo sratuto singolare dell' agente e stato descritto con maggior precisione che in Spinoza. NeI capoxx dei Compendium grammatices linguae hébra~ae, egli ha introdotto una meditazione onrologica in forma di analisi dei significato di una forma verbale ebraica, il verbo riflessivo attivo, che si forma aggiungendo un prefisso alia forma intensiva. Questa forma verbale
esperienza di sé in quanto passeggiante, alio stesso modo óg!-l~uso e , innanzitutto, uso.di sé:per entrarein relazione
esprime un azione in eui agente e paziente, attivo e passivo
Sarà opportuno riflettere sUlla particolare concezione dei soggetto e dell'azione implicita nell'uso. Mentre nell'atto dei visitare I'essenziale e, secondo il significato della diatesi attiva, I'azione dell'agente ai di fuori di sé, nell'uso (nel costituir-sé visitante) in primo piano non e I'energeia dei visitare, ma I'affezione che I'agente - usante (che diviene COSI paziente) ne riceve. Lo stesso puà dirsi dei termine che, nella diatesi passiva, e oggetto dell' azione:
2.5.
si identificano. Per chiarirne il significato, il primo equivalente latino ehe gli viene in mente e se visitare, «visitarsé»,ma esso gli pare COSI insufliciente, che egli lo specifica subito nella forma: se visitantem constituere, «costituir-sé visitante». Vn secondo esempio, se ambulationi dare, «darsi alIa passeggiata}~, aneh'essa inadeguato, viene chiarito con un equivalente tratto dalla lingua materna della sua gente. "Passeggiare»si dice in ladino (cioe nello spagnolo che i sefarditi parlavano al momento della loro espulsione dalla Spagna) pasearse, «passeggiar-sé». Come espressione
di un'azione di sé su sé, in cui agente e paziente entrano in una soglia di assoluta indistinzione, il termine ladino e particolarmente felice. Qualche pagina prima, a proposito della forma corrisp';ndente dei nome infinitivo, Spinoza ne definisce la
sfera semantica attraverso l'idea di una causa immanente: «Fu dunque necessario inventare un'altra specie di infinito, che esprimesse l'azione riferita ali'agente come
causa immanente ... la quale significa visitare se sresso, ovvero costituir sé visitante o, infine, mostrar sé visitante» (SPINOZA,p. 342). Qui la sfera dell'azione di sé su sé corrisponde ali'ontologia dell'immanenza, al movimento dell' autocostituzione e dell' autopresentazione dell' essere, in cui non soltanto non e possibile distinguere fra agente e paziente, ma anche soggetto ed oggetto, costituente e
costituito si indeterminano. E secondo questo paradigma che si deve inten\'\ere la . singolare natura dei processo che chiamiamo «uso>/.Come, nell' esperienza dei far visita espressa dai verbo. ebrai-
co, il soggetto costituisce sé visitante, e, nell'esperienza dei passeggiare, il soggetto innanzitutto passeggia se stesso, fa
d'uso con qualcosa, ia devo esserne affetto, .costituir rue stessocome colui che ne fa uso. Vomo e mondo sono,
nell'uso, in rapporto di assoluta e reciproca immanenza; nell'usare di qualcosa, e dell'essere dell'usante stesso che
innanzitutto ne va.
nell'uso, esso costÍtuisce sé visitato, e attivo nel suo essere passivo. All'affezione che l'agente riceve dalla sua azione corrisponde I'affezione che il paziente riceve dalla sua passione. Soggetto e oggetto sono COSI disattivati e resi inoperosi e, alloro posto, subentra l'uso come nuova figura della
prassl umana. ~ E in questa prospettiva che si puà intendere la singo!are p~ossimità fia uso e amore che.Dante istituisce nel Convivio (IV, 22). Dopo aver ajftrmato che l'appetito naturale (che chiama anche, con un vocabolo greco, hormen) ama innanzitutto se stesso e, attraverso questo amore di sé, anche le altre cose (<
L'USO
E LA CURA
ca dl1nque un certo atteggiamento [aititude].
3. LUSO e la cura
57
Chresthai
designa anche un certo tipo di relazione con gli altri. Quando si dice, ad esempio. theois chresthai. (servirsi de-
gli dei), questo non vuol dire che si utilizzano gli dei a un fine qualsiasi. Significa che si hanno con. gli dei le relazioni che si devono avere, che e regolare avere... chra omai designa anche un certo atteggiamenro rispetto a se
stessi: nell' espressione epithymiais e
du sujet, Foucault 3.1. NeI corso su L'herméneutique si era imbattuto nel problema dei significato d~1verbo chresthai interpretando un passo dell'Alcibiade platonico, in cui Socrate,
per identificare
il «se stesso}) di cui
d si deve prendere cura, cerca di dimostrare
che «colui
, che usa» (ho chromenos) e «cià di c1.liusa» (hoi chretai) non sono la stessa cosa. A questo fine, egli ricorre all'esempio dei calzolaio e dei citarista, che si servono tanto dei trincetto e dei plettro che delle loro mani e dei loro
chresthai, il senso non
«servirsi delle proprie passioni per qualcosa», ma sem-
plicernente: «abbandonarsi alIe passionh
[FOUCAULT I,
pp. 55-56].
