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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»
SABATO 3 NOVEMBRE 2012 ANNO 15 N. 43
IL SESSO DEL ROCK
IL NUOVO «GIRL SOUND» RIELABORA I LINGUAGGI DEL ROCK PER DEFINIRE LA FIGURA FEMMINILE
DIRTTI DEGLI ANIMALI
Dall’uomo al centro dell’universo all’umanità ridotta a batteria di polli
di BEATRICE ANDREOSE
●●●Un po’ di compassione. In una lettera inviata all’amica Sonja Liebknecht, Rosa Luxemburg la chiede per un bufalo al giogo che vede mentre si trova nel carcere di Breslavia. Una lettera da cui prende l'avvio un canto polifonico sul tema della sofferenza a cui gli animali sono sottoposti dalla crudeltà umana. «Saevitia in bruta est tirociniun crudelitatis in homines», la crudeltà verso gli animali insegna la crudeltà verso gli uomini. Per Tommaso d’Aquino, che nel XIII˚ secolo
E GLI STEREOTIPI CON CUI VIENE RITRATTA DAI MEDIA. GUIDA AI BRANI PIÙ «ESPLICITI», DA AMANDA PALMER A PEACHES
riprende l’affermazione di Ovidio, il rischio di diventare crudeli viene corso non solo dagli autori delle violenze ma anche da chi vi assiste. Pertanto, anche se l’uomo non ha alcun dovere diretto verso gli animali, ritenuti sempre al di fuori della sfera morale, deve però evitare spettacoli crudeli ai suoi simili. Secondo Kant «l'uomo deve mostrare bontà di cuore verso gli animali perché chi usa essere insensibile verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini». Questa la filosofia che oggi influenza la norma ma che, tuttavia, non evita spesso sofferenze o tortura nei
confronti degli animali. Il tema «La tortura e gli animali» è stato al centro di un workshop veneziano organizzato tempo fa dal Centro studi sui diritti umani - «Per i diritti del vivente, degli individui, delle comunità, dei popoli» - di Cà Foscari, che si occupa dei diritti umani di prima e seconda generazione, ma anche dei diritti collettivi, di quelli frazionari (genere, gruppi, etc.) e degli altri, quindi anche di quelli animali. Il seminario ha riunito attorno allo stesso tavolo, in una splendida sala con sguardo sul Canal Grande e il ponte di Rialto, etologi, filosofi,
giuristi, antropologi per fare il punto sul quadro giuridico e filosofico in merito alla sofferenza e, quindi, al benessere animale. Chi rammenta le urla strazianti degli animali macellati raccolti dal video realizzato da Alberto Grifi sul tema del mattatoio? Ebbene, ad ispirare i numerosi relatori del convegno il sottotitolo preso a prestito da Isaac Singer «Per gli animali è sempre Treblinka», vi sono anche alcuni numeri sugli allevamenti intensivi che nella sola Europa interessano circa due miliardi di volatili e trecento milioni di mammiferi.
Tutto inizia da Aristotele, Cartesio qualche secolo dopo teorizza che il discrimen tra coscienza ed incoscienza è il linguaggio, senza parola non esiste intelligenza né coscienza. Il paradigma «realista-cartesiano» considera l’animale interamente determinato dalla sua genetica e portatore di routines comportamentali. L’antropocentrismo pone al centro dell’universo l’uomo, tutti gli altri esseri viventi sono al suo servizio. La stessa etologia, lo studio delle SEGUE A PAGINA 16
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PAROLE E IMMAGINI
OMBRE LUSITANE
COVERSA ACABADA ●●●È possibile filmare la poesia? si direbbe di sì e la prova sono i maestri del cinema portoghese. Nel caso della «Conversazione interrotta» di João Botelho ne possiamo esaminare i particolari. Si mette in scena l' epistolario fra Fernando Pessoa e lo scrittore Mario de Sà-Carneiro, un intenso scambio di lettere, che si sarebbe interrotto solo col suicidio di Sè-Carneiro nel 1916. Bothelho mette in scena la nascita dell' avanguardia letteraria portoghese nei caffè, stanze d' albergo, music-hall, scorci e fondali. I dialoghi a distanza dei due protagonisti rendono palpabili le parola, il ritmo della lingua.
di GIANLUCA PULSONI
●●●«L’opera di Pessoa si dispiega dunque in un’estrema orizzontalità. Il che non impedisce che vi siano, in tale vasta superficie, piani, livelli e profondità dalle complesse configurazioni spazio-temporali». Queste parole, scritte da uno dei migliori filosofi italiani contemporanei, Alfonso Cariolato, possono essere utili al lettore al fine di collocare, in modo non erroneo, il rapporto tra il lusitano e il cinema: un rapporto poco se non affatto conosciuto, in cui la settima arte può essere appunto vista come un ulteriore piano o livello dell’esteso campo d’azione dello scrittore ma, allo stesso tempo, da intendersi come esperienza mai concretizzata fino in fondo, rimasta allo stadio di tentazione. A ricostruire e illuminare tale rapporto viene provvidenzialmente in aiuto un libro, edito in Portogallo dalla Babel, per la collana dell’edizione critica delle opere di Pessoa, diretta dallo studioso colombiano Jerónimo Pizarro, fra i massimi specialisti mondiali dell’autore. Il libro in questione si intitola Argumentos para filmes e raccoglie tutti i materiali pessoani relativi al cinema, dai soggetti che ha scritto, alle «fonti» da lui presumibilmente consultate; gli ispiratori, traduttori – di alcune parti, essendoci materiali originariamente in inglese – e curatori, sono la tedesca Claudia J. Fischer e l’argentino Patricio Ferrari: la prima, docente di traduzione letteraria e tedesco, nonoché ricercatrice in studi comparati, all’Università di Lisbona; il secondo, ricercatore post-doc, co-direttore del progetto di digitalizzazione della biblioteca di Pessoa e autori di numerosissimi lavori, anche in diverse lingue, sia su Pessoa che su Alejandra Pizarnik. Con Ferrari, studioso eclettico e geniale dell’opera del lusitano, soprattutto della parte poetica, si è discusso del libro, per focalizzare l’attenzione sulle probabili idee e possibili intenzioni dello scrittore in ambito cinematografico. ●Come è nata l’idea di questo libro? Il libro praticamente nasce dalla mia frequentazione delle carte pessoane, giorno dopo giorno, dallo spoglio alla biblioteca. Piano piano comincio a trovare e analizzare, nelle varie scatole, un documento sull’argomento «Pessoa e il cinema», poi un altro e un altro ancora. E così inizio a ipotizzare dei legami fra tutti questi materiali. Non sapendo che Pessoa avesse scritto delle cose di cinema e cominciando a trovare documenti a sua firma al riguardo, inizio a matter progressivamente da parte le mie scoperte. E questi documenti vedo che crescono di numero, tanto che all’inizio non avevo in mente subito un libro, ma semmai qualcosa di più breve, un articolo, o più effimero, come una conferenza. Ora, in Francia era già uscito il libriccino di Patrick Quillier, Court-Métrages, piccolo volume composto da quattro soggetti scritti per il cinema da Pessoa e, a quel tempo, avevo già più o meno trovato quasi tutto il materiale cinematografico pessoano, non solo tutti i soggetti da lui scritti, ma anche delle annotazioni. Vedo quindi che il libro di Quillier presenta solo una minima parte di quello che c’è nell’archivio e sicuramente, l’aver visto per la prima volta in forma di libro un lavoro sul rapporto Pessoa-cinema a partire da una frequentazione delle carte del poeta m’ha convinto, alla fine, a fare Argumentos. Ne ho sentito il dovere, per due ragioni: la prima, perché il lavoro francese era solo
PESSOA una traduzione e diciamo che quel volume copriva più o meno il cinquanta per cento del materiale che c’è sul cinema, perché per esempio lì non ci sono tracce riferite alla biblioteca, né tutti i soggetti e né le annotazioni; la seconda, perché in Portogallo non era stato fatto. Mi sono quindi messo all’opera. In quel momento mi ritrovavo già alla fine dello spoglio, o quasi, ho allora localizzato tutti i documenti e tutti i soggetti, anche quelli già tradotti in francese. E col resto del materiale trovato, specie le note, ho cominciato a dare forma al libro.
La tentazione irrinunciabile del cinema Incontro con Patricio Ferrari che giorno dopo giorno, esaminando le carte, ha raccolto tutti i materiali, soggetti, scritti, annotazioni, che collegano Pessoa, lettore di gialli, al cinema
●In base alla ricerca che avete svolto, come si potrebbe definire l’interesse di Pessoa per il cinema? Molto probabilmente come un interesse esclusivamente economico. Col cinema, ciò che sembra evidenziarsi è la sua intenzione di far soldi. Sappiamo che lui è a conoscenza del posto vicino alla sua casa di Lisbona dove venivano realizzati molti film all’epoca, gli studi della Portugalia Film – nel libro ne è riprodotta una pianta, è un luogo che esiste ancora ma che oggi è diventato sede, fra le altre cose, di una palestra – e lì intravede il potenziale di un possibile futuro da scrittore per il cinema, per produzioni nazionali o per vendere all’estero le sue storie. Ovviamente, per vendere all’estero, doveva sviluppare. E quello che lui comincia a sviluppare come soggetto è soltanto uno, The Multiple Nobleman: sviluppare – dico – perché è l’unico dei suoi soggetti in cui ci sono dialoghi, scritti in protoghese, e credo che questo dimostri che si tratti di un progetto pensato per il mercato interno del Portogallo. Comunque penso che forse lui non avesse le idee chiare su dove voler lavorare, se a Lisbona oppure all’estero. Certo poi, risulta comunque interessante vedere l’evoluzione nel tempo di questo interesse, e notare il fatto, per esempio, che sappiamo che aveva consultato un libro come The Cinematograph Exhibitors’ Diary: 1930, edito a Londra da S. Presbury & Co, contestualmente alla sua uscita, probabilmente per avere una cognizione più esatta e professionale del mercato cinematografico, via Gran Bretagna. Ma ripeto, credo pensasse al cinema solo per denaro, nonostante alcune intenzioni di sviluppo teorico e intellettuale, come forse dimostrano le note che abbiamo
ritrovato e che sono inserite nel nostro libro, come questa: «In so far as things are they cannot cease to be. Things pass in so far as they are not» o passaggi tratti da sue opere, come Erostratus, dove l’associazione che propone tra stelle del cinema muto come Mary Pickford e Valentino con piloti dell’epoca come Henry Segrave subisce l’influenza della visione critica sul cinema americano di un saggio di G. K. Chesterton del 1929, dal titolo On the Movies. Ci sarebbero poi da citare il sogno dell’Ecce Film, casa di produzione cinematografica che vagheggiava di fare, e l’idea di un cinema come via di propaganda nel Portogallo coevo, ovvero il progetto Cosmopolis. Nella prefazione lo spieghiamo, come il cinema poteva avere un ruolo nel Gremio de Cultura Portugueza. ●Puoi dirci di più su questi ultimi due riferimenti? È possibile che abbia pensato l’Ecce Film per un pomeriggio e basta. Ha lasciato il logotipo come ha lasciato il logotipo di altre cose. Io non ho trovato questa sigla in
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REQUIEM
O FILME DO DESASSOSSEGO
●●●Alain Tanner nel suo film del ’98 si ispira al romanzo di Antonio Tabucchi ambientato in una Lisbona dove aleggia lo spirito di Fernando Pessoa: il narratore sa di avere un appuntamento con lui, ma non sa quando nè dove. La base del film è un’allucinazione e non si deve dimenticare l’atmosfera di Lisbona in Dans la ville blanche che il regista girò nell’83: fa parte infatti anche quello della serie di incontri con i fantasmi del passato che rompono la consuetudine temporale. Una domenica di luglio, la più calda dell’anno, sulle orme del poeta, fantasmi e contemporanei intrecciano discorsi, regolano conti
●●●Il film dell’inquietudine, il libro dell’inquietudine: João Botelho dal Livro do Desassossego scritto da Bernardo Soares, uno dei molteplici eteronimi di Fernando Pessoa, realizza in pochi mesi nel 2010 il suo secondo film dall’opera del poeta dopo Conversa acabada. «È un puzzle aperto, sono centinaia di frammenti – raccontava Botelho - il Livro do Desassossego è un testo fantastico, terribile, folle e ha per lo meno tre indicazioni di carattere cinematografico». Autobiografia impossibile di un personaggio che non esiste, diario scritto in una stanza d’albergo che il protagonista condivide con altri se stesso che non conosce, ambientato in una Lisbona contemporanea e astratta. I sogni diventano visibili, con un Un ruolo determinante affidato alla musica, con la convinzione del regista che «la musicalità è tipica della scrittura di Pessoa».
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UN SOGGETTO INEDITO
Il gioco dei pacchi. Nota per un thriller o per un film di FERNANDO PESSOA*
altre carte, quindi forse ci ha pensato – voilà – un momento, un pomeriggio o in una settimana. Non credo di più. Però quello che è indicativo, e bello, è che lui abbia associato l’indirizzo a dove si trovava la Portugalia, dove – come detto – c’era già una piccola storia di vita cinematografica. Questo ci fa capire che Pessoa sapeva dove andare, qualora avesse voluto portare realmente avanti l’attività. Su Cosmopolis, e quindi la propaganda in Portogallo, penso conoscesse quanto era stato fatto con Sidónio Pais, i documentari dell’epoca. Le notizie, le news, tutto ciò che allora era la TV del tempo. Qui credo Pessoa intuisca un grande potenziale, ma non c’è però alcuna indicazione diretta per cui affermare che avesse pensato a progetti su qualche argomento. ●La scelta del genere thriller in molti dei soggetti cinematografici scritti da Pessoa è quindi dovuta a motivi squisitamente economici? E di formazione, perché tutto questo esce ovviamente da un Pessoa non lettore di
sceneggiature, ma sicuramente lettore di gialli. È chiarissimo. In generale, Pessoa legge e scrive e anche quando pensa a fare soldi: la «materia» esce dalle sue letture. Ora, non è il mio campo ma posso dirti, so che verrà, un articolo che potrà aprire piste in proposito, da parte di specialisti non solo di cinema ma soprattutto di gialli, e che debbano esserlo specialmente di quelli in inglese, contemporanei e precendenti allo scrittore. ●Tornando al libro. Si può quindi dire che questo vostro lavoro raccoglie tutta la documentazione pessoana inerente al cinema in modo pressoché definitivo? Io ho guardato lo spoglio una volta, dal primo foglio all’ultimo. Ti dico la verità, non ti posso assicurare al cento per cento che, facendo il secondo giro di spoglio, per altri lavori, non troverò annotazioni marginali o riferimenti. Quello di cui sono quasi sicuro è di non trovare un altro soggetto come gli altri raccolti nel libro. Una nota forse mi potrebbe essere scappata; un soggetto, invece, no.