I.:insistenza nella precisazione della sfera semantica di chresthai non e casuale. Secondo Foucault, infatti, questo
Certo chraomai vuol dire: mi servo, utilizzo (uno stru-
verbo svolge neU'argomentazione platonicá una funzione strategica, in quanto Socrate se ne serve per rispondere alia dorrÍanda su chi sia quel «sestesso»che e oggetto deUacura di sé (<
menro). Ma puà anche designare un comportamento,
scopre in questo
occhi come strumenti
per tagliare il cuoio
e per suonare ,
la cerra. Se colui che usa e cià di cui fa uso non sono la stessa cosa, cià significa allora che l'uomo (che «usa di tutto il corpo», panti toi somati chretai anthropos - I2ge) non coincide col suo corpo e quindi, prendendosi cura di esso, si prende cura di <
Socrate a questo
punto, el'animà (psyche). E commentando questi passi platonici, che Foucault cerca di definire il significato di chresthai, con considerazioni non troppo diverse da quelle che abbiamo appena esposto a proposito dei mémoire di Redard.
un
atteggiamento deI soggetto. Ad esempio, nell' espressione
modo
non e , doe,
« 1 ' anima - sostanza),
ma «I'anima- soggetto):
hybriskos chresthai, il senso e : c0IP-portarsi con vioIenza
(come In francese diciamo: user de violence). Vedete che
.occuparsi di se stesso significherà occuparsi di sé in quan-
usare qui non ha affatto il senso di «utilizzazione», ma
to si
significa: comportarsi
di azioni strumentali, soggetto di relazioni con aItri, sog-
con vioIenza. Chraomai signifi-
e
«soggerro» di un certo numero di cose: soggetto
L'USO
DEI
L'USO E LA CURA
CORPI
oggetto o che, in ogni caso, la soggetrività erica resti presa in una regressio ad infinitum (colui che si prende cura dei soggetto dell'uso esigerà a sua volta un altro soggetto che si prenda cura di lui ecc.). La questione e tanto piu urgente e delicata, in quan- , to e proprio qui che vediamo riapparire quel problema' della governamentalità che costituisce l'oggetto privilegiato dei corsi di Foucault a partire dalla metà degli anni settanta. Il tema della cura di sé rischia in questo modo di risolversi integralmente in quello ,dei governo di sé e degli altri, COSI come, nel passo dell'Alcibiade, il tema dell'uso dei corpo da parte dell'anima si risolve a un certo punto in quello dei comando (arche) dell'anima ,sul corpo (130a). Cruciale e qui il modo in cui si pensa il rapporto fra cura e uso, fra cura di sé e uso di sé. ,Foucault evoca, come abbiamo visto, a proposito dell'uso, il rapporto con se stesso, ma mentre il concetto di cura di sé rimane ai centro delle sue analisi, quello di «uso di sé" non e quasi mai ~ematizúlto come tale. La relazione di uso, che pure costituisce la.dimensione primaria in cui si costituisce la soggettività, resta COSI nell'ombra e lascia il posto a un primato della cura sull'uso che sembra ripetere il gesto platonico, in cui la chresis si risolvevain cura (epimeleia) e comando (arche). Cio e tanto piu gravido di conseguenze, in quanto la separazione fra cura di sé e uso di sé e alia radice di quella fra etica e politica, COSI estranea tanto al pensiero classico almeno fino a Aristotele che alie preoccupazioni dell'ultimo Foucault.
geno, in generale, di eomportamenti e di atteggiamenti, soggetto, anche, di rapporti eon se stesso. E in quanto si
e un soggetto, questo soggetto ehe-si serve, ehe ha questo atteggiamento, ehe"ha questo tipo di rapporti eec., ehe si deve vegliare su se stessi. Occuparsi di se stessi in quanto
si e soggettidella chresis (in tutta la polisemiadei termine: soggetto di azioni, di eomportamenti,
di relazioni, di at-
teggiamenti): e di questo che si trarta [ibid.]. 3.2. Chi ha qualche familiarirà con le ricerche dell'ulrimo Foucault avrà riconosciuto in questo passo uno dei caratteri essenziali della soggettività etica che esse cercano di definire. SeFoucault torna con tanta insistenza nei suoi corsi sull'Alcibiade platonico, non e soltanto perché uno dei temi centrali dei dialogo e lacura di sé, di cui eglisi stava occupando in quegli anni; nellaboratorio foucaldiano, I'Alcibiade fornisce innanzitutto I'occasione di articolare in tutta la sua complessità e in tutte le sue aporie quella nozione di soggetto, di cui, secondo la sua tesrimonianza, egli non avevamai smesso di occuparsi. CosI come il soggetto non e , per Foucault, sostanza, . ma processo, COSI la dimensione etica - la. cura di sé non ha una sostanza autonoma: essa non ha altro luogQ :,e altra consistenza che la relazione d'uso fra l'uomo e il mondo. La cura di sé presuppone la chresis e il sé che nomina il soggetto etico non e qualcos'altro rispetto ai soggetto dell'uso, ma resta ad esso immanente. Per questo Foucault, nella sua lettura dell'Alcibiade, insiste sulla disrinzione fra anima - sostanza e anima - soggetto e per questo puo scrivere, nelle nore pubblicate da Frédéric Gros in calce ai corso, che <
59
,
.
3.3. La relazione fra cura e uso sembra implicare qualcosa come un circolo. La formula «occuparsi di se stessi in quanto soggetti della chresis" suggerisce, infatti, un primato genetico-cronologico delle relazioni d'uso sulla cura di sé. E solo in quanto un uomo e inserito co- , me soggetto in una serie di relazioni di uso che una cura di sé diventerà eventualmente possibile. D'altra parte, se «il sé con cui si ha rapporto non e altro che il rapporto stesso", il soggetto della chresis e quello della cura saran-
60
L'USO DEI CORPI
no lo stesso soggetto. E questa coincidenza che sembra valer esprimere l'enigmatica espressione: «l'immanenza o l'adeguazione ontologica di sé ai rapporto». Il soggetto dell'uso deve prendersi cura di sé in quanto e in rapporto di uso con cose o persone: deve, cioe , rnettersi in rapporto con sé in quanto e in rapporto d'uso con altro. Ma un rapporto con sé - o un'aifezione di sé - e già implicito - lo abbiamo visto - nel significato mediale del verbo chresthai e questo sembra revocare in questione la stessa possibilità di distinguere fra cura di sé e uso. Se «usa~e~ .signLª.~~~~~.t~in arerappor:tocopos~J.Lq"!l.~nto si e in rapporto eon altro}),in ehe modo qualcosa come UIia r u m êlt sé-potrà legittimamente pretendere di definire una dimensione altra dell'llso? In che modo, doe, l'etica si distinguerà dall'uso e ottetrà un primato su di esso? E perché e in che modo l'uso si e trasformato in cura? Tanto piu che, come Foucault suggerisce piu volte, il soggetto della chresis puo entrare in una relazione d'uso anche con se stesso, costit~ireun «uso di s6}. E forse per la consapevolezza di queste aporie che, accanto ai tema della cura di sé, vediamo apparire nell'ultimo Foucault il motivo, almeno in appa-renzacontrario, che egli affida alia formula: se déprendre de soi-même. La cura di sé cede qui il posto a uno spossessamento e llU abbandono di sé, dove essa torna a confondersi con l'uso. 3.4. E in questa prospettiva che l'interesse di Foucault per le pratiche sadomasochiste puo trovare la sua situazione propria. Non si tratta soltanto del fatto che qui, come Foucault sottolinea piu volte, lo schiavo puo ritrovarsi alla fine in posizione di padrone e viceversa: piuttosto cio che definisce il sadomasochismo e la struttUfa stessa della soggettivazione, il suo ethos, in quanto colui il cui corpo e (o sembra essere) usato si costituisce in realtà nella stessa misuta come soggetto del suo essere usato, lo assume e ne prova piacere (anche qui e in questione, nei termini del corso su L'herméneutique du sujet, il rapporto che si ha con sé in quanto soggetto dei pro pri rapporti sessuali). Viceversa, colui che sembra usa-
L'USO E LA CURA
6I
re il corpo dell'altro sa di essere in qualche modo usato dall' altro per il proprio piacere. Padrone e schiavo, sadico e masochista non sono qui due sostanze incomunicabili. ma, presi nell'uso reciproco dei ioro corpi, essi transitano l'uno il"eIl'altro e incessantemente si indeterminano. Come il linguaggio esprime assai bene, il masochista «si fa fare)}dà che subisce, e attivo nella sua stessa passività. 11sadomasochismo esibisce, cio e , la verità dell'uso, che non E, preso in conosce soggetto ed oggetto, agente e pazienú. questa indeterminazione, anche.íl piacere si fa adespota e comune. E singolare che le analisi del sadomasochismo nella prospettiva freudiana, pur notando l'inversione dei ruoli fra i due soggetti, non menzionino la relazione padrone/ schiavo. COSITheodor Reik, nella monografia ormai classieache ha dedicato ai masochismo, registra piu volte la trasformazione reciproca dell' elemento attivo in elemento passivo e l'inversione verso l'io di quella che e in origine una tendenza sadica; ma i termini «padrone» e «schiavo» non compaiono mai. Foucault, aI contrario, non soltanto si serve di questi termini. ma sembra suggerire che proprio l'assunzione di questi due ruoli permetta una relazione ai corpo nuova e piu felice. <
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L'USO
L'USO DEI CORPI
E se e vero, come ha osservato Deleuze, che il masochismo implica sempre una ~eutralizzazione del diritto attraverso la sua esagerazione parodiea, alIara si puà fare l'iporesi che la relazione padrone / schiavo come noi la conosciamo rappresenti la cattura nel diritto dell'uso dei corpi come originaria relazione pregiuridica, sulla cui inclusione esclusiva il diritto trova il proprio fondamento.. I soggetti che chiamiamo padrone e schiavo sono, nelruso, in tale «eomunità di vita», ehe si rende neeessaria la definizione giuridica del loro rappofto in termini di proprietà, quasi che altrimenti essi scivolerebbero in una confusione e in una koinonia tes zoes che il diritto non puà ammettere se non nella singolare e despotica intimirà fra padrone e schiavo. E cià che appare a noi .moderni COSI scandaloso - cioe il diritto di proprietà sulle persone - potrebbe essere anzi la forma originaria della proprietà, la cattura (1'ex-ceptio) dell'uso dei corpi nel diritto.
E LA CURA
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e sehiavo, in gioeo sia cià ehe Hegel ehiama senza riserve il
godimento (der Genuss):. 11padrone si riferisce alla cosa attraverso la mediazione dello schiavo; lo schiavo, come coscienza di sé in generale, si riferisce all~cosa negativamente e la abolisce [hebt es .auj]; ma essa e nello stesso tempo indipendente rispetto alui ed egli pertanto non puo, attraverso la sua negazione, venire a capo della cosa e annientarla, puo, doe, solo
lavorarla~ AI contrario, attraverso questa rnediazione, la relazione imrnediata diventa per il padrone la pura negazione della cosa, cioe il godimento; cio che il desiderio non era riuscito a fare, ora gli riesce: venire a capo della cosa e soddisfarsi nel godirnento. Il desiderio non poteva riuscirci a causa dell'indipendenza
della cosa; ma il.