●●●È un fatto conosciuto, dentro circoli diversamente interessati, che il Prof. A, che possiede un verde idolo d’incalcolabile valore (incalcolabile in diverse accezioni) da consegnare a B, in Europa, affidi quest’idolo al ben noto milionario C, in partenza col suo yacht verso l’Europa. Nel suo yacht C ha un buon numero di ospiti, diciotto in tutto, e, mentre tutti non gli sono abbastanza chiaramente noti nell’intimità, è praticamente certo che uno se non di più avranno molto probabilmente gli occhi puntati sull’idolo. Poco dopo la partenza della nave da New York, C, alla fine della cena, dice d’avere una proposta molto importante e divertente da fare ai suoi ospiti. Afferma che la missione gli è stata affidata e spera che i suoi ospiti si uniranno a lui nel seguirne l’evoluzione. Egli non sa realmente cosa aspettarsi o temere dalla sua ciurma. Così ha avuto venti pacchi preparati (assolutamente simili e tutti sigillati ermeticamente), e in uno di loro è contenuto l’idolo. Propone di dare un pacco alla custodia di ognuno degli ospiti, loro li ridaranno indietro solo all’approdo dell’imbarcazione in Inghilterra. Al pacco che conterrà l’idolo spetterà un premio di centomila dollari (o in alternativa, la persona il cui pacco contiene l’idolo potrà chiedere a lui qualsiasi cosa). Dopo considerevole eccitazione ed esitazione, tutti gli ospiti danno Ritratto di Pessoa e statua che riproduce il poeta, copertina di Cinematograph Exhibitor’s Diary 1930, in alto l’abitazione del poeta, copertina di «Argumentos para film»
Il soggetto di questo mistery scritto in inglese, per la prima volta tradotto in italiano, è contenuto nel libro a cura di Ferrari e Fischer parere positivo e i pacchi vengono portati. Gli ospiti li prendono casualmente e ognuno ne conserva uno, C stesso che conserva l’ultimo lasciato. Seguono innumerevoli, complesse avventure durante il viaggio, inclusa la scoperta da parte di uno degli ospiti disonesti che se il pacco contenente l’idolo viene trovato in possesso di qualcuno, e questi può pretendere qualcosa, potrà pretendere l’idolo per i termini stessi dell’offerta fatta da C. In realtà, C non ha l’idolo a bordo. Aveva deciso sia di garantire una consegna sicura sia di divertirsi, presumendo che fra i suoi ospiti ci fossero sicuro dei disonesti. Così aveva consegnato l’idolo a un amico, che molto semplicemente lo portò in Europa su una barca che salpò un giorno prima dello yacht; questo amico consegnò puntualmente l’idolo pochi giorni prima che lo yacht arrivasse a Southampton o Londra. La scena quando C, radunando i suoi ospiti,
riceve i pacchi aperti e l’idolo non viene trovato in nessuno di loro. Allora D, l’amico, entra e dichiara d’aver tranquillamente consegnato l’idolo tre giorni prima. C. spiega agli sconcertati e indignati ospiti: 1) che lui ha detto venti scatole, e lui e i suoi ospiti sono diciannove, 2) non sarebbe stato così sciocco, tanto da offrire «qualcosa» di valore non superiore al valore dell’idolo a chiunque lo tenesse se non fosse stato sicuro che nessuno lo avrebbe tenuto, sia perché il possessore avrebbe potuto chiedere l’idolo stesso e sia perché non ha piacere di regalar soldi stupidamente. *Si propone qui, per la prima volta in italiano, la traduzione di un soggetto per il cinema di F. Pessoa, scritto originariamente in inglese, e contenuto nel libro Fernando Pessoa. Argumentos para film a cura di Patricio Ferrari e Claudia J. Fischer, edito da Babel, Lisbona 2011. La traduzione è mia, si ringraziano Patricio Ferrari e l’editore per aver permesso l’operazione. Gianluca Pulsoni
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In copertina: Amanda Palmer
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2012, affinché possano ricrearsi la casa perduta in parte o totalmente. 1.500 euro li abbiamo spesi per materiali destinati alle scuole nell’ambito di Adotta una scuola (si può visitare il sito omonimo, ndr). Per seguire come spendiamo il denaro basta visitare il nostro sito http//mattoniproterremoto.jimdo.com
Foto di gruppo dei ComixComunity e i mattoni di Bonfa, Han Xu, Letizia Pedrazzi e Pierluigi Sangalli. Pagina a fianco in basso: «Convitto Falcone» di Pasquale Scimeca
di ELFI REITER LUCCA
●●●«100 fumettisti per 100 mattoni» è un’iniziativa promossa da ComixComunity, associazione culturale e artistica fondata con lo scopo – senza lucro – di valorizzare il fumetto e dare reciproca visibilità grazie alla rete, nel mondo reale e nel mondo virtuale, delle diverse realtà fumettistiche in Italia. Con sede a Reggio Emilia, il terremoto si era fatto sentire alla fine di maggio ed è per questo che l’associazione si è data immediatamente da fare per raccogliere fondi per le persone colpite al Bonvi Park nel mese di giugno durante la prima manifestazione fumettista dedicata all’inventore delle Sturmtruppen. Sotto lo slogan Don Camillo e Peppone per la ricostruzione. 100 fumettisti per 100 mattoni. Solidarietà per oggi, domani e dopodomani furono raccolti subito oltre 2.000 euro, grazie alla vendita di 35 mattoni-fumetti e qualche tavola originale donata. Un mattone, con disegno originale di un fumettista, pittore o illustratore o di una fumettista, pittrice o illustratrice, quindi opera d’arte unica e irripetibile, viene venduto a 50 euro l’uno a prezzo unitario con tanto di autentica compilata in doppia copia, una per chi acquista e una per l’autore. Sono a Lucca Comics, ospiti con uno stand del Cartoon Club nel Padiglione di Piazza Giglio. Abbiamo incontrato Cesare Buffagni (autore di intriganti trasposizioni a fumetto di alcune pièces di Shakespeare, anche presidente di ComixComunity) e Massimo Bonfatti (autore di Cattivik e Leo Pulp), entrambi soci fondatori dell’associazione, a Novellara nell’ambito di Uguali_Diversi, il festival delle culture, dove avevano uno stand per vendere e (far) disegnare mattoni e caricature. ●Chi ha avuto la splendida idea? M.B. Claudio Sacchi, il nostro ex presidente, e Davide Barzi, giornalista e sceneggiatore di fumetti, autore di saggi importanti su figure mitiche del fumetto (Le regine del terrore, sulle sorelle Giussani, creatrici di Diabolik, ndr). Sua la trasposizione a fumetto della saga di Don Camillo e Peppone: di qui l’idea dei mattoni sulla scia della più profonda simbologia di ricostruzione insita nel far disegnare su mattoni anziché su carta. ●Come mai il riferimento a Don Camillo e Peppone? C.B. È nato per associazione alla ricostruzione. I celeberrimi personaggi creati da Giovannino Guareschi, da un paio d’anni diventati protagonisti di una serie a fumetti, hanno passato due periodi in cui è stato necessario ricostruire: il secondo dopoguerra, dove sebbene di opposti schieramenti era indispensabile rimanere uniti nel paese ridotto in macerie; e poi l’alluvione che sconvolse la Bassa nel 1951. Anche in quel caso, con sudore, fatica e determinazione da parte di tutte le persone di buona volontà, al di là del loro credo e colore politico, la terra tanto amata da Guareschi seppe reagire e rialzarsi. Per questo, oggi, il prete e il primo cittadino sono ancora in prima linea per affrontare questa nuova prova a cui l’Emilia Romagna è chiamata. Ci sono buoni rapporti con gli eredi di Guareschi, entrambi i figli, Alberto e Carlotta, hanno appoggiato l’idea. Così ha fatto la ReNoirs Comics, casa editrice che pubblica i fumetti. L’abbiamo pensato come leitmotiv da indicare a chi decide di aderire, ma di fatto vuole essere solo d’ispirazione. Lasciamo completa libertà a tutti e a tutte che vogliono contribuire con un disegno. ●Ci potete indicare alcuni
Un mattone, con disegno originale di un fumettista, pittore o illustratore, opera d’arte unica e irripetibile, viene venduto a 50 euro per aiutare gli alluvionati dell’Emilia Romagna Dylan Dog, Mario Gomboli, sceneggiatore e editore di Diabolik; Fabio Govoni, pittore di postar; l’illustratrice cinese Xan Hu; Stefano Landini, disegnatore di Capitan America; Marilena Nardi, caricaturista e vignettista satirica; Pierluigi Sangalli, che ha creato il mitico Geppo (il buon diavolo) e Silver, autore di Lupo Alberto. La lista è lunga. ●Quanti ne avete venduti fino a oggi (20 ottobre, ndr)? C.B. Abbiamo superato il centinaio nella vendita, altri 50 sono in giro per l’Italia in fase di realizzazione. Speriamo che il numero cresca, il passaparola si sta innescando ora. ●Dove predete i mattoni e come li preparate? M.B. Un po’ li abbiamo comprati in cementifici, altri ce li hanno regalati alcuni muratori di cantieri. Poi, li puliamo e ci mettiamo una base di cemento bianco, alcuni li lasciamo grezzi. Dipende un po’ dalle richieste degli stessi fumettisti.
fumettisti che hanno già inciso i loro segni sui mattoni? M.B. Giancarlo Alessandrini, disegnatore principale di Martin Mystère; Roberto Baldazzini, fumettista erotico, illustratore e pittore; Daniele Bernabei, che è anche grafico caricaturista; Mirko Bovini, giovane disegnatore modenese di genere avventuroso e umoristico; Daniele Caluri, disegnatore di Don Zauker; Marco (Camme) Fantaman, del gruppo Krakatoa di Sassuolo, che a Lucca presentano la neonata rivista
Kazz8; Giorgio Casadei, musicista; Alfredo Castelli, genio del fumetto italiano e creatore di Martin Mystère, gli Aristocratici, Zio Boris, omino bufo e una miriade di altri personaggi; Massimo Cavezzali, specializzato in fumetti sui musicisti pop; Raoul Cestaio, uno dei migliori disegnatori di Tex; Clod, autore di Sturmtruppen, Nicoletta, Dado e Camilla; Paolo Cossi, friulano, che ha realizzato romanzi a fumetti molto belli, come Il grande male sul genocidio armeno; Giovanni Freghieri, disegnatore di
●I fondi raccolti dove vanno? C.B. Abbiamo deciso di seguire due strade, la prima per le necessità più impellenti e la seconda per scadenze secondarie anche più lunghe nel tempo per evitare il rischio che, passata l’onda emotiva, ci si dimentichi di chi ha bisogno dopo aver perduto tutto, o quasi. Com’è accaduto in alcune scuole, dove computer e altre attrezzature simili sono rimasti bloccati negli edifici inagibili. Mille euro li abbiamo già versati al comitato Abitare in pace, di cui è promotore e responsabile Tiziano Neri: aiuta famiglie di Cavezzo, un paesino distrutto nelle scosse del sisma del 20 e 29 maggio
«100 fumettisti per 100 mattoni»
●Questo è solo l’inizio… M.B. Al Lucca Comics presenteremo l’iniziativa con il filosofo Giulio Giorello e Roberto Leoni, del museo del fumetto MuF, con la speranza di spargere la voce. Abbiamo bisogno di appoggiarci ad altre manifestazioni, anche non di fumetti. Si possono creare anche partnership con organizzazioni di eventi, enti e altre associazioni, seguendo il motto che «nessuno si deve far bello con la solidarietà degli altri», affinché ognuno contribuisca per sé e per i terremotati. ●Qui sul tavolo vediamo anche «fumetti al trancio»… M.B. Li inventammo io e Silver, lui star e io semplice assistente, per una Lucca Comics anni 80. Poi l’ho esportato in ComixComunity che da anni lo propone in fiere del fumetto ma anche sagre o eventi vari allo scopo di beneficenza o autofinanziamento. Si tratta di disegnare su pannelli che poi vanno tagliati e venduti, come le pizzette al trancio. A seconda delle situazioni, ogni autore disegna un suo trancio, oppure tutti insieme, compresi bambini di passaggio o grandi autori, si riempie l’intero pannello con un’accozzaglia di disegni che si contaminano tra di loro, prima di ritagliarli a quadretti.
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LUCCA COMICS ●●●Ecco il programma di oggi della fantastica kermesse (dalle ore 12.45) Lucca Cosplay: la più attesa gara di cosplay in Italia (prima giornata, in collaborazione con associazione culturale Flash Gordon), Mele Verdi Story: Incontro con Mitzi Amoroso, Corrado Castellari, Melody, Stefania Bruno, Stefania Mantelli, Cristina Paiocchi e Claudia Cavaliere. Idol-Ambition Live Concert : Emanuela Pacotto in concerto, Power Francers Light Exhibition (a cura di Nintendo ), Dai Barbapapà a Mademoiselle Anne: Le Mele Verdi in concerto. Starring: Le Mele Verdi; Special Guest: Mitzi Amoroso; Backing Band: La Mente di Tetsuya, Seven Nippon e il Coro Arcobaleno. Kimi Ni Todoke il J-Pop di May's: per la prima volta in Italia in concerto; Baking Band: La Mente di Tetsuya (a cura di E-Talent Bank). Domani la più attesa gara di cosplay in Italia (seconda giornata, in collaborazione con ass. culturale Flash Gordon)
FOTOGRAFIA YUGO-TEDESCHI ■ INCONTRO CON BORIS KRALJ
La nostalgia non è solo moda. «I miss Yu», reportage da un passato vitale di NATASHA CECI BERLINO
BELLA FILM FESTIVAL
«Voglio raccontare il Cristo teenager» Incontro con Scimeca di MICHELE FUMAGALLO BELLA (POTENZA)
●●●È stato Pasquale Scimeca il protagonista della IX edizione del «Bella Basilicata Film Festival» che si tiene nel paese lucano dove si trova il «Centro Cinematografico Pietro Pintus» dedicato al critico sardo scomparso anni fa, che qui ha donato parte del suo patrimonio librario e archivistico. In programma alcune produzioni recenti che affrontano il Mezzogiorno d'Italia da varie angolazioni, con l'aggiunta di alcuni corti e lungometraggi in parte inediti sul piano nazionale. Anche se va detto che, fatto salvo il rapporto cinema-studenti (gli spettatori sono soprattutto loro) sempre utile, il rischio più grande in tutto questo è che la ricerca e l'analisi del pensiero critico di Pintus rischi di restare sullo sfondo. Un problema che è urgente affrontare, magari a partire dal prossimo volume di scritti del critico che amava Buñuel: una raccolta dei suoi testi pubblicati dal 1955 al 1960 sulla Gazzetta del popolo di Torino. Il libro, sponsorizzato dal Centro studi lucano, dovrebbe essere l'occasione per riprendere un discorso, in chiave locale e nazionale, su Pintus, critico
arguto e intelligente, del cui anticonformismo si sente la mancanza soprattutto oggi. Pasquale Scimeca, l'autore di film come Placido e I Malavoglia, ha dialogato con studenti e magistrati dopo la proiezione del suo nuovo film breve, Convitto Falcone. Un dialogo interessante tra nuove e vecchie generazioni, con al centro il problema della delinquenza organizzata che ritorna sempre e rimanda ai nodi non sciolti della storia e della politica italiana. Ma Scimeca ha voluto farci partecipi (anche come lettore e collaboratore del manifesto) del suo prossimo film, sull'infanzia e la gioventù di Gesù Cristo, La Casarsa, che rimanda all'antica rappresentazione teatrale che avveniva durante i riti della settimana della morte e resurrezione del Nazareno. «Sono intrigato dal fatto mi racconta - che la vita di Cristo fu fondamentalmente la vita di un ragazzo ebreo. Ma ho scelto la gioventù perché penso sia determinante nella storia del Cristo. Per due motivi, uno teologico, l'altro storico. Il primo perché Dio, dopo aver voltato le spalle agli uomini nel vecchio testamento, decide di mandare suo figlio sulla terra per vedere come sono diventati. Il secondo perché soltanto diventando uomo, quindi con la cultura e i costumi degli uomini (Cristo parla in parabole cioè nella tradizione tipica del racconto della realtà contadina e popolare), può capire la situazione». Ritorna il discorso su Pasolini (che Scimeca ama molto) ma per capovolgere l'approccio al Vangelo del regista friulano. «Per capire il Cristo devi partire dalla sua educazione e cultura ebraica. Ecco perché penso, a differenza di Pasolini che si concentra del tutto sulla predicazione adulta di Cristo, che invece bisogna partire dalla sua formazione precedente, anche per capire la nostra società del tutto scristianizzata». Riprese in Medio Oriente, con un cast di attori locali.
●●●Il fotografo Boris Kralj vive nel quartiere berlinese di Schöneberg, dove è nata Marlene Dietrich e dove John Fitzgerald Kennedy si dichiarò ein Berliner nel 1963. Di madre serba e padre croato, Kralj è nato a Göppingen, nei pressi di Stoccarda, ed è uno dei numerosi figli dei Gastarbeiter arrivati in Germania negli anni settanta. Kralj si definisce jugo-tedesco, prima di definirsi serbo o croato. Durante l’infanzia per un pomeriggio a settimana frequenta la scuola «jugoslava» e apprende la storia locale delle sue radici, la loro geografia, le gesta di Tito, il cirillico. «La maestra mi parlava del mio paese, ma io non ne sapevo nulla. In seguito ho iniziato ad andarci ogni estate con i miei genitori, per tutta la mia adolescenza. Quando dico che sono serbo la gente storce il naso, per tutto quello che è successo politicamente e non negli ultimi anni, ma se dicessi che fossi croato, invece, tutti avrebbero una espressione serena, pensando alle coste e alle isole. Ma io mi sento culturalmente e profondamente jugoslavo. Mio nonno era partigiano, mio zio è morto nella guerra d’indipendenza croata, e mia madre si è sempre definita jugoslava, prima che serba, detestando ogni forma di guerra». Boris torna in Jugoslavia, anni dopo, quando il paese così chiamato, di fatto non esiste più. Disorientamento politico e una crisi economica hanno scardinato definitivamente il vaso di Pandora delle rivendicazioni etniche o presunte tali. Lo scorso febbraio a Berlino Kralj presenta la sua personale fotografica su Belgrado: Yu & Me / My Belgrade, raccolta nell’omonimo libro fotografico, ordinabile attraverso il suo sito (www.boriskralj.de e www.mybelgrade.de) oppure su Amazon, a circa 30 euro. Il progetto fotografico, iniziato dodici anni fa, si snoda in dieci anni di pendolarismo tra Berlino e Belgrado. Dieci anni in cui la città serba si trasforma completamente. Al fotografo non interessa il ritratto oggettivo, moderno, di una città ma un percorso personale ed emozionale nei ricordi di un paese che non c’è. Il vecchio, il non rimosso, della sua, e non solo, storia. Ogni foto è un ricordo d’infanzia ed allo stesso tempo è testimonianza sia della non completa rottamazione della storia in qualcosa di vintage e sia degli inevitabili cambiamenti. Non tutti gli edifici rappresentati o i loro dettagli, come il prefisso «jugo», baluardo di una vecchia pubblicità, sono ancora presenti nelle stesse vie di Belgrado. Il repertorio urbano che emerge dagli scatti di Yu&Me è l’iconografia di uno spirito non visibile in assoluto, ma ancora presente nelle persone. I vecchi edifici di Belgrado sono brutali e maestosi allo stesso tempo. Sempre attraenti nel loro nascondere bellissimi dettagli, osservati come uno skyline che attraversa la periferia della città. Le immagini del maresciallo Tito si affastellano nei mercati delle pulci, come i turisti nel museo storico e una vecchia porta di un cinema
chiamato «Balkan» è solo una porta che suggerisce molte storie. Ora questo vecchio portone sta diventando un cinema multisala, rincorso dall’avanguardia. C’è una foto, scattata in inverno, con il logo dell’acqua minerale slovena Radenska sulla cima di una torre. Perché questa foto? «Ho alzato gli occhi e ho visto questo logo con i suoi tre cuori rossi. Ho ricordato subito la mia infanzia con i miei zii e cugini in Croazia, il sole il mare. Questi sono ricordi felici. Nello spot della tv commerciale il marchio era rappresentato da persone con i loro costumi tradizionali jugoslavi, volenti o nolenti questo è per me un simbolo emotivo, e credo anche per altri. Ora in Serbia è molto difficile trovare quest’acqua minerale, ma non in Slovenia, ad esempio».
L’iconografia consumistica è sempre uno spunto interessante per considerare la storia e le sue modifiche nel tempo. Ma quanto è diffuso oggi questo comune sentire nella gente di Belgrado? Oltre a cogliere l’attualità di una città attraverso la fotografia, Kralj intervista gli abitanti sulla loro percezione di un persistente spirito pre ex-Jugoslavia. Ciò che ne emerge è un quadro composito tra chi vuole dimenticare, chi teme gli spettri del passato e chi ritrova la propria appartenenza in un paese scomparso solo nella propria intima autobiografia. «Oltre a fare foto ho deciso di girare un video in cui chiedo a diverse persone, per le vie di Belgrado, se ancora per loro esiste uno spirito jugoslavo. Alcuni di loro mi hanno chiesto se fossi comunista. In realtà no, la mia è una nostalgia non politica ma culturale, anche se credo che nei paesi confinanti con la Jugoslavia ci fossero forme di comunismo ben più rigide. Questa forte appartenenza culturale che sento per la vecchia Jugoslavia e che non avverto tra i tedeschi per la Germania, mi è utile anche per provocare un dibattito vivace sul rispetto e la convivenza tra culture, portando anche curiosità verso il paese dei miei genitori». Questa stessa curiosità sta seducendo a piccoli passi gli attenti osservatori delle nuove terre da conquistare, artisticamente e socialmente. La città bianca (traduzione di «Belgrado» dal serbo) «New Belgrade» e «Alma»: due foto di Boris Kralj
Come catturare il persistente spirito «Jugo» dei belgradesi. Chi vuol dimenticare, chi teme gli spettri del passato e chi crede che quel passato non è mai morto... sta vivendo un momento di effervescenza creativa e c’è già chi osa paragonarla alle fucine alternative della Berlino di almeno vent’anni fa. Kralj, artista tra i due mondi, conferma e spera che questo non solletichi troppo gli appetiti dei falchi della gentrificazione che, ad esempio, ha trasformato la capitale tedesca in questi anni. Nonostante gli inevitabili problemi economici e sociali, la Serbia di oggi cerca di riscattarsi dal suo passato e di avvicinarsi politicamente, non senza qualche allergia euroscettica, all’Europa facendo mea culpa di orrori ed errori, consegnando criminali di guerra, non senza le tinte fosche che già il sociologo Aljoša Mimica, uno dei fondatori del Circolo di Belgrado (gruppo di intellettuali che si oppose negli anni novanta alla degenerazione della società serba), considera ancora presenti nella società. Disoccupazione, malasanità, abusi edilizi, la questione dei profughi dal Kosovo, Bosnia e Croazia, i rancori dei nazionalisti. Dietro l’alba c’è ancora un po’ di tenebra, dunque. Accanto al progetto di My Belgrade, Kralj fotografa attori, modelle e artisti noti, diramando il suo lavoro su una sponda fashion che potrebbe stupire gli amanti del suo approccio a Belgrado. L’artificialità delle foto di moda, la costruzione intrinseca che ne regola il linguaggio, si contrappone alla autenticità delle foto su Belgrado, in modo ludico, e non negativo. Le origini biografiche di questo approccio si ritrovano nell’attenzione della madre di Kralj per l’eleganza dell’intera famiglia, seppur poveri, nelle loro uscite pubbliche domenicali. «Ricordo sempre con tenerezza e ammirazione la cura che aveva mia madre nel vestirsi e che trasmetteva a noi. Eppure non eravamo certo agiati. Questa sua eleganza è sempre stato uno spunto per i miei ritratti di attori e foto di moda, è il fascino per l’artificialità che non necessariamente è falsità o inganno, almeno non nella fotografia. Mi piace giocare su questo doppio binario della autenticità/artificialità». A tal riguardo non sarà un caso che Kralj stimi e annoveri tra le sue passioni il duo olandese Inez van Lamsweerde & Vinoodh Matadin la cui produzione fotografica oscilla ambiguamente tra arte e moda. Inoltre i due fotografi sono stati tra i primi ad adoperare il computer per creare una foto composita dove posticce sono le immagini dello sfondo e delle modelle. Il prossimo lavoro fotografico di Kralj, a cui sta ancora lavorando, sarà I miss Yu. Lo stesso titolo è un gioco linguistico tra Jugoslavia, naturalmente, e una fantomatica miss di bellezza, ma la moda stavolta non centra. I ritratti saranno quelli di molte donne, come la madre, Gastarbeiter arrivate in Germania negli anni settanta. «Mi concentrò sul loro volto, su come reagisce e si emoziona, ad esempio, ascoltando l’inno e vecchie canzoni jugoslave. Sarà un viaggio intimo anche attraverso lo sradicamento emotivo di chi emigra, in questo caso qui in Germania, e la malinconia sentita per il proprio paese di provenienza».