padrone, che ha interposto lo schiavo tra sé e la cosa, si lega in questo modo solo alla dipendenza della"cosa e ne gode puramente. In questi due rnomenti [sei!. il lavoro dello schiavo e il
N
II mondo antico conosceva delIeftste in cui l'indeter-
minazione originaria che definisce l'uso dei corpi riemerge alia luce attraverso l'inversione dei ruoli fra padrone e schiavo. Cosi, durante i Saturnalia, che si celebravano il I7 di dicembre, non soltanto ipadroni servivano gli schiavi, ma l'intero ordine delIa vita sociale era trasfórmato e sovvertito. E possibile vedere in queste ftste anomiche non soltanto uno stato di sospensione delIa legge che caratterizza alcuni istituti. giuridici arcaici, ma anche, attraverso questa sospensione, il riemergere di una sfera dell'azioné umanrJ in cui non soltanto padrone e schiavo, ma anche soggetto ed oggetto, agente epa ziente si indeterminano.
3.5. Si comprende allora perché, nella Fenomenologia delIo spirito, la dialettica fra padrone e servo.e il riconoscimento ehe in essa e in questione abbiano una funzione antropologica costitutiva. Decisivo e qui non solranto, come Hegel non si stanea di rieordare, che il riconoscimento della coscienza di sé possa avvenire solo attraverso ún'altra coscienza di sé, ma anche che, nella relazione fra padrone
godimento che esso rende possibile] si realizza per il padrone il riconosdmento attraverso un'altracoscienza [HEGEL, p. 151].
Hegel vede l'intima relazione fra padrone e schiavo che abbiamo cercato di definire come uso dei corpo; mentre, perà, nella koinonia tes zoes che e qui in questione, il corpo del padrone e quello dello schiavo, distinti nei diritto, tendono di fatto a diventare indecidibili, Hegei si sofferma proprio su cià che rende possibile separare e riconoscere le due posizioni: la distinzione fra illavoro dello schiavo e il godimento del padrone. Naturalme~te, come nel sadomaSochismo~-secondoFoucault, i due ruoli tendono a invertirsi e, alIafine, dal momento che «laverità della coscienza dei padrone e la coscienza servile», il lavoro dei servo, in quanto «desiderio frenato e dileguare trattenuto»,acquista la sua indipendenza rispetto aI godimento dileguante dei padrone. Cià che, anche in questo rovesciamento dialettico, va tuttavia perduto e la possibilità di un' altra figura dei-.
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L'USO DEI CORPI
la prassi umana, in cui il godimento e il lavara (cioe il desiderio frenato) risultino in ultima analisi inassegnabili. Il sadomasochismo appare, in questa praspettiva, come il tentativa insufficiente di rendere inoperasa la dialettica fra padrone e schiavo, per ritrovare parodicamente in essa le tracce di quell'uso dei corpi, di cui l~ modernità sembra aver smarrito r accesso.
4. I.:uso dei mondo
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'-4.LM~I~rado~a boutade sullasua non letturadi Esse-
re e tem1?o, e.difficile inimaginare che Foucault nonconoscesseil capitalo che porta il titolo significativo: "La cura [die Sorge] come essere dell' esserci», che conclude e quasi càmpendia la pri~~ ~~zionedell' opera e dove in questione e un analogo - e ugualmente aporetico - primata della cura sull'tiso. La cura non e qui intesa semplicemente come preoccupaziõ':;~'(Besorgnis, in opposizione alia trascuratezza, Sorglosigkeit - HEIDEGGER I, p. 192), ma, in senso ontalogico, come la struttura fondamentale dell' esserci, come "la «totalità originaria dell'insieme delle strutture dell' esserci,} (die ursprüngliche Ganzheit des Strukturgan zen des Daseins - ivi, p. 180). Il «primata» (Vorrang) che compete alla cura in quanto «totalità originaria» implica che essa venga prima di «ogni comportamento [Verhaltung] e di ogni situazione [Lage] dell'esserci» (p. 193) e che essa sia «ontologieamenre anteriore (früher]» a fenomeni come «ia volontà, il desiderio, l'impulso e l'inclina" zione» (p. 194). Se cerchiamo, perà, di comprendere come si articoli
quest~_priorità o!ltQlqgiç",~la_c.\fta, ci accorgiamo che essa non e cronologica né genetica, ma ha, aIcontrario, la forma singolare di un travarsi sempre già in qualcos'altra. La frase che abbiamo appena citata in modo incompleto suona, nella sua interezza: «La cura, in quanto totalità strutturale unitaria, si situa, in modo esistenzialmente a priori [exístenzial-apríorisch], "primà' di ogni, doe .già sempre in ogni fattizio "comportamento" e "situazione" dell'esserci». I:a p riori esistenziale della cura inerisce, come ogni a priori, sempre già a qualcos' altro dalla cura stes-
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L'USO
DEI
L'USO
CORPI
sa. Questo carattere dell'«essere-in» e , dei resto, implicito
nelIa definizione delIa struttura delIa cura che immediatamente precede: «1'essere dell'esserci significa: essere-gi~-inanticipo-su-di-sé-nel (mondo) come esser-presso» (Sichvorweg-schon-sein-in
(der Wélt) ais Sein-bei - p. 192).
Lesserci, che ha la struttura delIa cura, si trova già sempre fattiziamente gettato nel mondo e inserito in quella serie di rimandi e di relazioni che definiscono secondo Heidegger la «mondità dei mondo». E quale sia i1«dove» di questo esser presso e precisato subito dopo: «nelI'esseree incluso essenzialgià-in-anticipo-su-di-sé-in-un-mondo mente i1 deiettivo Esser-presso i1 maneggevole intramondano di cui ci si prende cura» (besorgten innerweltlichen Zuhanden
- p. 192).