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ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
LA GRANDE CRISI E IL SISTEMA CINEMA
PAY KASANDER PAY di UFFICIO STAMPA K.V.K. ITALIA
●●●Il libro lo ha scritto Jan Terlouw nel 1971. Un best seller da più di cinquanta edizioni nel mondo, tradotto in diciassette lingue, (in Italia Come diventare re), letto da milioni di ragazzi conquistati dalle avventure del giovane Stach, determinato a diventare re per cambiare le sorti del suo regno (Katoren) vessato dalle ingiustizie. A tale scopo deve superare il cinismo dei suoi concittadini, cimentarsi in una serie di prove iniziatiche e sconfiggerre altrettanti mostri, fino a ritrovarsi uomo, innamorato e con il sigillo del re al dito. Un romanzo di formazione che sembrò giusto per la trasposizione cinematografica al regista Ben Sombogaart (nomination all'Oscar per il film Twin Sisters), ai giovani attori Mingus Dagelet e Abbey Hoes, già idoli dei teenagers olandesi, e al produttore Kees Kasander. Proprio lui, che da sempre lega la sua attività al cinema di Peter Greenaway, ebbe l'idea di trasportare la vicenda dal visionario medioevo atemporale del romanzo ad un inquietante presente, trasformando i nemici del ragazzo in mostri contemporanei: i banchieri, le case farmaceutiche, le guerre di religione, l'inquinamento. Ad assicurare il senso del fiabesco del film, ci avrebbero pensato le locations prescelte: in Italia. Le strade della medioevale Glorenza (Sud Tirolo), la maestosa Rocca Albornoziana di Spoleto, a Caprarola, la torre e i sontuosi interni di Palazzo Farnese (già set per Ritratto di signora e Il Padrino III) e il complesso di archeologia industriale di Papigno (La vita è bella). Luoghi che hanno ospitato generosamente l'incredibile caravanserraglio della produzione olandese, animati da centinaia di facce locali, attori e comparse reclutate con uno scrupoloso casting sul campo. Una stima realistica ha quantificato in un milione di persone solo in Olanda, il pubblico in trepida attesa per l'uscita del film: ex ragazzi lettori del romanzo, adolescenti fans degli attori, bambini e famiglie pronte a riempire le sale olandesi (a partire dal 5 dicembre) e quelle del resto del mondo. Troppo bello per essere vero. Dietro al film si nasconde uno spaventoso disastro finanziario. Il produttore Kasander interrompe i versamenti concordati con regolari contratti, lasciando senza un soldo la società italiana da lui scelta per produzione esecutiva, la Cornelius Cinema e di conseguenza i nostri lavoratori dello spettacolo. Ministri, banchieri, osti, poveracci, cocchieri, farmacisti, ufficiali, maestre, camerieri, vecchi e bambini, cavalli, galline e caprette, tutto il popolo di Katoren, nonchè il re morto, hanno lavorato giorno e notte senza percepire alcun compenso. Tra tecnici, operatori, truccatori, fotografi e costumisti, solo pochi fortunati hanno avuto ciò che gli spettava, altri un piccolo anticipo, la maggioranza niente. A chiarimento della vicenda, la società di certificazione Rsm Italy Audit & Insurance ha appurato che la produzione olandese Kasander Film ha versato alla Cornelius Cinema la somma complessiva di euro 900.000 per le prime spese, su un budget concordato per contratto di euro 2.324.850. Accedendo alla pagina internet del produttore si può leggere che il budget complessivo del film, è di oltre 5 milioni di euro. Più dell'ottanta per cento del film è stato girato in Italia. Kasander pensava di liquidare i lavoratori locali solo con i primi 900.000 euro? E perchè sul sito ufficiale del film (koningvankatorendefilm.nl) tra le immagini di olandesine festanti abbracciate ai protagonisti è stato rimosso solo per l'Italia il trailer ufficiale (visibile peraltro su you
L’olandese volante, anzi sfuggente «Koning van Katoren» è stato girato sulla pelle degli italiani: il produttore Kees Kasander non ottemperando ai suoi obblighi contrattuali lascia centinaia di lavoratori senza compenso tube) nel quale appaiono una gran quantità di attori e comparse italiane? E pensare che la Netherlands Film Fund, ha finanziato il film con il supporto del Ministero della Cultura olandese e che la società assicurativa European Film Bonds di Copenhagen ha garantito il buon fine dell'operazione. Ma i soldi del Ministero non si sa dove siano finiti e l'assicurazione dichiara di non poter subentrare a salvataggio del film, perchè il suo intervento è previsto solo in caso di non rispetto del budget o irregolarità, mentre la Cornelius Cinema ha rispettato rigorosamente tempi, accordi e budget. Qualsiasi mediazione con Kasander e con la European Bond si è rivelata fallimentare. I creditori si organizzano e creano il comitato «Pay Kasander Pay» che si mobilita con iniziative di vario tipo per indurre il produttore
olandese a rispettare i contratti. Intanto, documenti alla mano, la Cornelius Cinema sta dando corso ad una serie di azioni legali non solo contro Kees Kasander, ma anche contro la European Film Bonds che avrebbe dovuto agire da garante. Come primo risultato si è ottenuto il sequestro delle ultime due settimane di girato da parte del tribunale di Amsterdam. Leggendo il documento ufficiale del sequestro emesso dal giudice sembra di essere ancora sul set del Re di Katoren, perchè inizia con un perentorio «In Naam der Konigin!», In nome della Regina! Ma l'euforia dura poco. Come dichiara candidamente il regista Ben Sombogaart alla giornalista dell'olandese dell'Algemieen Dagblad, i quattro dischi rigidi sequestrati dalla Corte di Amsterdam, con sequenze indispensabili per il film, erano stati precedentemente e illegalmente
duplicati: con quelle immagini di grande impatto è montato anche il trailer. Kees Kasander nega genericamente ogni accusa circostanziata e va avanti: «Vediamo il lato positivo - dichiara al De Telegraf - tutti ormai sanno che il film sta arrivando e non vi deluderà». Il produttore non sembra essere nuovo a problemi di questo genere. Goltzius and the Pelican Company, l'ultimo film di Greenaway - Kasander, che verrà presentato fuori concorso alla Festa del Cinema di Roma, è incappato in una storia simile con i partners inglesi e croati. Anche questo progetto era finanziato dalla Netherlands Film Fund, dal Rotterdam Media Fund, e «bondato» (cioè assicurato per la garanzia di buon fine) dalla stessa European Film Bonds. Quando la European Film Bonds ha dovuto prendere in
considerazione se assicurare nuovamente lo stesso produttore per un nuovo film (quello appunto da girarsi in Italia), ha ritenuto di ignorare i problemi già insorti ed ha acconsentito a procedere, salvo chiamarsi fuori quando sono scoppiati i guai. Ciò pone delle serie questioni sulla reale capacità di valutazione e l'affidabilità di tali garanti per gli investitori. La responsabilità di questo notevole buco finanziario di cui hanno, fin ora, fatto le spese gli italiani, grava dunque pesantemente anche sulla European Film Bonds, l'assicurazione mancata. Ci chiediamo: è possibile sfruttare un film senza il consenso di attori e comparse, avendo pagato solo in piccolissima parte organizzatori locali e maestranze che vi hanno lavorato? Giriamo la domanda al prestigioso distributore olandese Benelux Film Distributors, che sta
pubblicizzando entusiasticamente il film, insieme ad un centinaio di altri siti, utilizzando fotografie di scena non autorizzate dagli autori (perché non pagate). Sarebbe interessante anche il parere dei coproduttori Belgie Mollywood, Guy van Baelen & Jan Vrints. Ma più ancora ci piacerebbe conoscere in proposito il pensiero dell'anziano autore del romanzo Koning van Katoren, Jan Terlouw, già Ministro per gli Affari Economici in Olanda, nonché segretario generale dell' Ecmt (European Conference of Ministers of Transport) a Parigi e membro del Senato Olandese degli Stati Generali. Le comparse, studenti, braccianti rumeni, soci della Croce Rossa e della Lega Ambiente, magrebini che fanno capo alla Caritas hanno passato notti insonni sotto la pioggia. Jan Terlouw troverebbe in questo film pieno di ingiustizia linfa nuova per il suo prossimo romanzo?
ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
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SBATTI BELLOCCHIO IN SESTA PAGINA ●●●Sottotitolo «Il cinema nei giornali della sinistra extraparlamentare 1968-1976» a cura di Steve Della Casa e Paolo Manera, introduzione di Marino Sinibaldi (Donzelli editore, euro 18). Il Bellocchio del titolo si riferisce al film «Sbatti il mostro in prima pagina» (1972) assai criticato da Lotta Continua per le immagini stereotipate del movimento, dei giornali e della polizia. Del resto su Lotta Continua si attaccano anche i Taviani, Bernardo Bertolucci di «Novecento». Nel libro si riportano anche gli interventi da «Vedo rosso», «La vecchia talpa», « Giornale dei lavoratori», «Servire il popolo» ed anche i primi rari articoli comparsi sul «manifesto» a firma Piero Arlorio e lettere dei lettori che chiedevano di intervenire un po’ di più. Cosa che in seguito è stata fatta e che ha contribuito a dare una significativa svolta alla lettura del cinema rispetto al resto della stampa italiana.
UN AFFARE MILIONARIO In Olanda il libro Koning van Katoren è un pezzo di storia nazionale e la prevista uscita del film sta trainando un indotto milionario. Sulla storia del ragazzo che vuole diventare re, l'editore Leminscaat butta sul mercato una nuova edizione del libro per ragazzi, il musical per famiglie è in cartellone. Ora ecco arrivare in libreria il nuovo volume, corredato dalle fotografie di scena, con la «versione cinematografica» del romanzo venduto in 600.000 copie. Si pongono questioni scottanti: l'utilizzo delle fotografie a tale scopo non è mai stato concesso dal fotografo di scena, che ha scoperto solo incidentalmente la pubblicazione del volume con immagini di sua esclusiva proprietà.
In pagina foto di scena e di backstage del film «Koning van Katoren»
BOND COMPANY
Garanzia di buon fine? Tra un salmone e l'altro di COMITATO CREDITORI «PAY KASANDER PAY»
moderati arabi
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L’esercito di Rabat ha blindato la città di El Aaioun in occasione della visita di Christopher Ross, inviato speciale dell’Onu per il Sahara Occidentale. Eppure la protesta sahrawi dilaga: «via le truppe del re, referendum subito».
●●●I finanziatori e le banche, prima di accordare un finanziamento ad una società di produzione cinematografica, richiedono che il film sia garantito da una particolare compagnia assicurativa, una Bond Company (nulla a vedere con James Bond, ma bond in inglese significa garanzia). Questa assicurazione valuta tutti gli elementi del progetto per determinare i rischi dell'operazione e dopo un'attenta indagine, se decide di diventare garante, richiede il pagamento anticipato, prima che le riprese abbiano inizio, con una percentuale che va dal 3 al 10% del totale, secondo i rischi. Ma che cosa garantisce la Bond Company agli investitori? La cosa più importante è la garanzia di buon fine, cioè la certezza di ricevere il prodotto compiuto, in quanto un film non finito non ha alcun valore. Il concetto di «garanzia di buon fine» si è sviluppato negli anni '50 in Inghilterra, quando i produttori del dopoguerra in difficoltà non riuscivano a provvedere al finanziamento del film per mancanza di garanzie personali. A quel tempo le uniche possibilità di finanziamento erano date dalle società di distribuzione cinematografica, che però pagavano solo alla consegna. Ecco che il produttore inglese Robert Garret (famoso per aver decodificato il codice nazista Enigma) fonda la Film Finances le cui garanzie (bond) permettevano ai produttori di scontare in banca i contratti dei distributori che saldavano il conto solo alla consegna del film. Le Complition Bonds hanno un
enorme potere. Possono decidere di licenziare chiunque, anche il regista e lo stesso produttore, arrivando, con il take over, a prendere in carico l'intera produzione. Questo take over è però un provvedimento rarissimo nell'intera storia del cinema. È un'azione che viene comunque intrapresa di malavoglia perchè equivarrebbe ad ammettere di non aver valutato correttamente i rischi dell'operazione. Uno dei più recenti casi di take over è stato quello del film Le Avventure del Barone di Munchausen (1988) di Terry Gilliam. Appena entrato negli Studi di Cinecittà, il film ha iniziato ad accumulare incredibili ritardi. La Film Finances, dopo una prima esitazione, è subentrata nella produzione per poter consegnare il film agli investitori da loro garantiti e questo gli è costato ben 23 milioni di dollari. La European Film Bonds, è la Complition bond del film Koning van Katoren («To be King» per i paesi fuori dall'Olanda). È una piccola società assicurativa che copre il mercato scandinavo e del Benelux con qualche puntata anche in Inghilterra e non ha difficoltà a dichiarare che il loro ieratico metodo di lavoro è «scandinavo». Che vorrà mai dire? Lavorare tra una battuta di pesca al salmone e l'altra? La società ha sede a Copenaghen e ogni tanto riesce anche ad assicurare il buon fine di film di una certa importanza, come ad esempio Third Person di Paul Haggis della società di produzione belga Corsan con Liam Neeson, Kim Basinger, Adrien Brody, attualmente in produzione a Cinecittà. Per Koning van Katoren qualcosa deve essere andato storto,
appaiono evidenti errori di valutazione del rischio. Certamente dalla loro roccaforte di Copenaghen non si aspettavano una rivolta delle società di produzione esecutiva e di centinaia di creditori italiani. In questi casi lo scenario è sempre lo stesso. Colui che deve pagare accusa quello che deve ricevere i soldi di averli fatti sparire. Ecco che allora la European Film Bonds commissiona una certificazione indipendente della società italiana che ha gestito le riprese. Il verdetto è più che positivo, ma la European Film Bonds non vuole subentrare alla produzione di Kasander. Non lo hanno mai fatto e probabilmente non sanno neppure come si fa, certo è che la società italiana ha consegnato a Kees Kasander il film, con i complimenti del regista e del direttore della fotografia, rispettando tempi e budget. È un bel rompicapo che la European Film Bonds non si è mai impegnata a risolvere. Eppure il film risultava totalmente finanziato, le riprese italiane (più dell’80% del film) hanno rispettato tutti i parametri richiesti contrattualmente: i soldi sono finiti o sono spariti. Dove? Neppure a questa domanda la European Film Bonds sa rispondere. Noi, come Comitato di Creditori «Pay Kasander Pay», abbiamo cercato di far suonare la sveglia. Ma nulla si è mosso. Per loro, abituati alla vita tranquilla della Scandinavia, questo è un bel rebus che cercano di risolvere alla loro maniera. Invece di indagare, capire, scoprire e agire preferiscono perdere tempo con gli avvocati, per trovare, nei meandri del contratto di garanzia, una via di uscita alla Ponzio Pilato. Ma i creditori italiani non ci stanno e richiamano la European Film Bonds per non aver valutato attentamente i rischi, ponendo le seguenti domande ancora in attesa di risposta: - E' vero che il produttore Kees Kasander ha avuto problemi simili su un film precedente, sempre da voi garantito? - Sono state fatte delle verifiche sulla capacità del produttore Kees Kasander di organizzare il cashflow con le banche? - Perché nessun rappresentante della European Film Bonds si è fatto vedere durante le riprese in Italia? - Perché all'interno della European Film Bonds qualcuno era contrario ad assicurare il produttore olandese Kees Kasander? Aspettiamo con impazienza di incontrare il produttore olandese al Festival di Roma dove presenterà un suo film. Nel frattempo stiamo dando corso ad azioni legali per concludere positivamente la vicenda, che altrimenti finirebbe inevitabilmente con il blocco del film. Presto la legge ci dirà se protegge i furbi o i giusti!
AMICI ANIMALI COMPAGNI DI STRADA Della vivisezione sugli animali non ne so molto oltre al fatto che mi fa orrore che sono contraria, totalmente contraria, che so che se ne può fare a meno e che nella mia vita di cittadina nata e vissuta qui dove la natura è stata completamente addomesticata ho sempre sentito gli animali come sfortunati e vessati compagni di strada e amici che potevo solo cercare di aiutare nel mio infinitesimamente piccolo modo. Da bambina sognavo di diventare veterinario, sono figlia unica di genitori divisi e complicati, mia madre mi affidò fin da piccola alla sorveglianza di Doc un incrocio tra bracco e segugio che mi seguiva passo passo nei miei giri e sempre mi riportava a casa, puntuale e fedele, faccio parte di un’era lontana in cui a Roma anche da bambini si poteva razzolare nei quartieri. Con lui ho condiviso tutto anche i salvataggi. Il mio migliore amico di quando avevo 11 anni era il figlio del veterinario del quartiere e insieme salvammo ed adottammo vari casi disperati, suo padre prestava le prime cure e io costringevo mia madre all’adozione e Doc sopportò amichevolmente l’arrivo del gatto Gimmi e del bellissimo lupo con la poliomelite Alì, che trovai mentre arrancava sulle sole zampe anteriori rischiando di finire arrotato dalle macchine in un giorno di Pasqua dello scorso millennio. Quando morì gli erano accanto Doc e Gimmi a fargli coraggio. Poi negli anni ci sono state varie generazioni di gatti di cui al momento due sono miei conviventi Gattotoro e Shamkat. Per ognuno di loro ci sono racconti di mille avventure che hanno fatto addormentare figli e nipoti. Mi ricordo un bel libro uscito nel 1975 di Fulco Pratesi che si chiama Clandestini in città che parla di tutti quegli animali selvatici che si sono rifugiati nell’ambiente urbano, chissà se c’è stato un aggiornamento, ora Roma è piena di gabbiani che spadroneggiano sui cassonetti rendendo la vita dura alle rondini a cui rubano le uova, di stormi di storni, un tempo c’erano le nutrie con i dentoni arancioni nel laghetto di villa Panfili, chissà dove le avranno deportate, adesso ci sono molti pappagalli tropicali, una ventina di anni fa mentre scendevo giù per la parte stretta di via delle Fornaci inchiodai per permettere l’attraversamento ad una famiglia di galline, almeno tre volte mi è successo di incrociare una volpe e sul grande cedro del libano sopra casa mia aveva nidificato un grande allocco. La quantità immensa di rifiuti che straborda dai nostri cassonetti inevitabilmente ha la sua notevole attrazione per chi ha fame uccello o mammifero (umano e non) che sia. Adesso la città è diventata un’enorme metropoli che si estende per chilometri e chilometri di cemento e c’è ancora qualcuno, diciamo pure tutti, che si fa propaganda politica favorendo costruttori e palazzinari e di verde ce n’è sempre meno. Ma i topi, invece ci sopravivranno come razza perché sono più forti e tanti, e dotati di grande intelligenza genetica e chissà cos’altro. Chissà come sarà il mondo quando i topi saranno la razza dominante del pianeta terra come in un film di fantascienza tipo «Pianeta delle scimmie», chissà se ci sarà ancora il mondo o si sarà sciolto nei propri ghiacci, affogato nelle onde anomale, autodistrutto con le bombe atomiche contrabbandate come sigarette e finite nelle mani di qualche dottor Stranamore, chissà? Chissà? chissà? Come nella canzone. Nel frattempo invito i miei compagni di genere a smetterla con le torture.
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ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
TRANSCULTURALITA’
SPORT
In posa col burkini
di PASQUALE COCCIA
●●●Lo sport a Torino sveste le donne musulmane per portarle sulla via dell'integrazione e della liberazione del corpo. Il merito è dell'Uisp, l'Unione italiana sport per tutti, che come prevede la denominazione si adopera nei fatti affinché sia data a tutti la possibilità di praticare lo sport. Quattro anni fa l'ente di promozione sportiva che ha radici di sinistra, recependo una richiesta delle donne musulmane di avere uno spazio proprio per fare sport, avanzata all'assessore all'Integrazione del comune di Torino, ha dato vita a Borgo Vittoria, un quartiere operaio dell'estrema periferia torinese, a un progetto di integrazione chiamato «Piscina al femminile». «Nel 2008 ricevemmo la richiesta da parte di un gruppo di donne musulmane di avere una piscina tutta per loro dove nuotare - dice Patrizia Alfano presidente dell'Uisp di Torino ci incontrammo per capire quali fossero le loro esigenze e in quali orari fossero più libere in rapporto alle esigenze di lavoro e a quelle di famiglia, ma ci opponemmo all'idea che la piscina fosse aperta solo alle donne musulmane, per noi era importante che fosse riservata alle donne in generale, altrimenti il processo di integrazione veniva meno. Prima che iniziasse il corso di nuoto, i mariti vennero a controllare che non vi fossero vetrate verso l'esterno e alcuni finestrini abbiamo dovuto coprirli, hanno controllato nei minimi particolari. Per me che mi sono battuta per l'emancipazione della donna è stato un vero shock. Si sono fidati, adesso si limitano ad accompagnarle e a venirle a prendere. L'occasione del corso di nuoto ha rappresentato un momento importante di integrazione, e per loro la possibilità di uscire dall'isolamento, da quegli sguardi che a Torino ti tengono distante, questa esperienza le ha rese più libere - continua Alfano - le donne impegnate nel progetto «Piscina al femminile» sono 80 delle quali 60 musulmane. All'inizio di questa esperienza le donne musulmane erano felici, sprizzavano gioia, come delle bambine, tanto che spesso violavano le regole, come invadere le corsie riservate alle donne che nuotavano liberamente e abbiamo dovuto richiamarle a un maggior rispetto degli spazi. Non erano abituate al fatto che qualcuno si occupasse di loro, le insegnasse a nuotare, perché non avevano mai praticato lo sport e il movimento inteso come benessere fisico» conclude la presidente dell'Uisp di Torino. I paesi di provenienza sono l'Egitto, l'Iran, la Tunisia, il Marocco e la Somalia. Alcune di loro sono casalinghe, altre badanti, soprattutto quelle somale, una buona metà svolgono lavori di mediazione culturale, e molte di loro sono anche impegnate politicamente tra i No Tav in Val di Susa. Ogni domenica dalla 10 alle 12, alla piscina Massari quattro donne per l'organizzazione e tre istruttrici per i corsi di nuoto, opportunamente formate, sono impegnate nel progetto, che riserva i corsi di nuoto anche alle bambine musulmane dai 6 ai 12 anni. Le donne musulmane pagano solo l'iscrizione al corso, al resto delle spese pensa l'Uisp, che con la chiusura al pubblico perde introiti sicuri. «Alle prime lezioni di nuoto alcune donne, soprattutto quelle più anziane, si sono presentate con il burkini, che copriva tutto il corpo dalle caviglie ai polsi fino al capo, un costume con gonnellino in uso in Italia negli anni '40 del secolo scorso, altre indossavano un tutino che copre dalle ginocchia all'ombelico, a seconda della nazionalità di provenienza - dice Paola Voltolina, una delle istruttrici di nuoto – si cambiano in spogliatoi separati, perché considerano il corpo delle donne occidentali impuro. Oggi alcune di loro si scoprono parti del corpo, non portano il velo sul capo, si sentono più libere. Ai corsi di
TRANSIZIONE E «VITA NUOVA»
TORINO ■ INIZIATIVA UISP A BORGO VITTORIA
Come spogliarsi da tradizioni molto scomode L’esperimento riuscito «Piscina al femminile» permette anche alle donne dell’Islam più ortodosso di fare sport e liberare il corpo nuoto abbiamo fatto seguire anche momenti di incontro extra nei quali vediamo dei video, discutiamo e ci poniamo domande reciproche sulla condizione delle donne nei loro paesi e in Europa. Sono contente di rispondere alle nostre domande, capiscono che c'è curiosità. Abbiamo imparato a rispettare le differenze tra le nostre culture. Le donne occidentali hanno il mito del corpo magro per piacere agli uomini, loro quello di essere un po' cicciotte, lo ritengono più sexy». Il lavoro difficile, paziente, intelligente delle donne dell'Uisp di
Torino per favorire il processo di integrazione, va ben oltre le corsie del nuoto della piscina Massari, le indicazioni tecniche delle istruttrici. Tra le donne della comunità musulmana a Torino e l'ente di promozione sportiva si è ormai creato un clima di collaborazione stretto e di condivisione di occasioni che mescolano storie, culture e personalità diverse. Non solo confronti, film e dibattiti, ma anche feste. «Ci invitano alle feste musulmane, almeno tre volte all'anno, vi sono cibi interetnici, balli e musica. Noi organizziamo ogni anno la festa dello
sport delle donne musulmane, che quest'anno si terrà il 4 novembre, alla quale partecipano circa 200 donne dai 6 ai 60 anni. Si svolge proprio a Borgo Vittoria, dove oltre alla piscina Massari vi è un complesso sportivo polivalente con una palestra e il palaghiaccio. Per un'intera giornata duecento donne in festa possono praticare sport con l'aiuto delle nostre istruttrici. L'esperienza di «Piscina al femminile» - conclude Paola Voltolina- che si realizza a Torino è unica in Italia, tanto che l'associazione nazionale delle donne musulmane ci ha chiesto di adoperarci perché in altre parti
d'Italia si possano offrire queste opportunità». Che pensano dell'esperienza promossa dall'Uisp a Borgo Vittoria i maschi della comunità musulmana di Torino? «Questo progetto di piscina femminile è un esempio per tutti di lavoro preciso, curato, di successo al servizio della comunità musulmana e della società in generale - dice Omar Jibril- tante donne vorrebbero fare piscina ma non hanno il coraggio di farsi vedere in costume dai maschi. Ringraziamo l'Uisp per questo lavoro e tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione del progetto».
Una scienza nuova, una vita nuova. Ho iniziato sei anni fa la collaborazione con Alias, invitato da Roberto Silvestri, per entrare in dialogo con i giovani. Poco mi interessavano e meno mi interessano gli intellettuali di professione, amanti delle discipline e non delle scienze, delle tradizioni e non delle conoscenze - se non quelli fra loro che sono stati giovani e se ne ricordano ancora. Dialogare con esseri umani plastici e leggeri sul mondo grande e terribile, scosso da una crisi di civiltà. Il principale autore di riferimento, diciamo pure il fratello maggiore dei miei fulmini e delle mie saette è stato Antonio Gramsci, entrato giovane in carcere, a 35 anni, e morto undici anni dopo, ancora giovane, a 46. Perché il Gramsci dei Quaderni? Perché Gramsci e i suoi Quaderni, scritti tra il 1929 e il 1935, hanno illuminato la mia giovinezza, e sono qui, alle soglie della vecchiaia, a ringraziarlo ancora. Nel 1975 avevo 27 anni, e accanto a un altro giovane, Luis Razeto, esule dal Cile di Pinochet, ho riletto i Quaderni - che avevo già letto nella Edizione Tematica sorvegliata da Togliatti pubblicata tra il 1948 e il 1951 nella Edizione Critica curata da Valentino Gerratana (1919-2000) e pubblicata proprio quell’anno dalla casa editrice Einaudi. E ho scoperto, sempre sia beata la spietata filologia ben connessa alla buona filosofia, che Gramsci aveva intrapreso in carcere una profonda autocritica della sua precedente esperienza politica e teorica, segnata dal marxismo e dal comunismo, e aveva avviato la costruzione di una nuova scienza, la «scienza della storia e della politica». Il primo elemento di questa scienza, come lui l’aveva impostata e come Luis ed io abbiamo sviluppato e continuato creativamente, era ed è la teoria della «crisi organica», cioè l’analisi scientifica della natura storica e delle soluzioni possibili di questa crisi di civiltà che oggi viviamo nella sua fase terminale e allora, negli anni Settanta del Secolo Breve, andava globalizzandosi, e ancora prima, negli anni Trenta, Gramsci coglieva nella sua fase iniziale. Così, abbiamo scritto saggi, e comunicazioni a convegni gramsciani, su tutto questo, e due libri, il primo edito nel 1978 da De Donato, Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci, e il secondo inedito, Politica e partiti nella critica di Gramsci, dei quali poi, negli anni Dieci del Duemila abbiamo elaborato l’Edizione Critica e si trovano ora nei nostri siti. Ed ecco, la collaborazione con Alias, ha significato anche questo, per me: scrivere sempre più decisamente per i giovani, allargando le ricerche avendo in mente come lettori, e lettori potenzialmente attivi grazie alle reti telematiche, non gli ossificati specialisti della sociologia e della politologia bensì gli esseri umani in ebollizione, in formazione, in costruzione – decisi a lasciare i porti più protetti, a stivare le idee più consolatorie, per navigare il futuro. Una scienza nuova per una vita nuova. E così è nato La Vita Nuova, il nuovo libro scritto con Luis, ancora a partire da Gramsci ma ancora più creativo dei precedenti, che qui ti segnalo, nostro lettore, nostra lettrice: http://www.uvirtual.net/spuv/la-vita-nuova Facci sapere. www.pasqualemisuraca.com
ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
I FILM
SINTONIE
BALLATA DELL'ODIO E DELL'AMORE
di tornare alla sua professione.
DI ÁLEX DE LA IGLESIA, CON ANTONIO DE LA TORRE, CARLOS ARECES. SPAGNA 2010
VENUTO AL MONDO
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1937. La Spagna è nel mezzo della Guerra Civile. In un circo il Pagliaccio Tonto viene interrotto nel bel mezzo dello spettacolo e reclutato con la forza da un gruppo di miliziani. Viene condotto in battaglia contro un plotone di soldati franchisti, che massacra quasi da solo prima di esser fatto prigioniero. Da questa scena arriviamo al 1973, gli ultimi giorni del regime di Franco. Javier, il figlio del Pagliaccio Tonto, sogna di seguire le orme del padre, ma ha visto troppe tragedie nella sua vita e per questo deve rassegnarsi al ruolo di Pagliaccio Triste. Trova finalmente lavoro in un circo, dove è costretto a subire le angherie di Sergio, il brutale Pagliaccio Tonto (interpretato da Santiago Segura) che lo umilia durante e fuori dallo spettacolo. Incontra però anche Natalia, la bellissima acrobata. Leone d’argento al festival di Venezia del 2010 per la miglior regis e la miglior sceneggiatura. CODE NAME: GERONIMO DI JOHN STOCKWELL, CAM GIGANDET, ANSON MOUNT. USA 2012
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Sono passati 10 anni dagli attacchi dell’11 settembre: da allora, l’intellingence americano ha scatenato la più grande caccia all’uomo di tutti i tempi. Nel 2011 però, la CIA decide di selezionare un’unità speciale di Navy Seals, per una missione segreta in Afghanistan, obiettivo: trovare e uccidere Osama Bin Laden. UN MILIONE DI GIORNI
DI EMANUELE GILIBERTI, CON PIERA DEGLI ESPOSTI, NINO FRASSICA. ITALIA 2012
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Mentre passeggia con la servetta Concettina, un duca siciliano racconta quattro storie di donne nel giorno più significativo della loro esistenza: Franca Florio, di condizione privilegiata, si annoiasse e fosse infelice; la seconda ha come protagonista Costanza d'Altavilla, che partorisce il figlio Federico in piazza a Jesi per dimostrare l’autenticità della sua maternità, poi una prostituta posa per il quadro «Seppellimento di Santa Lucia» di Caravaggio e infine una donna considerata una santa dai compaesani. THE ODD LIFE OF TIMOTHY GREEN DI PETER HEDGES, con Joel Edgerton, Jennifer Garner. usa 2012
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Fantasy su un ragazzino con poteri magici la cui personalità incide profondamente sulla gente della sua cittadina (produzione Walt Disney). Tutto ha inizio quando una giovane coppia nasconde in giardino una scatola con i loro desideri per la nascita di un bambino. Il loro sogno diventa realtà quando bussa alla loro porta Timothy, un ragazzo che nasconde delle incredibile qualità. PARIS-MANHATTAN DI SOPHIE LELLOUCHE, CON ALICE TAGLIONI, PATRICK BRUEL. FRANCIA 2012
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Commedia romantica alla francese. Alice è giovane, bella e farmacista. L'unico problema è che è ancora single, anche perché il suo pensiero fisso è Woody Allen. E incontra proprio Victor che la corteggia, ma che non ha mai visto nessuno dei celebri film del regista.
REGIA: SERGIO CASTELLITTO, CON PENÉLOPE CRUZ, PIETRO CASTELLITTO. ITALIA 2012
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Una mattina, Gemma s’imbarca su un aereo, diretto a Sarajevo, trascinandosi dietro il figlio sedicenne Pietro. Ad attenderla all’arrivo c’è Gojko, poeta bosniaco, amico, fratello, amore mancato, che ai tempi delle Olimpiadi invernali del 1984 condusse Gemma verso l’incontro sentimentale della sua vita, il fotografo «di pozzanghere» Diego. VICINI DEL TERZO TIPO DI AKIVA SCHAFFER, CON JONAH HILL, BEN STILLER. usa 2012
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Nella periferia di una città, un gruppo di genitori costituisce una ronda notturna per combattere un potere soprannaturale che è intenzionato a distruggere il mondo. AMOUR DI MICHAEL HANEKE, CON JEAN LOUIS TRINTIGNANT, ISABELLE HUPPERT. FRANCIA AUSTRIA 2012
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Palma d’oro a Cannes, duetto d'amore e crimine tra musicologi ottuagenari e conservatori alla prova della morte. Un feroce ma classico film da camera, nobilitato dalle dodecafoniche performance di Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, che a Cannes ha messo d'accordo tutti, critica, pubblico e la giuria guidata da chi (Nanni Moretti), nel 1997 aveva giurato perenne odio all'autore - troppo sadico, troppo cinico, troppo mitteleuropeo. (r.s.) ARGO DI BEN AFFLECK, CON BRYAN CRANSTON, BEN AFFLECK. USA 2012
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Alla sua terza regia Ben Affleck racconta un fatto inedito della crisi esplosa tra l'Iran gli Stati uniti nell'era Carter, venuto alla luce solo qualche anno fa, quando Bill Clinton ha autorizzato la declassificazione dei documenti Cia che lo riguardavano. Argo si muove tra la dimensione del thriller politico in stile I tre giorni del Condor (di Sydney Pollack, 1975) e una commedia dell'assurdo. Più di tutto riflette quell'idea di «spettacolo» hollywoodiano politico/intelligente portata avanti dal suo produttore George Clooney in film come Three Kings (tuttora uno dei migliori film sugli americani in Iraq), Syriana e L'uomo che fissava le capre. (g.d.v.) LA COLLINA DEI PAPAVERI
DI GORO MIYAZAKI. ANIMAZIONE. GIAPPONE 2011
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Unico evento: nei cinema il 6 novembre in oltre 100 sale. È il secondo film di Goro Miyazaki dopo Il racconto di Terramare. A Yokohama nel ’63 alla vigilia delle Olimpiadi, durante la disputa per la demolizione di una vecchia casa in legno della scuola, la sede dei club scolastici di filosofia e di astronomia, due esponenti degli studenti delle scuole superiori del «Nuovo Giappone» Umi e Shun si innamorano, ma quando per conoscersi meglio cominciano a raccontarsi reciprocamente le storie delle rispettive famiglie, scoprono di avere un segreto che li accomuna. UN’ESTATE DA GIGANTI
RED LIGHTS DI RODRIGO CORTÉS, CON ROBERT DE NIRO, SIGOURNEY WEAVER. SPAGNA USA 2012
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La psicologa Margaret Matheson e il suo assistente studiando le attività paranormali, sono portati a indagare sulla figura di un medium molto famoso, rimasto rintanato per trent’anni, fino a quando non decide
DI BOULI LANNERS, CON ZACHARIE CHASSERIAUD, MARTIN NISSEN. BELGIO 2010
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Non ci sono che i belgi per creare paura senza per questo entrare nel genere horror, semplicemente raccontando la vita quotidiana. I ragazzini quattordicenni di Lanners (attore di più di cinquanta film da Toto le Héros ad Astérix) sono in vacanza nelle Ardenne, lasciati soli nella
A CURA DI SILVANA SILVESTRI CON MARIUCCIA CIOTTA, GIULIA D’AGNOLO VALLAN, ARIANNA DI GENOVA, MARCO GIUSTI, CRISTINA PICCINO, ROBERTO SILVESTRI
IL FILM LA NAVE DOLCE
casa del nonno che non c’è più da una madre che non tornerà. Sopravvivere, divertirsi e difendersi da adultu farabutti, questo è il programma delle loro vacanze, con un andamento da fiaba feroce, proprio di quelle che nascevano nelle corti nel cuore dell’Europa semplicemente ispirati a fatti di cronaca. (s.s.)