Alia definizione delIa «maneggevolezza», delI'esserea-portata-di-mano (Zuhandenheit), Heidegger dedica, in particolare, i paragrafi 15 e 22 di Essere e tempo; ma tutta I'analisi delI'in-essere, a cominciare dal par. 12 fino alIa fine dei terzo capitolo dei libro, tenta di definire quelIa «dimestichezza che usa e maneggia» (der gebrauchendehantierende Umgang) che costituisce la relazione originaria delI'esserci ai suo mondo. 4.2. Nellibro che porta i1titolo Umgang mit Giittlichem, Kerényi si e soffermato sulI'intraducibilità dei termine tedesco Umgang, con cui egli esprime la relazione originaria delI' uomo col divino. Il vocabolo inglese intercourse gli sembra insufficiente, perché «silimita alia totale
scambiabilità di soggetto e oggetto, a uno scorrere delI' evento avanti e indietro» fra i due termini dei rapporto; in francese e in italiano si sarebbe costretti a scegliere fra commerce e «commercio~~ da una parte e jàmifiarité e «dimestichezza~} dall'altra, mentre il termine tedesco unisce in sé entrambi i significati. Laparticolarità dei termine Umgang e , infatti, che esso implica tanto la scambiabilità fra soggetto e oggetto «
DEL MONDO
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p. 5) che I'immediarezza (<
4-3- Che questa relazione abbia ache fare con la sfera delI'uso, che in questione in essa sia qualcosa come un «uso dei mondo» e implicito nel fatto che i1 paradigma delIa maneggevolezza e I'arnese (das Zeug, qualcosa come l'organon o i1ktema di Aristotele), esemplificato pet eccellenza nel martelIo:
La corretta dimestichezza con l'arnese, nella quale soltanto essa puo mostrarsi in modo genuino nel suo essere (ad esempio, il martellare per il martello), non comprende tematicamente questo ente come cosa che si. presenta, cOSI
come l'usare [das
Gebrauchen]
non comprende lastruttura .
deU'arnese come tale. 11martellare -non .si risolve in una semplice conoscenza dei carattere di arnese dei martello, ma si e invece già appropriato di questo arnese come piu adeguatamente nou sarebbe possibile. In questa dimesti-
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L'USO DEI
CORPI
ehezzaehe fa uso [gebrauchenden Umgang], il prendersi cura [das Besorgen] deve sattamettersi aI earattere di finalità [Um-zu, «per una seapo}}] castitutivo di ciaseun arnese. Quanto meno il martello e soltanto contemplata e quanta piu adeguatamente e usata [gebraucht], tanto piu originario si fa il rapparto eoo essa e tanto piu essa ci vieoe incontro senza veli come cià ch~e, doe un arnese. E lo stesso martellare a seoprire la speci.fica «maneggiabilità}} [Handlichkeit]
deimarrello.Ilmodod'essereddl'arnese, in
cui essa si manifesta da se stesso, lo chiamiamo «manegge-
volezza»[Zuhandenheit] [ivi,p. 69]. Questa relazione originaria e imm.ediata col mondo - che Heidegger, per sorrolinearne il carattere ineludibile, chiama anche «fatticità» (Faktizitdt) - e cosi coinvolgente e assoluta, che, per esprimerla, si rende necessario il ricorso alio stesso termine che designa, nel linguaggio giuridico, lo stato di arresto: «il concetto di fatticità implica in sé I' essere-nel-mondo di un ente "intramondano" in modo tale, che questo ente si puo comprendere come catturato [verhaftet] nel suo "destino" nell'essere dell'ente che incontra all'interno del proprio mondo» (p. 56). Ed e per questo inaudito coinvolgimento dell'esserci che Heidegger puo padare di una <<Íntimità»(Vertrautheit, «confidente familiarità») originaria fra esserci e mondo: «Il prendersi cura [das Besorgen] e già sempre cio che e sul fondamento di una intimità col mondo. In questa intimità, l'essercÍ puà perdersi in cio che incontra nel mondo ed essereassorbito [benommen] da esso»(p. 76). Nella dimestichezza col mondo ritroviamo la pluraIità di sensi e di forme, di «maniere dell'in-essere» (Wéisen des ln-Seins), che avevamo visto definire la polisemia della chresis greca: «avere ache fare con qualcosa [zutunhaben mit etwas] , produrre [herstellen] qualcosa, ordinare o coltivare qualcosa, utilizzare [verwenden] qualcosa, ab bandonare O lasciar perdere qualcosa, intraprendere, imporre, ricercare, interrogare, considerare, discutere, determinare ... (p. 56). E tutte queste modalità dell'in-essere sono comprese in quella «dimestichezza col mondo e con »
L'USO
DEL MONDO
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gli enti intramondani» che Heidegger definisce espressamente come «I'essere dell'ente che si incontra per primo» (ndchstebegegnenden Seienden - p. 66). Questo ente primo e immediato e pre-tematico, poiché esso <;desume dagli economisti. II privilegio ehe Marx sembra accordare aI valore d'uso si finda sul fàtto che, per lui, il processo di produzione e in se stesso orientato aI valore d'uso e non aI valore di scambio e soltanto l'eccedenza dei valori d'uso sulla domanda permette di trasfirmarli in mezzi di scambio e in merei. Marx non ha pero spiegato con chiareZza che cosa si debba intendere per eccessodei valori d'uso e sembra, d'altra parte, concepire il valore d'uso solo come utilizzabilità di un oggetto. Ora e evidente che nel momento in cui porto aI mercato un oggetto per venderlo non posso utilizzarlo, il che implica che il valore d'uso ecceda in qualche modo costitutivamente l'utilizzazione effittiva. II valore di scambio si finda su una possibilità o un'eccedenza contenuta nello stesso valore d'uso, che puo essere sospeso e mantenuto alIo stato potenziale, cosi come, secondo Heidegger, la sospensione della maneggevolezza laseia apparire la cura. Nella prospettiva ehe qui ci interessa, si tra,tterà di pensare un eccesso - o un'alterità - dell'uso ;ispetto all'utilizzabilità che sono intrinseei alto stessouso, indipendentemente dalla sua eccedenza rispet-
to alIa domanda.
7 0
L'usa D ELM O N D O
L'usa D E I C O R P I
4.4. E su questa «dimestichezza che usa e maneggia» che la cuta deve affermate il suo ptimato. Si tratta, da una
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dilegua semplicemente, -ma, nella sorpresa causata da cià che risulta inutilizzabile, essa sembra quasi congedarsi. La
parte, ancor prima di affrontarne tematicamente l'analisi
maneggevolezza si mostra ancora una volta e proprio nel
nei patagra£l 39-43, di presupporre e iscrivere la cuta nella sttuttura stessa dell'in-essere che de£lnisce la relazione originaria dell'esserci col suo mondo. NeI par. 12, al momen-
suo congedo mostra la conformità al mondo dei maneg-
to di caratterizzar.ela spazialità esistenziale dell'esserci e i modi dei suo essere-nel-mondo, Heidegger vi anticipa con queste parole il tema della cura:
Queste modalità dell'in-essere hanno il modo di essere (da definirsi, piu tardi, eon precisione) del prendersi cura [Besorgen] .. : Lespressione non significa che l'esserci sia innanzitutto e prevalentemente economÍco o pratico, ma che l'essere deU'esserci deve [so l!] diventare visibile come cura. Questo t,ermine deve essere compreso [ist... zu fas sen] come concetto srrutturale ontologico [p. 57]. Benché né la maneggevolezza né l' appagativi tà né alcun altro dei caratteri che de£lniscono la dimestichezza col mondo sembrino implicare qualcosa come un «prendersi cura» (anzi, nella loro immediatezza e nella loro <
rio), la cura vi e inserita come un'esigenza che non ha bisogno di esser argomentata e la cui esplicitazione e rinviata a piu tardi. l! dispositiv;' decisivo nella strategia volta a stabilite il primato della cura e, pero, un altro. Si tratta dell' angoscia. Già nel par. 16, la maneggevolezza aveva rivelato dei punti di frattura: un utensile puo essere guasto e inutilizzabile
gevole» (p. 74). Nell' angoscia, invece, la relazione prima e immediata col mondo propria della dimestichezza e revocata radicalmente in questione. "La totalità di appagatività, scoperta all'interno dei mondo, dei maneggevole e dei disponibile perde ogni importanza. Essa sprofonda in se stessa. Il mondo assume il carattere della piu completa insigni£lcanza» (p. 186). Non si tratra semplicemente,
come nei easi precedenti, di una inutilizzabilità occasionale. Il potere speci£lco dell' angoscia e, piuttosto, quello di annientare la maneggevolezza, di produrre un
Cià davanti a eui 1'angoscia e tale, non e nulla di maneggevale nel mondo... II nulla della maneggevolezzasi fonda ~nqualcosa di
aS$olutamente originario: nel mondo ... Cià davanti a eui l'angoscia si angoscia, e lo stesso essere-nelmondo. Langoscia apre originariamente e diretta~ente il mondo come mondo [ibid.].
evidenza, di fenomeni accessori o suecessivi, ehe non met-
E a partire da questa neutralizzazione della maneggevolezza, che, con un radicale .sovvertimento dei rango £ln allora primario della «dimestichezza che usa e maneggia.», puo essere proposta la tesi singolare secando cui l'intimità col mondo «e un modo dello spaesamento [Unheimlichkeit] dell'esserci e non il contrario. Dal punto di vista ontologico-esistenziale, il non-sentirsi-a-casa [das Un-zuhause] deve essere concepito come il fenomeno piu originaria» (p. 189). Ed e solo dopo che il ptimato appatente della dime-
tono in questione il carattete primario della maneggevolezza, Heidegger puo scrivere che "la maneggevolezza non
puo presentarsi, nel paragrafo immediatamente
e, proprio per questo, sorprenderci; puo mancare, e, proprio.per questo, risultareinvadente; puo, infine, esser fuori posto o di ostacolo, quasi che si ribellasse a ogni possibilità di uso. In tutti questi casi, la maneggevolezza cede il posto alla semplice disponibilità (Vorhandenheit), ma non scompare pet questo. Dal momento che si tratta, con ogni
stichezza e stato spazzato via grazie alI'angoscia, ehe la cura seguente>
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L'USO DEI CORPI
come la struttura originale delI'essetci. Il primato delIa cura e stato reso, doe, possibile solo attraverso un'operazione di annulIamento e di neutralizzazione delIa dimestichezza. Il Iuogo originario delIa cura si situa nel non-Iuogo delIa maneggevolezza, il suo primato nel venir meno delIa primarietà delI'uso. AI primato delta cura sull'uso, corrisponde, nella seconda sezione deI libro, il primato della temporalità sulla spazialità. La sftra delta «dimestiche=a che usa e maneggia» definiva, nei parr. 22-24 di Essere e tempo, la «spazialità» delresserci, il suo costitutivo carattere di «in-essere».I concetti di cui Heidegger si serve sono qui tutti di ordine spaziale: il «dis-allontanamento» (die Ent-fernung), la'prossimità» (die Nahe), la «contrada» (die Gegend), il «disporre nello spazio» (Einraumen). E la spazialità non e qualcosa in cui resserci si trova o che a un certo punto gli sopravviene: «resserci e originariamente spaziale» e <ánogni tncontro cal maneggevole» di cui siprende cura e già insito «rincontro con lo spazio come contrada» (p. In). A partire daI par. 65, invece, non soltanto e la temporalità e non la spazialità a costituire il senso ontologico delta cura, ma la stessastruttura di questa (l'esser-già-in-antieipo su-di-sé in un mondo come esser-presso rente che si incontra nel mondo) acquista il suo senso proprio a partire dalte tre «estasi» delta temporalità: avvenire> passato e presente. Non e un caso che mentre «resser-già» e «tessere-avantia-sé» rimandano immediatamente aI passato e aI futuro, Heidegger osservi che «manca un corrispondente rimando» (p. ]28) proprio per que! terzo momento costitutivo della cura -l'esser-presso che definisce la sftra delta maneggevolezza. 