DI DANIELE VICARI. DOCUMENTARIO. ITALIA 2012
IO E TE DI BERNARDO BERTOLUCCI, CON JACOPO OLMO ANTINORI, TEA FALCO. ITALIA 2012
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Il cineasta che esordì nel 1962 con La commare secca si è occupato questa volta di coreografare nel tempo gli arditi movimenti di sopravvivenza psicofisica di Lorenzo, quattordicenne mirmecologo d'oggi cui i coetanei mal s'adattano e che viene dunque bollato come sociopatico da curare nel cervello. Sono solo concettuali, ma non meno sensuali, questa volta, i caratteristici dolly danzanti che accarezzano la lotta di Lorenzo per entrare, con maggiori autodifese possibili, nell'età adulta, umana stavolta, non solo a geometria animale. Concentra il suo sesto film «romano» quasi tutto nello spazio claustrofobico, spazialmente ma mentalmente infinito, di una cantina, e nel «duetto per cannibali» tra Lorenzo e la sorella Olivia, quoziente di difficoltà altissimo e demodé, missione compiuta. (r.s.) OLTRE LE COLLINE
DI CRISTIAN MUNGIU CON COSMINA STRATAN, CRISTINA FLUTUR, ROMANIA 2012
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Il fondamentalismo religioso non è sola lucida strategia politica che si fa movimento identitario antisistemico di massa. È anche una pericolosa follia, un automatico movimento «introverso» di chiusura culturale. Soprattutto nelle zone geografiche più isolate, come la Romania, il paese latino strozzato da una cintura slavofona impenetrabile, in cui tre quarti della popolazione rurale è costretta all’emigrazione coatta, tra infanzia abbandonata, violenze e incestuose abitudini. Proprio qui, nel 2005, in un piccolo e sperduto monastero cristiano ortodosso della Moldavia, un'esorcismo finì tragicamente. Premiato a Cannes per il copione (di implacabile fluidità accademica) e per le interpretazioni ipnotiche di Cosmina Stratan e Cristina Flutur, questo saggio verde sporco sulla superstizione religiosa, in 150 minuti scodella tra l’altro la lunga lista dei peccati «ortodossi» - 464 in tutto - che conducono irrimediabilmente all'Inferno. E che la Palma d’oro 2007 Mungiu, cerca di esorcizzare con altrettanti movimenti di macchina che dovrebbero condurre, inevitabilmente, in Paradiso. (r.s.) SKYFALL
DI SAM MENDES, CON DANIEL CRAIG, JUDI DENCH, JAVIER BARDEM, USA 2012
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Grazie alla sceneggiatura di Meal Purvis & Robert Wade con il supporto di John Logan, Sam Mendes si è trovato tra le mani la migliore avventura di 007 da molto tempo a questa parte. Sicuramente il primo film della serie che rivaleggia con quelli di Sean Connery. Questo perché Daniel Craig ha la faccia sbattuta di uno che sembra indulgere un po’ troppo con l’alcol, in compenso sfodera un fisico costruito con fatica quotidiana in palestra, poi, consapevole del fatto che il tempo sia passato e i tempi cambiati non è più così spudoratamente sciupafemmine. Addirittura M, per tenerlo in servizio dopo che era stato dato per morto, deve fare in modo che siano falsificati i suoi test attitudinali, altrimenti non potrebbe fiondarsi nell’azione per combattere il perfido Silva. Qui c’è il cinema, con le sue emozioni, i suoi sussulti, i suoi ricordi frullati in un paio d’ore che riconciliano con il filone d’azione. (a.ca.)
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FELLINI, RICHTER E I SOSIA RE COSE Italia, 2012, 4’; musica: Malika Ayane; regia: Federico Brugia; fonte: DeeJay Television
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Un video fatto in famiglia, e non solo nel senso dell’ambientazione, dal momento che il regista è il marito stesso della Ayane, Federico Brugia. Un triangolo sentimentale tra la vocalist e altri due uomini, viene messo in scena con allegria visivo-cromatica nelle ampie stanze di un appartamento dalle pareti bianche e da vivaci quadri di arte contemporanea. Usando perlopiù inquadrature fisse e stacchi sull’asse, Federico Brugia fa compiere una serie di azioni quotidiane e bizzarre ai tre performer al ritmo molto ballabile di questa hit contenuta nell’album Ricreazione. C’è anche una citazione dal cinema d’avanguardia: la colazione del famoso Vormittagsspuk (Ghost before breakfast) di Hans Richter, 1928, un’opera d’«arte degenerata» secondo i nazisti che ne distrussero per sempre il sonoro. IN FOR THE KILL
Uk, 2009, 4’15”; musica: La Roux; regia: Kinga Bourza ;fonte: Youtube.com
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La cantante Elly Jackson – che insieme al co-autore e co-produttore Ben Langmaid forma il duo synthpop La Roux – per tutto il video guida la sua auto sportiva nella notte. Fari, nebbia, rifrazioni luminose rosse e blu, panoramiche e carrellate, compongono questo viaggio senza meta mentre, di tanto in tanto, vediamo sagome maschili correre nella parte sottostante. Viaggio che si interrompe per qualche secondo, allorquando la guidatrice si trova di fronte al suo doppio. L’atmosfera un po’ satanica ed enigmatica ricorda il Toby Damitt di Federico Fellini, l’episodio di Tre passi nel delirio girato nel 1968. Il clip, pur non basando su chissà quale trovata, si lascia guardare, ma è soprattutto il connubio tra le immagini e le sonorità elettroniche a funzionare bene. KING AND QUEEN OF AMERICA
Usa/Uk, 1989, 4’19”; musica: Eurythmics ;regia: Sophie Muller; fonte: Youtube.com
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Una riuscita satira del way of american life messo in scena dalla sofisticata Sophie Muller regista prediletta dagli Eurythmics -, che trasforma Annie Lennox e Dave Stewart di volta in volta in un giocatore di football e in una ragazza pon pon, nel presidente degli Stati Uniti d’America e nella first lady, in Hugh Hefner e in una coniglietta, in Elvis e Marilyn, in Minnie e Mickey Mouse, una coppia con il carrello della spesa, e così via. Il tutto inframmezzato a immagini di repertorio, bizzarre e/o terrificanti, per demistificare meglio il mito del sogno americano. I due musicisti sono molto bravi ad impersonare questa galleria di personaggi e stereotipi e a giocare con l’estetica glamour, prendendo in giro anche il proprio ruolo di popstar.
MAGICO
Il documentario è un thriller denso di emozioni nella ricostruzione dell'avvenimento del ’91 che anticipò gli sbarchi sulle coste italiane, prima grande prova dei respingimenti di massa. Ci mostra ragazzi perlopiù in costume da bagno, urlanti «Viva l'Italia», spinti dall'idea di libertà e di un paese conosciuto sugli schermi tv. Vicari intercala le immagini dell'epoca con le testimonianze di alcuni di loro e che ci raccontano come i ventimila viaggiarono stretti l'uno all'altro, cibandosi solo dello zucchero che trasportava la Vlora, partiti all'improvviso senza portare nulla con sé. Una massa di corpi esultanti che si tuffano in mare per raggiungere la banchina, e che vengono accolti con stupore dai baresi. Primi soccorsi, acqua, molti si fingono malati per sfuggire alla calca e al sole che batte infernale, qualcuno ritrova amici e fratelli. E poi la deportazione nello stadio dove gruppi di violenti sequestrano il cibo lanciato sulla folla, impossibile distribuirlo diversamente, alcuni sfonderanno le porte e fuggiranno. Nel racconto di un «sopravvissuto», c'è un poliziotto che piange a sentire la storia del piccolo albanese in cerca di lavoro e di libertà. Il sindaco di Bari è contrario al trasferimento nello stadio, ma dal ministero arriva l'ordine di ricacciarli indietro. La dolce nave è un poema per immagini e parole, fotogrammi di un reale che ci perseguita, soprattutto nell'incursione in scena dell'allora presidente della repubblica, Francesco Cossiga, che in un scena da film horror si scaglia contro il sindaco di Bari, il disumano e l'umano, e lo minaccia di ritorsioni perché ha accolto quei ragazzi, i nostri vicini, i fratelli dell'altra sponda. (m.c.)
IL FESTIVAL PITIGLIANI KOLNO’A FESTIVAL ROMA, CASA DEL CINEMA, 3-7 NOVEMBRE
La rasegna del cinema israeliano e di argomento ebraico giunta alla settima edizione diretta da Dan Muggia e Ariela Piattelli propone a ingresso gratuito titoli inediti e ospiti illustri. Accanto al programma di film e documentari organizza laboratori e avrà come ospite d’onore il Dipartimento di Cinema e Televisione dell’Università di Tel Aviv. Si inaugura con Footnote di Joseph Cedar, nominato agli Oscar 2011. Tra i documentari un omaggio a David Ofek, i ritratti Roman Polanski: a film memoir di Bouzereau, Woody Allen di Robert Weide, Stanley Kubrick di Jan Harlan. Nella sezione «Sguardo sul nuovo cinema israeliano» segnaliamo La sposa promessa (Fill the Void), opera prima di Rama Burshtein (lo distribuirà Lucky Red), che sarà presentato al festival dall’attrice Hadas Yaron, Coppa Volpi a Venezia. Eran Kolirin presenterà il suo The Exchange, Sharqiya, premiato al Festival di Gerusalemme 2012, God’s Neighbors di Meni Yaesh, Restoration, di Joseph Madmony, premiato al Sundance per la sceneggiatura, The Cutoff Man di Idan Hubel. Nella sezione «Percorsi ebraici» in programma anche Profughi a Cinecittà, di Marco Bertozzi, che racconta dei migliaia di rifugiati negli studios scampati ai campi di concentramento nel ’44. (s.s.)
IL DOCUMENTARIO PREMIO LIBERO BIZZARRI SAN BENEDETTO DEL TRONTO 3-10 NOVEMBRE
La natura complessa dell'Europa, migrazioni, una fisionomia continentale ancora in costruzione: la 19 edizione del premio del documentario «Libero Bizzarri», è dedicata alla poetica dei «Confini Mobili», da un'idea di Gualtiero De Santi, direttore artistico insieme a Enzo Eusebi e Fabrizio Pesiri. Il premio alla carriera sarà assegnato quest'anno al regista fiorentino Giuseppe Ferrara, autore di più di cento documentari sulle vicende più oscure della storia repubblicana, dal fenomeno mafioso all'omicidio di Giovanni Falcone, dal caso Moro alla P2, dalle Brigate Rosse al caso Ustica. Ferrara, al quale sarà dedicata una retrospettiva, è inoltre autore di saggi su Luchino Visconti e Francesco Rosi e attualmente è docente di regia all'Università di Perugia, sede di Terni. Il regista sarà presidente di giuria della sezione principale del Premio Bizzarri. Tre sezioni in concorso, quattro fuori concorso, quattro retrospettive, un progetto sull'infanzia. Durante l'anno, un centinaio di documentari sono stati selezionati e sono proposti al pubblico oltre 50 documentari, 5 film, e 10 opere multimediali prodotte dalle scuole per la nona rassegna «Mediaeducazione». (s.s.)
LA RIVISTA FRIGIDAIRE N.244, TRENTADUESIMO COMPLEANNO
È in edicola il numero 244 del mensile Frigidaire, che a novembre festeggia il trentaduesimo compleanno. Nell’interno dopo l’editoriale di Vincenzo Sparagna sul cammino della rivista dagli anni ’80 ad oggi, il racconto inedito di Gore Vidal Erlinda e Mr Coffin, accompagnato da un ricordo dello scrittore americano di Antonio Scurati. Da segnalare il reportage «Apocalypse Zombie» di Paolo Pontoniere sulle singolari esercitazioni anti-zombie negli Usa, l’intervista di Gianni Sartori a Maribi Ugarteburu della Izquierda Abertzale, la sinistra indipendentista basca e un incontro confidenziale con il cantautore Fausto Rossi di Sandro Prostor Koroval . Tre fumetti eccezionali: Welfare West di Ugo Delucchi, Arty Party di Massimo Giacòn e un’altra avventura fantaspaziale di Klaus e Elmer The deep trip pop di Maurizio Ercole e Massimo Perissinotto. Un racconto di Gianluca Liguori, giovane fondatore del movimento «scrittori precari», recensioni letterarie e musicali, le illustrazioni di Maila Navarra, Gianni Cossu, Andrejs Lavrinovics ed altri, le vignette di Giuliano, Ugo Delucchi, Giuseppe Del Buono, Giorgio Franzaroli e la tradizionale rubrica Schiuma, curata da Jacopo Giombolini dedicata questa volta al pittore perugino Simone Chiorri. Oggi si presenta la rivista a Lucca Comics nell’Auditorium Fondazione Banca del Monte, Piazza San Martino 7, ore 13.
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ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
STORIE ■ DA MADONNA ALLE BIKINI KILL, DA TORI AMOS A PEACHES
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Libere tutte. Sesso, canzoni e videoclip Il girl sound contemporaneo scopre nuovi linguaggi per definire nei pezzi la figura femminile e gli stereotipi con cui viene ritratta dai media. Ecco i nove brani più «espliciti» di JESSICA DAINESE
Nel 2011 due sociologhe dell'Università di Buffalo hanno pubblicato lo studio «Equal Opportunity Objectification? The Sexualization of Men and Women on the Cover of Rolling Stone» (L'oggettivazione (applica i criteri di) pari opportunità? La sessualizzazione di uomini e donne sulla copertina di Rolling Stone). Analizzando le copertine della rivista statunitense dal 1967 al 2009, Erin Hatton e Mary Nell Trautner sono giunte a due conclusioni: 1) nel corso degli ultimi quarant'anni la cultura occidentale è diventata sempre più sessualizzata, quasi «pornificata»; 2) le donne sono di gran lunga più oggettivate sessualmente rispetto agli uomini, e in modo più evidente (spesso ipersessualizzate). Uno degli effetti negativi di questa (iper)sessualizzazione dell'immagine femminile (che ovviamente non si verifica soltanto nelle riviste di cultura pop, ma anche nei videoclip, sulle copertine dei dischi ecc.) è l'idea limitata/limitante di femminilità che viene rappresentata in queste immagini, e quindi accolta come «accettabile» dalla cultura dominante. «Non crediamo necessariamente che sia problematico per le donne essere ritratte come 'sexy'», ha affermato la Hatton a questo proposito, «crediamo invece sia un problema il fatto che quasi tutte le immagini rappresentino le donne non semplicemente come 'sexy', ma come passivi oggetti per il piacere sessuale di qualcun altro». Il mondo della musica pop e rock è affollato di donne sexy, ma per lo più rappresentano appunto una sessualità passiva, sottomessa. Un esempio chiaro è il singolo di Britney Spears I'm a Slave 4 U (2001). Ma anche la più recente I Kissed a Girl (2008) di Katy Perry ha fatto infuriare femministe pop quali Kathleen Hanna e Beth Ditto. Lungi dall'essere una proclamazione d'amore queer, I Kissed a Girl rappresenta piuttosto, come ha dichiarato la riot grrrl Kathleen Hanna, «la fantasia finto lesbo porno di ogni maschio (...) È disgustosa». Anche Beth Ditto dei Gossip ha trovato offensiva questa canzone che «parla di una femmina etero che bacia altre donne per eccitare gli uomini» (Attitude, 2009). Poi c'è il caso di Rihanna. In S&M (da Loud, 2010) la cantante barbadiana intona versi che parlano di sesso, sadomasochismo e bondage. Rihanna ha confessato a Rolling Stone il suo interesse per queste pratiche: «Mi piace prendere il comando, ma
amo essere sottomessa. Essere sottomessa in camera da letto è molto divertente». Tutto bene, se non fosse che soltanto l'anno precedente Rihanna era stata vittima di violenza domestica. La foto del volto contuso della cantante fece il giro del mondo, e il suo partner di allora, Chris Brown, fu arrestato per aggressione e minacce. Quindi, sebbene Rihanna non sia l'autrice di S&M (e sebbene non ci sia relazione tra pratiche Bdsm consensuali e violenza domestica), versi come «bastoni e pietre possono rompermi le ossa, ma catene e fruste mi eccitano», hanno un retrogusto piuttosto amaro. Le canzoni di cui andremo a parlare, invece, affrontano l'argomento sesso con un'attitudine ben diversa, ossia (più o meno esplicitamente) femminista. Negli anni Ottanta c'è stata,
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all'interno del movimento femminista, una spaccatura tra atteggiamento sex-positive (favorevole al sesso) e opposizione (anche al vetriolo) alla pornografia. Una divisione spesso piuttosto aspra, tanto che qualcuno ha parlato di «guerre del sesso femministe». Mentre secondo femministe anti-porno come Catharine MacKinnon e Andrea Dworkin la pornografia era la causa centrale dell'oppressione femminile, altre femministe (soprattutto quelle «non accademiche», come la scrittrice Kathy Acker o Annie Sprinkle) consideravano il femminismo sex-positive (o pro-sesso o sex-radical) una risposta a quello che ritenevano essere il controllo patriarcale della sessualità. L'idea centrale del femminismo sex-positive è che la libertà sessuale è una componente essenziale della libertà femminile. Quindi, non solo queste femministe rifiutano qualsiasi tentativo di controllo sulle attività sessuali tra adulti consenzienti (sia da parte del patriarcato, sia da parte delle femministe stesse), ma ritengono anche che, piuttosto che limitare la pornografia, sia necessario dare più opzioni in quest'ambito. Una pratica sessuale particolarmente biasimata dalle femministe anti-porno è il Bdsm (Bondage, Discipline, Sadism, Masochism), perché, secondo loro, consolida la misoginia. Secondo le femministe pro-sesso, invece, le attività sadomaso consensuali sono apprezzate da molte donne; e poi, nel Bdsm, i ruoli non sono determinati dal genere, ma dalle preferenze personali, quindi non necessariamente le donne assumono ruoli di sottomissione. Per le femministe sex-positive, inoltre, la «liberazione femminile» non può essere ottenuta senza promuovere anche l'accettazione dell'omosessualità e la bisessualità, e sostengono il diritto di tutti gli individui di determinare la propria identità di genere. La Terza Ondata Femminista, iniziata negli anni Novanta e tuttora in corso, è caratterizzata dall'unione di diversi movimenti, dagli obiettivi spesso distinti: dalle Riot Grrrl alle femministe post-moderne, dalle femministe nere al femminismo pop à la Sex and the City. Una prerogativa delle femministe della Terza Ondata è trasformare il linguaggio usato per definire le donne e i modi (stereotipati) in cui sono ritratte dai media. Alcune, le riot grrrl, si riappropriano di termini considerati offensivi, come «slut» e «bitch». Reclamandoli (spesso scrivendoli a pennarello o con il rossetto sui propri
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corpi), li svuotano così in parte della loro ostilità: «bitch» diventa una «donna difficile»; «slut» una «donna con una libido». Come la Samantha di Sex and the City, che non si vergogna di ammettere che l'unico uso che ha per un uomo è il sesso, e spesso è mostrata (nella serie tv) nell'atto di masturbarsi: entrambe cose che solitamente non si crede siano di interesse per una donna. Come vedremo, le canzoni analizzate di seguito smentiscono quest'assurda supposizione. Madonna, «Burning Up» Icona assoluta del femminismo pop, Madonna ha messo a nudo il puritanesimo e vittimismo del femminismo americano. Ha mostrato alle ragazze come si può essere del tutto femmine e sessuali, e al tempo stesso esercitare un controllo assoluto sulla propria vita. Tobi Vail, componente della band Bikini Kill e tra le fondatrici del movimento Riot Grrrl, grande fan di Madonna, ha dichiarato recentemente sul sito collapseboard.com che «(il movimento) Riot Grrrl non sarebbe accaduto senza Madonna». Secondo Tobi Vail, la cantante ha trasformato la cultura pop in modo così evidente che si può parlare di un prima e dopo Madonna. Prima, afferma la Vail, le donne nel pop non avevano il controllo della propria immagine. Poi è arrivata Madonna e «tutto cambiò».
ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
LA MORTE CORRE SUL ROCK. CINQUE TRAGEDIE di ROBERTO PECIOLA Il 30 ottobre di nove anni fa, durante un concerto di Marilyn Manson (nella foto) al Freakers Ball di Kansas City, alcuni tafferugli scoppiati in seguito alla decisione di sospendere lo show dopo appena due brani per via del crollo delle transenne di fronte al palco, causarono ingenti danni, sette feriti e un arresto per tentato investimento di un poliziotto. Ma questo è solo uno dei tanti episodi, e nemmeno il più grave, che hanno visto il caos e, in molti casi, la morte, farla da padrone durante festival e concerti rock in giro per il mondo, alcuni passati tristemente alla storia, altri meno noti. Il primo in ordine di tempo è datato 6 dicembre 1969, nel nord della California, ad Altamont durante il Free Concert, una sorta di «Woodstock» della costa ovest.
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La sicurezza fu affidata agli Hell’s Angels, ripagati con casse di birra... una miscela esplosiva. Nel corso del live dei Rolling Stones scoppiarono degli scontri al termine dei quali si contarono 850 feriti e 4 morti. I Guns N’ Roses furono protagonisti, involontari, di due episodi di violenza, il primo nel 1988 al Monsters of Rock di Donington, Inghilterra, dove rimasero uccisi due spettatori schiacciati dalla folla; il secondo nel ’92 allo stadio Olimpico di Montreal, dove la folla inferocita per la brevissima durata dei concerti in programma scatenò una rivolta che proseguì nelle strade della città canadese. Undici morti, schiacciati dalla folla per accaparrarsi i posti migliori, è invece il risultato del concerto degli Who al Riverfront Coliseum di Cincinnati il 3 dicembre del ’79. Infine, le vittime al festival danese Roskilde nel 2000: durante lo show dei Pearl Jam, il pubblico si accalca e spinge e le transenne cedono. Si contarono decine di feriti e ben nove vittime.
4 maschilista scena hip hop. La loro prima hit fu Push It (1988). Parlava di ballo o di sesso? Il testo si presta per lo meno a una doppia interpretazione: «Spingilo bene, spingilo molto bene, ah, spingilo». Nessun malinteso invece per quanto riguarda un altro loro singolo di enorme successo, Let's Talk About Sex (1991), in cui sono decisamente più esplicite: «Diciamo come è, e come potrebbe essere/com'era, e naturalmente, come dovrebbe essere», e se pensate che l'argomento sia sporco, «spegnete la radio». In una versione alternativa di questo brano, intitolata Let's Talk About Aids, il testo fu modificato per affrontare l'argomento della diffusione dell'Hiv. «Non è una malattia nera, bianca o gay (...) Si prende sessualmente o attraverso un ago infetto/Anale o orale, gente», spiegano le Salt'n'Pepa, e nel ritornello invitano a praticare il sesso sicuro. Nella loro hit del 1993 None of Your Business, infine, se la prendono con i «due pesi e due misure» per cui una donna a cui piace il sesso è una zoccola, mentre un uomo a cui piace il sesso beh, è semplicemente un uomo. Ma «se voglio portami a casa un tipo stasera», dicono, «non sono affari tuoi!».
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Il brano Burning Up (1983), e in particolare il videoclip dello stesso, è stato indicato da vari critici come il momento in cui Madonna ha iniziato a prendere il controllo di una sessualità maschile destabilizzata. Il video raffigura l'artista in posizioni di classica sottomissione femminile su una strada abbandonata, mentre canta versi come «mi vuoi vedere in ginocchio?» e si contorce dalla passione per il suo amante, che arriva in auto. Ma il finale del video mostra Madonna che se ne va, sorridente e sola, alla guida dell'auto: è chiaro che è sempre stata lei al comando. Racconta Tobi Vail: «Da qualche parte ho una cassetta di un gruppo di riot grrrl che cantano sopra Burning Up di Madonna durante una mia trasmissione radiofonica nei primi anni Novanta (a proposito, se non avete sentito Kathleen Hanna cantare questa canzone, allora non avete sentito questa canzone)». La discografia di Madonna è costellata di brani che parlano di sesso, da Like a Virgin, all'inno allo spanking erotico Hanky Panky (1990), da Justify My Love (1990), uno dei suoi brani (e video) più controversi, all'intero album Erotica (1992). Se nella title track Madonna veste il ruolo di dominatrice con tanto di frustino e, il brano più esplicito dell'album è forse Where Life Begins, che parla dei piaceri del sesso orale attraverso una serie di metafore culinarie.
Cyndi Lauper, «She Bop» Tratta dal suo album di debutto She's so Unusual (1983), She Bop di Cyndi Lauper è probabilmente la canzone più orecchiabile mai scritta sulla masturbazione femminile. La Lauper ha dichiarato che l'ispirazione le è venuta dopo aver trovato una copia della rivista erotica gay Blueboy nello studio di registrazione (la canzone inizia con i versi: «Li vedo ogni notte in blue jeans attillati/sulle pagine di una rivista Blueboy»), e che era nuda quando ha registrato il brano. Anche se l'autrice voleva che i ragazzini pensassero che la canzone parlasse del ballo (e che capissero il vero significato solo da adulti), è chiaro il senso di versi come «voglio andare a sud», «dicono che farei meglio a smettere, o diventerò cieca» e «non riesco a smettere di armeggiare con la zona pericolosa». She Bop è stata inclusa nel 1985 nella lista compilata dal Parents Music Resource Center «Filthy Fifteen», ovvero i 15 brani che, avrebbero dovuto essere banditi perché parlavano di sesso, droga, violenza e/o... l'occulto! (nella stessa lista, anche Dress You Up di Madonna e Darling Nikki di Prince). Salt'n'Pepa, «Let's Talk About Sex» Prima di Nicki Minaj, prima di Lil' Kim, c'erano le Salt'n'Pepa, tra le prime a parlare schiettamente di sesso da un punto di vista femminile nella
Peaches, «Mommy Complex» L'artista electroclash canadese Peaches ha praticamente costruito la sua carriera sui testi «sconci». Il suo album di debutto The Teaches of Peaches (2000) si apre con il brano Fuck the Pain Away, e basta dare un'occhiata ai titoli per capire che il tema del disco è fondamentalmente uno: scopare. Nei tre album seguenti (Fatherfucker, 2003; Impeach My Bush, 2006 e I Feel Cream, 2009), Peaches scandaglia molteplici pratiche sessuali: Sm («Fruste, frustini, bastoni, qualsiasi cosa, dai, baby, andiamo», I U She), sesso orale («Mangia un biscotto, un grande cazzo, ogni giorno, cosa?/Mangia un biscotto, una grande clitoride...», Stuff Me Up; Downtown), sesso anale e cinture falliche (Back it Up, Boys), ménage à trois e voyeurismo (Two Guys (for Every Girl)), masturbazione (Rock the Shocker). E ce n'è per tutti, uomini e donne («Non devo scegliere, mi piacciono le ragazze e mi piacciono i ragazzi», I U She). È però in Mommy Complex (2009), pure relativamente pacato nel linguaggio, che esterna la sua perversione più raccapricciante: soddisfare una fantasia mamma/infante. Va bene recitare il ruolo di una «cougar» (una «panterona»: una donna matura, benestante, in cerca di una preda giovane da dominare), ma i riferimenti a battesimo, lattazione, e tagli cesarei sono decisamente «troppo». Bikini Kill, «Sugar» Le poster girl del femminismo punk degli anni Novanta hanno affrontato un'ampia gamma di temi legati alla sessualità. Hanno scritto crudi brani di denuncia sugli abusi sessuali e l'incesto (Suck My Left One, Daddy's Little Girl), ma anche inni alle «radicali possibilità del piacere» (I Like Fucking, 1995). Perché, anche se il mondo è «fottutamente pieno di violenza
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(carnale)», i nostri corpi non devono essere una «fonte di dolore». Nel singolo del 1993 New Radio (prodotto da Joan Jett) le Bikini Kill distruggono le fantasie maschili descrivendo in modo crudamente realistico l'immagine femminile: «Le fessure tra i denti/le unghie sporche/ ragazzino non puoi uccidere ciò che è fottutamente reale». Sugar (da Pussy Whipped, 1993) però è forse il loro brano più esplicito («Sei così fottutamente grande e duro/Hai un uccello enorme/spingilo più in profondità ora»). Racconta di una relazione in cui la donna simula tutte le fantasie del proprio uomo, ma è sessualmente insoddisfatta: «Sto quasi venendo (... ) E nella mia testa, sono in ginocchio/Perché non posso mai ottenere il mio zucchero?». Liz Phair, «Flower» Liz Phair debutta nel 1993 con l'album Exile in Guyville, osannato per i testi schietti, sessualmente espliciti. Come in Flower, che inizia con i versi: «Ogni volta che vedo la tua faccia mi bagno tutta tra le gambe», continua con «voglio fotterti come un cane» e «voglio essere la tua regina dei pompini», e si conclude con «ti scoperò finché il tuo cazzo non sarà blu». Notevole anche il celebre verso da Chopsticks (da
Tori Amos, «Icicle» Si sa che che sesso e religione è una combinazione esplosiva (chiedete a Madonna). Figlia di un pastore protestante, Tori Amos descrive in Icicle (da Under the Pink, 1994) la gioia e il batticuore che provava da bambina quando si masturbava nella sua stanza, mentre al piano inferiore suo padre e altri religiosi discutevano delle sacre scritture. In Icicle, Tori cerca il divino dentro di sé: «E quando la mia mano mi tocca/posso finalmente riposare la mia testa/e quando dicono prendete il suo corpo/ penso che prenderò invece il mio». L'artista iniziò molto presto a mettere in discussione gli insegnamenti religiosi che le venivano impartiti dalla famiglia repressa. Non capiva, per esempio, che ci fosse di sbagliato nel trovare Gesù... «carino». E proprio alle immagini di Gesù che il padre aveva appeso al piano inferiore, la Amos pensava mentre toccava il «suo piccolo posto caldo».
Whip-Smart, 1994): «Lui disse che gli piaceva farlo al contrario/Io dissi mi sta bene, in questo modo possiamo scopare e guardare la tv». Divertente per il tono impassibile con cui canta queste sconcezze. The Donnas, «40 Boys in 40 Nights» The Donnas sono quattro fanciulle californiane che si sono prese la rivincita sulle band rock misogine, invertendo i ruoli: se spesso le rock star maschili «usano» le donne, le Donnas «usano» gli uomini. Non si vestono in modo seducente, sono sessualmente aggressive e, quando vogliono una preda-maschio, sono pronte a calpestare anche eventuali fidanzate, mandando a quel paese qualsiasi concetto di solidarietà femminile (Get Rid of that Girl, Too Bad About Your Girl). Per le Donnas, i ragazzi non sono altro che dei pezzi di carne da mordere (Checkin' it Out), dopo averli fatti spogliare (Take it Off). Uno dei loro brani-simbolo è 40 Boys in 40 Nights (2001), che parla dei rapporti occasionali on the road: «Trascorro ogni notte in uno Stato diverso/trascorro ogni notte con un ragazzo diverso/Arrivo in città e do un'occhiata intorno/E poi trovo un tipo che voglia darsi da fare».
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In queste pagine: 1) Liz Phair; 2) Madonna in una foto tratta dal libro «Sex»; 3) Peaches; 4) Salt’n’Pepa; 5) Un flyer femminista; 6) Amanda Palmer dei Dresden Dolls; 7) Tori Amos; 8) The Donnas; 9) Kathleen Hanna delle Bikini Kill
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Dresden Dolls, «First Orgasm» Non è altrettanto piacevole l'esperienza di Amanda Palmer in First Orgasm (da Yes, Virginia... dei Dresden Dolls, 2006). La protagonista si sveglia presto un giovedì mattina come tanti, si fa un caffè e si siede a controllare le sue email. Ma, annoiata, dopo un paio di parole si mette a guardare fuori dalla finestra, e inizia a masturbarsi. «Il primo orgasmo del mattino è freddo e fottutamente difficile», canta Amanda. L'autoerotismo come gesto automatico dettato dalla noia e dalla solitudine: «A malapena mi accorgo che sto venendo». Meritano una citazione anche: Stutter (1993) delle Elastica che, secondo l'autrice Justine Frischman, affronta lo «sporadico problema di impotenza del maschio ubriaco»; Bang (2001) degli Yeah Yeah Yeahs, in cui Karen O' manifesta la propria insoddisfazione rispetto alla prestazione sessuale del proprio uomo («Come scopata, figliolo, fai schifo«); Salvatore (da Divento viola, 2011), brano sull'autoerotismo femminile (Salvatore è il vibratore, «Un principe di metallo azzurro») delle Iotatòla (due trentenni palermitane personalmente «scoperte» allo scorso Mei Supersound); e infine Drive (da Freedom, 2000) di Melissa Ferrick, uno dei brani più hot mai scritti sull'amore tra due donne.
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ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
RITMI INCONTRI ■ DA «HOUND DOG» A «BLUE MONDAY»
Quel cervello scoperchiato da Elvis. Parola di D’Agostino
di FRANCESCO ADINOLFI
Roberto D'Agostino, 65 anni, collezionista seriale, vive a Roma nell'attico più bello del mondo. Tre piani di irresistibile e vertiginoso accumulo ultrapop in cui convivono: «due divani fallici comprati da un porno shop tedesco e pagati tantissimo», cristi di ogni genere e foggia («io sono credente»), una croce lignea (opera d'arte di Alan Vega, Suicide), una quantità sterminata di action figure recenti e d'epoca, un flipper dei Rolling Stones che quando si accende parte Miss You, quei juke box da infarto (tra cui un Seeburg del '46), l'oggettistica di Mao («sono un collezionista del Grande Timoniere»), 20mila vinili sistemati per terra e relativa sala d'ascolto (con mega poltrona davanti a un muro su cui troneggia un «Wurlizer speaker» d’epoca, tutto luci e liquido circolante a bollicine). E ancora chitarre (una di Jack White) e mille altre cose. Tra le chicche in arrivo, un orinatoio rosso fuoco («va in salotto come oggetto da collezione mica in bagno») che ritrae la tipica bocca dei Rolling Stones. D'Agostino è noto per essere stato un critico musicale e per Quelli della notte; di sicuro verrà ricordato per Dagospia ma «l'unica cosa di cui mi intendo è la musica». Benvenuti a Dag Vegas, dove «qui dentro è tutto un altarino».
Mystery Train e That's Alright. Se confronti quest’ultimo pezzo con l'originale di Big Boy Crudup del '46 capisci cos'è il dopoguerra, c'è uno scatto in quella voce, un'urgenza che si ritrova poi in Jerry Lee Lewis o in Little Richard; meno in Chuck Berry, il «papà» di Keith Richards, che è un genio della scrittura ma non un genio vocale. Il mio svezzamento avviene con Elvis, con quella voce piena di sfumature black, tipiche del sud degli Stati Uniti: non c'è Paul McCartney o Jagger che tengano. Penso che l'Elvis prima del militare ci abbia regalato solo gemme. Elvis aveva una voce che se ne fregava della musica che lo seguiva; prima arrivava lui e poi Scotty Moore, il chitarrista che lo accompagnava, da cui discende Jimmy Page. Il vero accompagnamento di Elvis era il bacino, lui non seguiva la musica ma il suo fallo. Era The Pelvis. Per questo quando sono arrivati i Beatles non mi hanno molto impressionato: il testosterone che conteneva la voce di Elvis non aveva eguali, quelli erano eunuchi al confronto. Il suono Una cosa su cui ho sempre insistito è il suono, anche quando ho iniziato a scrivere di musica collaborando prima con il situazionista Angelo Quattrocchi e poi con Ciao 2001, Popster o Rockstar. Ad esempio quando ho formato il gruppo Tina & The Italians - con alcuni colleghi giornalisti e con la mia ex moglie Tina Semprini - mi interessava il gioco del mixaggio. Il suono. Io sono un patito di Phil Spector e il suo wall of sound per me è un culto. Quando Spector vuole creare le sue sinfonie da tre minuti con le Ronettes quello che ha in mente è dar vita a un suono. Allo stesso modo quando ascolto i pezzi Motown, ad esempio delle Supremes,
Lo svezzamento Il primo shock è stato Elvis; Hound Dog mi ha scoperchiato il cervello. Ci metterei anche Jailhouse Rock,
AVVISO AI LETTORI QUAL È IL PRIMO DISCO CHE TI HA CAMBIATO LA VITA E PERCHÉ Raccontaci in massimo 1250 caratteri (spazi inclusi) quell’esperienza e le motivazioni che ti hanno indotto a scegliere quell’artista o quel gruppo. Gli scritti vanno firmati e inviati via e-mail entro e non oltre il 15 novembre 2012 a
[email protected] Ultrasuoni si riserva il diritto di pubblicare e di editare i testi a seconda delle esigenze redazionali. E adesso scrivi!