11 tentativo di restituire anche l'esser-presso alIa temporalità nelta fOrma di una 'presentijicazione» (Gegenwartigen, p. 328) risulta necessariamente fOrzato, daI momento che l'esser-presso definiva, nei parr. 22-23, la spazialità dell'esserei, un£1.vieinanza spaziale (Nahe) e non un presente tem porale. E per questo che, nei parr. 69 e 70, Heidegger cerca ostinatamente di ricondurre la spazialità alta temporalità (<
L'USO DEL MONDO
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mento delta temporalità estatico-orizzontale» - p. 369); ma signijicativo che molti anni dopo, nel seminario su Tempo e essere, si legga la laconica ammissione che «il tentativo> nel par. 70 di Essere e tempo, di ricondurre la spazialità dell'esserei alta temporalità, non pua essere mantenuto» e
(HEIDEGGER 2, p. 24).
4-5.' Il rrimato delIa cura sulI'uso si..lascia iscrivere senza diflicbltà nelIa peculiare dialettica che definisce I'analitica delI'esserci: quelIa fra improptio (Uneigentlich) e proptio (Eigentlich). Cià che si presenta come primario, la dimensione in cui l'esserci e «innanzitutto e per lo piu» non puà che «cadere»sempre già nelI'improprietà e nell'inautenticità; ma, proprio per questo, il proprio non ha un Iuogo e una sostanza altra rispetto alI'improprio: esso e «esistenzialmente soltanto un afferra;ffiento modificato di questo» (nur ein modijiziertes Ergreiftn dieser - HElDEGGER l, p. 179). Cià significa che il primato del proprio sulI'improprio (come a;'che delIa cura sulIa maneggevolezza, délIa temporalità sulIa spazialità) riposa su una struttura d'essere singolare, in cui qualcosa esiste e si dà realtà solo affetrando lin essere che lo precede e, tuttavia, dilegua e si toglie. Che si tratti qui di qualcosa come un processo dialettico e suggerito dalI' analogia con la dialettica che apre la Fenomenologia dello spirito, in cui la certezza sensibile, che «e'prima e immediatamente il nostro oggetto», si rivela poi essere l'esperienza piu astratta e povera di verità, che diventerà vera solo attraverso un processo di medi azione e di negazione, il quale ha, perà, bisogno di essa come l'inizio, che deve essere tolto per poter essere, solo alIa fine, compreso. Come, per Hegel, la petcezione CWáhrnehmung, il prendere come vero) e possibile solo affertando la non verità della certezza sensibile, cOSI,in Essere e tempo, il proprio non e che un afferramento modificato delI'im-. proprio, la cuta un afferramento delI'improprietà delI'uso. Ma perché, nelIa nostra tradizione filosofica, non soItanto la conoscenza, ma lo stesso esserci delI'uomo ha bisogno di ptesuppotre un falso inizio, che deve essere abbandonato e tolto per dar Iuogo aI vero e aI piu proprio? Perché l'u-
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L'USO DE L M ON DO L'U SO
DE I
CO RP I
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mano puo trovarsi solo presupponendo il non-veramenteumano, I'azione politica libera e l'opera dell'uomo solo escludendo - e, insieme, includendo - l'uso dei corpo e
in chreon vi e chrao, chraomai. In essa parla, cio'e, he cheir, la
I'inoperosità dello schiavo? E che significa che la possibilità piu propria possa essere colta solo riprendendosi dallo sperdimento e dalla caduta nell'improprio?
an und gehe ihm an die HandJ. Chraosignificaanche: da-re in mano, c9nse:gnare [in die Hand geben, einhiindigen], rimettere a un'appartenenza. Un tale dare in máno [Aushandigen, {{consegnare»]e, perà, tale, che essa trattiene in mano [in der Hand behiilt] il rimettere e, con dà, il rimess~
! ol Heidegger mette in guardia piit volte contro ta tentazione di interpretare la "caduta» (das Verfallen) dell'esserei nell'improprio in terr!!Jn~/3ÇJlogiei>come se si riferisse alta dottrina dello status corruptionis delta natura umana ("Non si tratta di decidere onticamente se l'uomo sia ',pro findato nel peccato'; se si trovi nello status corruptionis, se proceda nello status integritatis O se viva in uno stato intermedio, lo status gratiae» - ivi, p. I80). Ê diJIicile, tuttavia, che egli non si rendesse conto (come del resto aveva fatto a suo modo Hegel rispetto alta dottrina della redenzione) di aver secotari=ato nell'analitica dell'esserci ta dottrina teologica della caduta e deIpeccato originale. Ma, ancora una volta, si trattava verisimilmente - per lui come per Hegel- di affirrare
4.6. NeI '946, nel saggio Der Spruch des Anaximander, Heidegger sembra voler restituire all'uso la centralità che in Essere e tempo gli aveva tolto in nome della cura. I:occasione e fornita dalla_traduzione di un termine greco strettamente imparentato a chre e chresthai: to chreon, di solito tradotto con
mano: chrao significa: ich be-handle etwas, io tratto, mantengo qualcosa, la prendo in mano, do una mano [gehe es
[HEIDEGGER
3, p. 337].