I dischi che cambiano un’esistenza. L’inventore di Dagospia, critico musicale e dj, racconta il suo shock musicale. Anche questa settimana continua la pubblicazione dei vostri scritti
mi domando come fosse possibile mixare batteria e basso in quella maniera così granitica, massiccia. Penso che la creazione di un suono è insieme alla voce quello che realmente fa la differenza. Creare un suono è come creare uno stile letterario, un stile di abbigliamento. Lo stesso Keith Richards nella sua autobiografia racconta che in Some Girls «abbiamo ritrovato un suono». Una cosa è suonare, un'altra è il suono. Quando recensivo mi irritava il fatto che nel nostro paese c'è questa tendenza a parlare prevalentemente dei testi. Per questo non ho mai capito i nostri cantautori, o almeno all'epoca quando recensivo. Del resto Greil Marcus ha scritto un libro solo su Like a Rolling Stone, il pezzo di Dylan, perché quella canzone crea un suono. La voce di Dylan, anche sgradevole, diventa parte di un suono. Che mi importa di cosa parla un pezzo, mi interessa il suono, la parola è il suono. Quando ascolto Peaches and Regalia di Frank Zappa, sull'album Hot Rats, lì c'è la creazione di un suono, c'è Edgard Varèse e mille altre influenze. Se senti un 78 giri di Elvis capisci come siano riusciti a testimoniare qualcosa su un pezzo di plastica. Noi abbiamo una critica musicale che non parla mai del suono che è invece la cosa che riceviamo. E comunque non percepisco un suono nuovo, escono nuovi cantanti ma non c'è un suono nuovo; l’ultimo forse è Fatboy Slim che ha fatto tantissimo per cercare nuove strade. Frank Zappa Quando si arriva a Zappa e a Captain Beefheart allora vuol dire che il rock è diventato adulto. Quando con Paolo Zaccagnini facemmo radio per la prima volta a Radio Blu mi ricordo che passammo tutta la discografia di Zappa: eravamo cresciuti. Così come con Elvis torni indietro al blues, così come con i Rolling Stones arrivi al suono elettrico di Chicago, con Zappa scopri Varèse o John Cage. Il juke box di Zappa ci ha aperto ascolti e letture. Del resto prima o poi si tende a tornare alle radici di quello che ti ha eccitato. Ad esempio per capire il blues ho letto Alan Lomax dall’inizio alla fine. Beat & 1968 Nel 1965 iniziò Bandiera Gialla, lì arrivavano dischi import che sembravano gioielli, cose che ti aprivano la mente. Ad esempio rimasi sconvolto dall'album Santana; non avevo mai sentito quel miscuglio di suoni latini e rock. Un anno prima, nel '64, il movimento beat a Roma era rappresentato da 100 ragazzi al massimo. Ci riunivamo nelle cantine e poi nel '65, con l'apertura del Piper, andavamo tutti lì a ballare. Diventammo un fenomeno di costume. Quelli di Bandiera Gialla attingevano dal Piper per il pubblico, e noi da lì ci spostavamo a via Asiago (dove si registrava il programma), con la circolare, il tram. Per quanto mi riguarda io ho ballato per due anni con i Collettoni di Rita Pavone e con lei ho fatto due film, Rita la zanzara e Non stuzzicate la zanzara. Sempre con i Collettoni ho partecipato allo show tv del sabato sera di Rocky Roberts, Stasera mi butto. Il mondo era quello del Piper. Tra i ballerini c'erano nomi noti come Renato Zero, al tempo ancora Fiacchini. Una sera io e Renato uscimmo dal Piper e ci accompagnò in Cinquecento un nostro amico; all'incrocio con via Sicilia, a Roma, ci scontrammo con un'altra macchina e finimmo dritti nel negozio delle pompe funebri Zega. Fummo portati al Policlinico, io ricoverato al reparto maschile e Renato in quello femminile. Di quegli anni ricordo benissimo i viaggi a Londra; mi sembrava di essere su Marte; le scarpe, le t-shirt, niente di quella roba esisteva in Italia. Per molti di noi gli anni Sessanta sono finiti col '68, con l'ideologia. Ci fu una diaspora, chi andava in India, chi negli Usa, chi a Londra. Noi eravamo una cultura anarco-situazionista, il nostro libro di riferimento era La
società dello spettacolo di Guy Debord, un libro anti-ideologico. Il '68 fu un salto all'indietro rispetto a quanto scritto in quel testo, gli stessi slogan erano così superati. Per me chi è partito dal '68 non è mai passato attraverso i fondamentali della musica: Elvis, Beatles, Rolling Stones, Zappa, Hendrix. Quello era un tragitto che arrivava dritto alla società dello spettacolo, al situazionismo e con il '68 non fu così. Rimasi totalmente spiazzato. Certo anche qui molto dipendeva dall'età. Va da sé che eravamo tutti compagni ma del resto la sinistra non è mai stata un monolite e al tempo c'erano più sigle che militanti. Sussulti L’ultimo ce l'ho avuto nell'83 con Blue Monday dei New Order. Quando faccio il dj i ragazzini che oggi ascoltano Skrillex impazziscono. Lì c'è un suono che rispecchia l'elettricità del tempo. Ho apprezzato anche i Gossip ma nulla di sconvolgente e Antony and the Johnsons anche se è un po' stucchevole. X Factor È solo bubble gum music. Mio figlio che ha 17 anni e studia chitarra e pianoforte nemmeno sa cos'è X Factor; i ragazzini di quell'età o ascoltano robe vecchie o vanno in club dove c'è elettronica nuovissima. Lo shock per lui è stato un concerto dei Red Hot Chili Peppers. È da lì che ha voluto una chitarra. Riascoltando i dischi con John Frusciante è poi arrivato a Jimmy Page.
In grande Roberto D’agostino dj; in piccolo Dago in pieni anni Settanta
BMS
NEVERMIND
HARVEST
Salta il Banco, a briglie sciolte sul prog
Questa cassetta contiene un fulmine
La chitarra dentro una zampa d’elefante
«Da qui, messere, si domina la valle, ciò che si vede, è». Avevo 14 anni e mi chiedevo cosa ci trovassero di bello in Canzonissima i miei genitori. Non avevo ancora focalizzato perché, al Cantagiro, mi piacessero solo le canzoni di qualche gruppo di «capelloni» e mi erano rimaste in testa, dalle edizioni passate, pochi brani - come Un ragazzo di strada - o complessi, come le Orme o i Nomadi. Poi un giorno, in macchina di mio fratello, mi cade l'occhio su una musicassetta arancione (di solito erano beige) e la infilo nell’autoradio: «Lascia lente le briglie del tuo ippogrifo, o Astolfo, e sfrena il tuo volo dove più ferve l'opera dell'uomo». Cavolo! Che sensazione... Chi sono? Leggo un nome strano. Ma che musica bella, scorre, ti prende e ti fa volare insieme ad Astolfo. Lo vedi. Tocchi le nuvole. Ti arriva dentro. Ti emoziona. Sogni. Ti lasci trasportare da suoni e parole fuori dal comune. Capisco, definitivamente, che in me non c'è posto per le stucchevoli e piagnucolose storie d'amore dei cantanti italioti. Sempre gli stessi, poi. Così come scopro che non c'è più posto per arrangiamenti tutti uguali, conformi. Si può fare qualcosa di diverso, esplorare nuovi mondi, atterrare dove il rock richiama e si avvicina a strumenti (e temi) più classici. Compio l'opera fino in fondo: mi faccio prestare la musicassetta e la porto a scuola per farla ascoltare ai miei compagni. A quanti altri pubescenti avrà cambiato la vita il primo disco del Banco del Mutuo Soccorso? (Patrizio Cipollini, Roma)
Primo anno di università, vedo i manifestini dei Nirvana al Castello di Roma. Vado o non vado? Alla fine non vado - saranno il solito gruppazzo stonato (Luca non me ne ha parlato, del resto), magari quella stessa sera strappo Fede al suo ragazzo… Pochi giorni e Luca, il mio «pusher» musicale, appena in ritardo, mi schiaffa tra le mani la cassetta che mi ha copiato dal suo cd di Nevermind (1991) - «dai retta, ascoltali». Colpo di fulmine (altro che Fede …). La cassetta in breve talmente consumata che «Luca, me ne puoi fare un'altra copia, quella è bruciata?». L'assolo lisergico di Smells Like Teen Spirit come la freccia che fa centro passando attraverso 12 asce. In pochi mesi tutto della mia vita cambia: il lavoro (a 500 chilometri da casa), altri ritmi, un po' di soldi; le uniche cose immutate: io alla chitarra che cerco gli accordi di Smells o Lithium, io che ogni sabato pogo al Palladium su Come as You Are o, nelle notti in pullman tra Roma e Andria, mi addormento con Polly - e poi Luca che per anni nel rifilarmi gruppi mi ha convinto dicendo «sono una specie di Nirvana», anche se si trattava, giuro che è vero, degli Uncle Tupelo. Poi, io di leva, la telefonata del commilitone Iannone - giuro, quello di Casa Pound - «ahò finalmente l'amico tuo s'è ammazzato». (Alessio Cappelli, Roma)
Il solo pensare alla parola disco mi fa venire in mente la Terra. Sebbene sia un semplice pezzo di plastica rotondo, basta metterlo in contatto con una puntina e scopri una nuova prospettiva/un nuovo suono; così come la terra con il sole e la luna. Intendo dire che l’apparenza non è quello che sembra, si inganna da sola. Essendo un ragazzo di 20 anni, durante una giornata qualunque di alti e bassi ecco che la mia vita prende una piega diversa ascoltando un artista che ha contribuito a espandere la leggenda del country e del folk: Neil Young con il mitico Harvest (1972). «Harvest» come raccolto, custodia di esperienze in gioventù, vagabondaggio per campi aperti, fragore della libertà, ricordi di famiglia. Sulla copertina vidi che imbracciava una Gretsch White Falcon con il suo classico stile camicia quadrettata e pantaloni a zampa d’elefante e un sorriso a metà che avrebbe indotto chiunque in tentazione cercando di capire cosa stesse pensando in quel momento. Posso dirvi cosa immaginavo: «Sento che in cuor mio posso cambiare il mondo, mi basta un pezzo di legno a sei corde». Ascoltai questa composizione di canzoni durante un inverno piovoso partendo dalla prima: Out on the Weekend, la storia di un viaggio e il pensiero costante di una donna. Come dargli torto? Anche l’amore è un viaggio, che non include nessun autostop sentimentale, come l’autostrada, inizio e fine spesso con rancore. (...). (Jacopo Quinto)
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ULTRASUONATI DA STEFANO CRIPPA LUCIANO DEL SETTE GUIDO FESTINESE SIMONA FRASCA LUIGI ONORI ROBERTO PECIOLA
IN USCITA A NOVEMBRE Aa. Vv. Le ragazze del rock (Spittle/ Goodfellas) Aa. Vv. Spirit of Talk Talk (Fierce Panda/ Goodfellas) Benjamin Biolay Vengeance (Naïve/Self) Breathless Green to Blue (Tenorvossa/ Audioglobe) Cradle of Filth The Manticore and the Other Horrors (Peaceville/Audioglobe) Deerhoof Breakup Song (Atp/ Goodfellas) Egyptian Hip Hop Good Donts Sleep (R&S/Goodfellas) El Perro del Mar Pale Fire (Memphis Industries/Goodfellas) Fake Blood Cells (Different/Self) Fontanelle Vitamin F (Southern Lord/ Goodfellas) Gospeed You! Black Emperor 'Allelujah! Don't Bend! Ascend! (Constellation/Goodfellas) Tim Hecker & Daniel Lopatin Instrumental Tourist (Software/Coop Music) Kid 606 Lost in the Game (Tigerbeat 6/ Goodfellas) King of the Opera Nothing Outstanding (Trovarobato/Audioglobe) Lower Dens Twin Hand Movement (Ribbon-Domino/Self) Lu-Po Stendere la notte (Rai/Zimbalam) Mariama The Easy Way Out (Wagram/ Audioglobe) Melody's Echo Chamber s/t (Domino/ Self) Menahan Street Band The Crossing (Daptone/Goodfellas) Mimes of Wines Memories for the Unseen (Urtovox/Audioglobe) Naked Truth Ouroboros (RareNoise/ Goodfellas) Neurosis Honor Found in Decay (Neurot/ Goodfellas) Ninos du Brasil Muito N.D.B. (La Tempesta/Venus) Max Petrolio Humor pomata (Seahorse/Audioglobe) Race Horses Furniture (Stolen- Pias/Self) Red Lamb s/t (Mig Music/Audioglobe) Rio Mezzanino Love Is a Radio (Burriccu/ Audioglobe) Talibam! Puff Up the Volume (Critical Heights/Goodfellas) Tender Trap Ten Songs About Girls (Fortuna Pop!/Goodfellas) Chad Valley Young Hunger (Loose Lips/ Coop Music) The Very End Turn Off the World (Spv/ Audioglobe) Vitalic Rave Age (Pias/Self) Jah Wobble/Keith Levene Yin & Yang (Cherry Red/Goodfellas) Woods Bend Beyond (Woodsist/ Goodfellas)
ON THE ROAD
BRASSTRONAUT MEAN SUN (Tin Angel/Goodfellas) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Il nome della band lascia immaginare che i fiati, gli ottoni siano una costante della loro musica. In effetti uno dei due membri effettivi della formazione canadese è un trombettista, ma non aspettatevi derive jazz o chissà cosa, almeno non in questo Mean Sun. Un disco che, a parte l’apertura Bounce che fa il «verso» ai Sigur Rós, gioca su ottime intuizioni indie pop, sofisticate e intime, alle quali il suono della tromba regala un qualcosa di magico. (r.pe.) DANIELE CELONA FIORI E DEMONI (Nøeve Records) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Celona rappresenta un bell’esempio di come la musica indie italiana meriterebbe assai di più in termini di visibilità e vendite. Voce, chitarra, basso e Rhodes, questo artista torinese di solida preparazione e fluida vena creativa, costruisce percorsi che hanno le loro coordinate in brani sempre sulla soglia di un rock capace di addolcirsi o inasprirsi, di aprire i suoi orizzonti, di volare alla ricerca di sonorità che conferiscano valori aggiunti. I testi, poi, sanno esprimere idee e pensieri fuor di facili giochi di parole. Celona è bravo. Punto e basta. (l.d.s.) JASON LYTLE DEPT. OF DISAPPEARANCE (Anti/Self) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Due buone notizie in un colpo solo: Jason Lytle è uscito dal suo meritato torpore ecologista, nelle montagne del Montana, ed è riuscito in un colpo a ritrovare quell'ispirazione, come hanno scritto in America, «a metà tra la grandeur e l'umiltà» che ha reso uniche le sue composizioni bislacche e memorabili, infittite di rumori curiosi e irresistibili «ganci» melodici. La seconda buona notizia è che Lytle è tornato a esibirsi anche con i «suoi» Grandaddy. In attesa di conferme, godiamoci questo bel disco, come al solito un ponte tirato tra i Pink Floyd, Neil Young e Wilco. (g.fe.) DON PULLEN THE COMPLETE REMASTERED RECORDING ON BLACK SAINT & SOUL NOTE (CamJazz) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Sette album con al centro la spinta creativa e performativa del pianista afroamericano, che fu al fianco di Mingus. Si va dall’esplosivo duo con S. Rivers del 1975 al quintetto con O. Dara, D. Harrison, F. Hopkins e B. Battle dell’85. 10 anni in cui il produttore G. Bonandrini colse tutte le occasioni per incidere un pianista tra i più originali, erede di C. Taylor, tra dissoluzione e deformazione del linguaggio sonoro. Due intensi dischi per piano-solo, il duo con D. Moye (trio con Jarman), il quartetto con C.Freeman. Album ispirati disponibili, rimasterizzati, in cofanetto. (l.o.)
JAZZ
RAP FRANCIA
INDIE ROCK
Javier Girotto, Hip hop, lo stile macchina del sax della banlieue
Ammaestratori psichedelici
Passano gli anni, non passa e anzi si affina e si potenzia il talento notevolissimo di Javier Girotto, argentino d'Italia un tempo legato soprattutto alla sua creatura primigenia, Aires Tango. In Latin Mood (Schema Records) il gioco dei solisti è a due, con la bravura smisurata di Fabrizio Bosso, spesso bisognosa di essere ancorata a progetti forti e definiti come questo. Un buon modo per far risaltare la strepitosa tecnica del musicista, senza perdere in emozione e comunicativa. Tanghi, milonghe e altri ritmi dell’America del Sud, riscaldati dalla vibrazione infinita di Girotto, ospitano volentieri la tromba fiammeggiante di Bosso. E alla fine ne guadagna la musica. Un duo vero e proprio di Girotto lo trovate in Passione (CamJazz), a documentare il notevole incontro tra il sassofonista di Cordoba e il pianista partenopeo Francesco Nastro, che compone qui anche quasi tutti i brani: gran disco. Dal vivo a Bolzano il disco della New Project Jazz Orchestra diretta da Roberto Spadoni con Javier Girotto solista al sax baritono per Abeat, Walkin' with Jeru: sulle tracce del grande Gerry Mulligan, e Girotto sa dove trovarle. (Guido Festinese)
A garantire sul rapper novello M.A.S c'è un collega concittadino di Trappes ben più noto in Francia, La Fouine. Affetto da retinite pigmentosa, malattia genetica che porta alla cecità, M.A.S racconta sia la sua storia sia quella del suo ambiente di provenienza. Minute de silence (Banlieue Sale/Sony) è rap emozionale i cui suoni di certo non ammiccano agli amanti del rap muscoloso. Atmosfere ben più oscure e flow più incisivo e originale per Nessbeal. Selection naturelle (Sony Music) racconta con toni duri e dignitosi il disagio dei marginali («sono nato colpevole, condannato prima di essere giudicato», «il capitalismo in banlieue ci ha ucciso») e rende onore alle proprie origini senza evitare le critiche («ti ricordi quando eravamo fratelli (...) oggi ci facciamo la guerra»). Joeystarr (Ntm) è un pilastro del rap francese e dopo oltre vent’anni di carriera, a quarantacinque anni suonati, il suo stile conserva tensione e asprezza. In Egomaniac (Sony Music) aggredisce l’ascoltatore con un flow ruvido e incalzante: rap hardcore contemporaneo, con qualche pausa soft ma mai sdolcinata. (Luca Gricinella)
Sarà che con certe sonorità ci siamo cresciuti, fatto sta che sono dentro di noi ed è impossibile estirparle. E quando le ascoltiamo, che siano d’epoca o appena sfornate, riescono sempre a colpirci. Se poi sono del livello che propongono gli australiani Tame Impala con il nuovo Lonerism (Modular/Audioglobe), beh, allora la cosa si fa ben più che interessante. Un lavoro che raccoglie il meglio della lezione psych pop, con in testa i Beatles più «solari». Tra le migliori cose ascoltate nel 2012! La psichedelia dei Clinic, band di Liverpool con molti anni e sei album alle spalle, è invece decisamente più scura, in stretto contatto con un’estetica post punk. Nel nuovo, ottimo, Free Reign (Domino/Self) sembra di assistere a una jam tra i Doors e i Joy Division. Atmosfere cupe, ovattate, e pochi fronzoli. Con la psichedelia hanno flirtato anche ...And You Will Know Us By the Trail of Dead, ma nel nuovo Lost Songs (Richter Scale-Superball/Emi) ce n’è poche tracce. A dispetto del titolo, qui è tutto materiale nuovo. Roba che spacca. Pezzi diretti e dritti , che sfiorano il punk e si sdraiano sul post hardcore, e anche quando le cose si rilassano la tensione resta altissima. Gran disco! (Roberto Peciola)
DAVE STEWART THE RINGMASTER GENERAL (Membran/Edel) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Lontani gli anni magici intorno al mondo passati a spandere in coppia con Annie Lennox il «verbo» Eurythmics, Stewart è da tempo produttore di fama e autore di progetti solisti, a dire il vero altalenanti. Il nuovo disco fa parte della categoria «azzeccati» e che automaticamente non fa gridare al miracolo. 11 tracce dal retrogusto Eighties. E con il piccolo aiuto (in I Got Love e Drowning in the Blues), di Joss Stone e Alison Krauss. (s.cr.)