Decisivo e , pero, che all'uso, cosi riportato nella sfera della mano, compete qui una funzione ontologica fondamentale,perché essonomina la stessa differenza dell'essere e dell'ente, della presenza (Anwesen) e dei presente (Anwesendes) che Heidegger- non si stanca di richiamare alia ' " .
memona.
. .
-
-
[to chreon] puà solo significare l'essentificante nella prese-nzade! presente [lÚls "Wesendeim Anwesen des Anweseden], doe la relaZione, che nel genitivo (del) viene oscuramente all'espressione. Tó chreon e , cioe, il dare in mano [dasEinhiindigenJ dellapresenza,il qualedare in mano consegna [aushandigt] la-presenza al presente e, in n . termine
questo modo, trattiene in mano il presente come tale, doe
lo custodiscenella presenza[ibid J . Traducendo chreon con Brauch, Heidegger situa-l'uso in una dimensione ontologica. La relazione d'uso corre ora fra l'essere e l'ente, fra la presenza e ciã che viene alia presenza. Cio implica, natúralmeilte, ehe «uso» e «usare», Brauch e brauchen, siano sottratti alia sfera-di significato dell'utilizzazione e, come abbiamo visto per chresis e chresthai, testituiti alia lora originaria complessità semantica: Di solito intendiamo
il termine «usare».nel senso di uti-
lizzare e dell'aver bisogno all'interno di un adoperare. Cià di cui si ha bisogno neU'atto di un utilizzo diventa poi
)'usuale [üblich]. I:usato e in uso [lÚls Gebrauchte ist im Brauch]. In questo significata abituale e derivata, «uso»
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L'USO DEI CORPI
L'USO
come traduzione di to chreon non viene pensato. Noi ci atteniamo piuttosto al significato etimologico: brauchen e
bruchen, illatino frui, corrispondente aInostro termine te-
desco fruchten (fruttare), Frucht (frutto). Noi traduciamo liberamente come «gustare» (geniessen); ma niessen significa: esser lieto di una cosa e pertanto averlain. uso. Gustare nel significato derivato designa il mero mangiare e bere.
Il significato fondamentale di brauchen nel senso di frui lo si incontra, quando Agostino dice: Quid enim est aliud
quod dicimus frui, nisi praesto habere, quod diligis? In frui e contenuto:
praesto habere; praesto, praesitum significano
in greco hypokeimenon, za, l' ousia, ciã che
ciã che ci sta davanti nell'illaten-
e ogni
volta presente. «.Usare~~ significa
pertanto: lasciare esser presente qualcosa di presente come presente; frui,
bruchen, brauchen, Brauch significano: con-
segnare qualcosa al suo proprio essere e trattenerlo nelIa. mano che lo custcídisce come presente. Nella traduzione di
to chreon, l'uso ê pensara c~me l'essentificante nell'essere stesso. 11 bruchen -frui
non si dice ora piu del comporta-
mento dell'uomo che gode di qualcosa, in relazione a J n ente qualsiasi, foss'anche rente supremo (fruitio dei come
beatitudo hominis); piuttosto l'uso nomina ora il modo in cui l'essere stesso e come la relazione all'ente presente, che concerne e man-tiene l'ente presente in quanto presente:
to chreon [ivi,pp. 338-339]. 4.7. Che relazione c'ê fra quesro «uso» inteso come dimensione ontologica fondamentale, in cui r essere mantiene I'ente neUapresenza, e queUa «dimestichezza che usa e maneggia)~che, in Essere e tempo, nominava il modo d'essere deU'ente che I'esserci incontra per primo nel mondo? Vi ê, certo, piu che un' analogia fra I'affermazione «usare significa: lasciar essere presente qualcosa di presente come presente» e quella, nel par. 18 di Essere ~ tempo, secondo cui <
DEL MONDO
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che usa e maneggia», lo spostamento deU'uso dal piano deU'analitica deU'esserci a queUo deUa differenza ontologica sembra togliergli ogni concretezza e ogni evidenza. Che significa, infatti, che I'essere usa I'ente, che la relazione ontologica originaria ha la forma di un uso? Heidegger assimila a un certo punto I'uso alI'energeia. r;ente presente, egli scrive, e portato neUa presenza e ,nell'illatenza «in quanto, sorgendo da se stesso, si porta in essere da sé» e, insieme, «e posto in essere, in quanto ê pro-dotto dall'uomo». In questa prospettiva, cià che viene nella presenza ha iI carattere di un ergon, cioe, «pensato in modo greco, di un pro-dotto» (Hervor-gebrachtes); per questo, la presenza di cià che e presente, I'essere deU'ente si dice in greco: energeia (p. 342). Secondo la prossimità fra chresis e energeia che abbiamo già incontrato in Aristotele, uso "(chreon) e essere-in-opera (energeia)
L'usa DI SÉ