DAN STUART THE DELIVERANCE OF MARLOWE BILLINGS (Cadiz/Interbang) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ L’album dell’ex Green on Red è intrigante già dalla copertina. Come se Kim Ki Duk dai suoi mondi sconsolati avesse fatto un’incursione nell’indie rock e avesse portato nel suo universo di urbanizzazione disumanizzante suoni che danno un’anima. Brevissimi sussurri tinti qui e lì di barlumi toy music (Love so Rare) si alternano a suite per cuori solitari (Gonna Change). Per adulti pronti a soffrire. (s.fr.)
PATRICK WOLF SUNDARK AND RIVERLIGHT (Bloody Chamber/Goodfellas) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Per autocelebrare la propria musica, solitamente o si pubblica un live o una raccolta dei brani «migliori». Patrick Wolf ha scelto la seconda via, ma anziché riprenderli così come in origine, ne ha risuonati 16 in una nuova veste che ne amplifica la base acustica, grazie a piano, archi, arpa, dulcimer e via dicendo. Il risultato gli dà pienamente ragione e il doppio cd in questione ne valorizza la qualità compositiva. (r.pe.)
A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI:
[email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ
Bloc Party
Dry the River
Monk’n’Roll
Una data per la giovane indie folk rock band inglese. Bologna VENERDI' 9 NOVEMBRE (COVO)
3 NOVEMBRE (BRONSON) Torino DOMENICA 4 NOVEMBRE (ASTORIA) Roma LUNEDI' 5 NOVEMBRE (CIRCOLO DEGLI ARTISTI)
Il Teatro degli Orrori
Una data nel nostro paese per la indie band londinese guidata dal vocalist Kele Orekeke. Milano GIOVEDI' 8 NOVEMBRE (ALCATRAZ)
La band di nuovo in tour per presentare Il mondo nuovo. Cortemaggiore (Pc) VENERDI'
The Maccabees
Tim Burgess
David Grubbs
Cesena (Fc) SABATO 10 NOVEMBRE (VIDIA)
Il leader dei Charlatans torna in veste di cantautore. Roma MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE (CIRCOLO
Con Jim O’Rourke è stato il cuore e l’anima del sound chicagoano con i Gastr Del Sol. Bologna MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE
L’ultimo progetto del Francesco Bearzatti Tinissima Quartet approda al «Roma Jazz Festival». In sintonia con il tema (Visual Jazz) il concerto prevede un live video di A. Vanni, foto di R. Polillo e progetto video di F. Chiacchio, V. Griscioli e Vanni. Roma SABATO 3 NOVEMBRE (AUDITORIUM
La indie pop band inglese presenta il nuovo album Given to the Wild, tra Coldplay e Arcade Fire. Firenze SABATO 3 NOVEMBRE (VIPER) Ciampino (Rm) DOMENICA 4 NOVEMBRE (ORION) Bologna LUNEDI' 5 NOVEMBRE (ESTRAGON)
Band of Horses La indie band di Seattle propone i brani del nuovo cd, Mirage Rock. Milano DOMENICA 4 NOVEMBRE (ALCATRAZ)
Ultravox Il ritorno nella line up con Midge Ure alla voce della band inglese, icona della musica pop elettronica anni Ottanta. Milano LUNEDI' 5 NOVEMBRE (ALCATRAZ)
Chain & The Gang Unica data per il nuovo progetto dell'ex Make Up, Ian Svenonius. Bologna SABATO 10 NOVEMBRE (LOCOMOTIV)
The Gaslight Anthem Un’unica data italiana per la band del New Jersey, tra punk, soul e rock, rigorosamente made in Usa. Milano MARTEDI' 6 NOVEMBRE (ALCATRAZ)
DEGLI ARTISTI) Bologna GIOVEDI' 8 NOVEMBRE (LA SCUDERIA) Torino VENERDI' 9 NOVEMBRE (SPAZIO 211)
Filastine Le contaminazioni sonore dell'artista californiano trapiantato da tempo a Barcellona. Poggio Berni (Rn) VENERDI'
Josephine Foster
Giardini di Mirò
Il folk rock «estremo» della cantautrice di Chicago in un concerto in occasione dell'uscita del nuovo lavoro, Blood Rushing. Milano GIOVEDI' 8 NOVEMBRE (TEATRO
La post rock band reggiana con un lavoro dal titolo benaugurante, Good Luck. Perugia SABATO 3 NOVEMBRE (URBAN) Roma VENERDI' 9 NOVEMBRE
DAL VERME)
Petra Jean Phillipson
Il post punk incontra la musica afro. Verona SABATO 10 NOVEMBRE (INTERZONA)
La melanconia della cantautrice inglese. Mantova SABATO 3 NOVEMBRE (FUZZY) Sermide (Mn) DOMENICA 4 NOVEMBRE
Vinicius Cantuária
Ritmiche tribali, pulsioni funk e melodie orientali per la band inglese. Brescia VENERDI' 9 NOVEMBRE (LIO) Padova SABATO 10 NOVEMBRE (LOOOP)
Micah P. Hinson L’indie pop «american style» del cantante/autore originario di Memphis. Madonna dell'Albero (Ra) SABATO
Dal vivo la rock band piemontese. Bologna VENERDI' 9 NOVEMBRE (LOCOMOTIV)
Jagwa Music
Zun Zun Egui
Marlene Kuntz
(LA SCUDERIA)
9 NOVEMBRE (CIRCOLO DEI MALFATTORI)
(CHINASKY)
9 NOVEMBRE (FILLMORE)
Molte e di grande valore le collaborazioni del compositore brasiliano. Bologna MARTEDI' 6 NOVEMBRE (LA SCUDERIA)
Subsonica
(CS BRANCALEONE-AUSGANG)
(TEATRO VERDI)
Guitar Legends Festival
Casa del Jazz
Due appuntamenti per la rassegna chitarristica, con Allan Holdsworth with Virgil Donati e il Ciro Manna Trio. Roma SABATO 3 E SABATO 10 NOVEMBRE (CENTRALE MONTEMARTINI)
Ausgang
Marghera (Ve) SABATO 10 NOVEMBRE (CS RIVOLTA)
9 NOVEMBRE (VARIE SEDI)
(CS LEONCAVALLO)
Il teatro Verdi di Pordenone continua ad ospitare un’attenta selezione di jazz italiano e friulano. In scena il duo di Vitaliano Trevisan (voce recitante) ed Ettore Martini (sax tenore) nel recital Tristissimi giardini. Pordenone MERCOLEDI' 7 NOVEMBRE
Modena SABATO 10 NOVEMBRE (VIBRA)
Il festival itinerante della capitale ha in cartellone Maria Antonietta, Eva Mon Amour, Il Triangolo, Honeybird & The Birdies, Iori's Eyes (stasera, Lanificio 159), Zen Circus (l'8, Black Out), Giardini di Mirò (il 9, cs Brancaleone). Roma SABATO 3, GIOVEDI' 8 E VENERDI'
Ritorno alle origini per la band piemontese con due concerti nei centri sociali. Milano VENERDI' 9 NOVEMBRE
PARCO DELLA MUSICA)
Jazz Loft
Continuano gli incontri curati da G. Gatto sugli «Jazz standards» (ospite Enrico Pieranunzi). Il batterista Fabrizio Sferra presenta il suo nuovo album (Untitled 28) con Dan Kinzelman, Giovanni Guidi e Joe Rehmmer. Roma MERCOLEDI' 7 E GIOVEDI' 8 NOVEMBRE (CASA DEL JAZZ)
Musicus Concentus/ Piano Hour La rassegna fiorentina è al suo quarto appuntamento e tocca ad Andrea Pellegrini e a Claudio Cojaniz affrontare gli 88 tasti. Firenze VENERDI' 9 NOVEMBRE (SALA VANNI)
ROMBO DI FUNK Smoove è la metafora perfetta del suono in divenire. Il dj/produttore che mischia dischi in tutto il mondo, incide, remixa. Aspergendo qui e là soul, funk, bossa, disco e soprattutto big beat. Non solo: lo Smoove «dance» che ritocca Afrika Bambaataa non è lo stesso che mette le mani su Brenda Boykin o su Nick Pride & The Pimptones. Così come lo Smoove che lavora in proprio (due album) differisce in lungo e in largo dalla collaborazione dark pop & soul a nome Smoove & Turrell (due album). E qui sta il gioco. Ossia scardinare - attraverso un sano approccio diversificato - i recuperi avviati negli anni Novanta dalla Generazione Cocktail ricomponendoli con irresistibile contemporaneità. In First Class (Jalapeno JAL 141; 2012), album apprezzato anche da Fatoboty Slim, vengono raccolte alcune tra le rielaborazioni più riuscite del produttore di Newscastle. Tra gli inediti spiccano il rutilante remix di It's My Funk (Afrika Bambaataa, King Kamonzi & Charlie Funk) e quello di Can't Get You Out of My Head, cover di Kylie Minogue qui rieseguita dai Third Degree (quelli della versione ultrasoul di Mercy). Altri artisti «ritoccati» sono New Mastersounds, Bahama Soul Club, Dynamo Productions ecc. Al debutto i londinesi Hannah Williams & The Tastemakers. Il loro album A Hill of Feathers (Record Kicks RKX 040; 2012) è un omaggio downtempo al soul più anni Settanta, con Hannah Williams che assomiglia a un incredibile alter ego maschile di James Brown (si senta Don't Tell Me) e che sfoggia urgenze vocali tanto vicine a Etta James o Betty Davis. Tra rimandi Stax, ritmica deep soul e cori. La produzione è affidata a Diesler (Laura Vane & The Vipertones ecc.). Soul tormentato. Occhio a Cadillac Cuties and Hot Rod Heroes. 50 Hi-Octane Cuts from the Golden Age of the Automobile (Fantastic Voyage FVDD 147/Goodfellas; 2012), doppio cd sul rapporto auto/rock'n'roll. Il veicolo qui è metafora di affrancamento dai vincoli parentali, socializzazione, solitudine (al tempo se non avevi quattro ruote sotto i piedi non esistevi). E allora: Pink Thunderbird (Gene Vincent & His Blue Caps), Wanted (A Solid Gold Cadillac) (The Aquatones), Cadillac Baby (Roy Brown) ecc. «Macchine e motori» è un subgenere del rock'n'roll, al suo interno un altro sub-sub genere, quello «automotivo» (tra i preferiti di chi scrive) con pezzi che incorporano effetti sonori (clacson, stridori di freni ecc.). Quest’ultimo latita: abbinare entrambi avrebbe nobilitato il disco. Resta, comunque, una buona introduzione al genere, con dentro pezzi meno noti e classici (anche Brand New Cadillac di Vince Taylor). Hell’s Angels 69- Angeli della violenza (Reel Time RTLP1010) è la colonna sonora appena ristampata in vinile di un film del 1969 con Tom Stern e Jeremy Slate che vogliono rapinare il Caesar's Palace di Las Vegas. Tra veri Hell’s Angels, incursioni cantate e strumentali - beat, country, pop jazz e rombi di moto. Tony Bruno e Frank Avianca firmano i brani.
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ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
THE FABULOUS SIXTIES
Bici bianche e uvetta contro stato e padroni di CHIARA PAZZAGLIA
●●●Che cosa sarebbe successo in Italia se nel 1965, in pieno boom economico, aspettando lo sbarco sulla Luna, mentre ogni giorno si sfornavano 600 automobili Fiat 500, mentre si ricopriva la penisola di strisce di cemento chiamate autostrade (alcune ancora oggi incomplete), la famiglia Agnelli all'apice del successo, mentre i Caroselli raccontavano come sarebbe stata la nostra nuova vita; cosa sarebbe successo se qualcuno avesse detto: «La vita con una bicicletta è molto ma molto più sexy»? Erano olandesi, era appunto il 1965, erano ragazzi tra i 18 e i 20 anni e ci credevano veramente. Avevano solo una bicicletta come arma e a cavallo di una bicicletta, loro, i Provo, i provocatori, hanno cambiato la storia dell'Olanda e ridefinito la cultura olandese, trasformandola in quello che oggi conosciamo: una società fortemente attenta all'ecologia, aperta e tollerante. Sarebbe potuto succedere solo ad Amsterdam? Roel van Duijn era uno di quei ragazzini irriverenti, uno dei fondatori dei Provo; oggi è un politico, scrittore e consulente sentimentale per cuori infranti. ●Pensa che quel tipo di cambiamento sia accaduto perché era il momento giusto o perché era il luogo giusto? Amsterdam era un buon posto anche se c'erano città sicuramente migliori. Il 1965 era anche un buon momento ma c'era la guerra fredda con la paura dei comunisti, la paranoia e soprattutto la paura - questa volta fondata - della guerra. Quindi quando abbiamo cominciato con i Provo a fare happening e a proclamare Amsterdam un centro magico, non era perché il momento o il luogo anticipavano un successo. Anzi. All'inizio la repressione e l'odio contro di noi è stato massiccio: la gente chiedeva di rinchiuderci in campi di concentramento, i giornali ci chiamavano «ratti». È stato solo perché abbiamo usato ironia e provocazione come armi che in qualche modo siamo riusciti – e dopo ci siamo stupiti del nostro successo. ●Qual'è stata secondo te l'azione più «potente» dei Provo? Distribuire uvetta nelle strade, in un momento in cui gli happenings ad Amsterdam erano vietati. Abbiamo scelto l'uvetta perché in olandese si dice «krent» e viene da Corinto, il posto dove l'apostolo Paolo predicava l'amore come la più alta funzione dell'uomo. Quando abbiamo dato l'uvetta ai passanti per strada la polizia ci ha arrestato immediatamente: erano sicuri che questo fosse un happening, non capivano che era amore puro! Mentre eravamo in prigione con l'accusa di fare happening la gente di Amsterdam rideva un sacco di questa sciocca azione della polizia. Alla fine hanno dovuto liberarci. Allora il consiglio comunale ha stabilito che gli happenings nella città di Amsterdam
Intervista a Roel van Duijn, tra i fondatori dei Provo olandesi, rivoluzionari irriverenti che avevano reso quel Paese tra i più «vivibili» d’Europa dovevano essere tollerati e che la polizia non doveva più intervenire! ●Contro cosa vi scontravate? Contro l'autoritarismo cieco. Contro il potere dello Stato e contro i padroni. Contro una cultura del consumo che non ha radici. Noi abbiamo lottato e messo in guardia contro un futuro da schiavi consumatori, gli uomini di domani. ●Oggi in cosa riconosce un'evoluzione del suo metodo per provocare il cambiamento? Oggi vedo, almeno in Olanda, più democrazia rispetto agli anni '60, più libertà. Negli anni '60 sono stato arrestato e messo in prigione molte volte. Perché «provocavo», anche se con i Provo non abbiamo mai praticato alcuna violenza. Noi eravamo anarchici senza essere violenti. Deploro vivamente l'uso della violenza, anche oggi per
esempio da parte degli anarchici in Grecia. Noi lanciavamo solo fumogeni colorati, per fare una satira della violenza. Oggi vedo che le persone, molto più che in quegli anni, comprendono che la natura e l'ambiente sono in pericolo e che dobbiamo proteggerli cambiando il nostro stile di vita. Utilizzando le biciclette, come simbolo, e producendo cibo organico e meno carne. La gente capisce anche che l'energia nucleare e la bomba nucleare sono una minaccia per l'umanità e che dobbiamo combattere contro questi pericoli. ●Di cosa ti occupi oggi? Mi occupo di analizzare il lavoro dei servizi segreti. Oggi hanno più potere che mai. Noi dovremmo controllarli. Questo è ora il tema del mio lavoro politico, da quando ho scoperto che i servizi segreti olandesi mi stavano seguendo da circa trent'anni. Mi trattavano come un pericoloso violento, nonostante le mie reali azioni e parole. Ho scritto un'autobiografia basata sui circa 1500 dossier segreti scritti dalle spie su di me. Questi dossier li ho ottenuti dopo aver vinto un processo in tribunale, fatto proprio per ottenere tutti i documenti che mi riguardavano. La mia autobiografia si chiama Deepfreezefigure («Figura profondamente congelata») perché ho scoperto che i servizi segreti mi hanno messo nel 1967 in una lista di persone «da congelare» nel momento in cui si fosse scatenata una rivoluzione. (
[email protected])
LIBRI ■ DREAMERS & DISSENTERS
...noi invece vestivamo come ci pareva di MASSIMO DE FEO
●●●Da qualche giorno è arrivato nelle librerie Dreamers & Dissenters, sottotitolo Viaggio illustrato tra le mode degli anni Sessanta, creato a quattro mani e due teste da Matteo Guarnaccia e Giulia Pivetta, edito da Vololibero. In 144 pagine e 30 schede si rileggono gli anni ’60 a partire dai vestiti dei protagonisti di quegli anni, ricordando o scoprendo particolari dimenticati. Le tute spaziali sovietiche sono arancioni come quelle dei lavoratori stradali, i cosmonauti sono infatti operai delle stelle. Nell’abbigliamento dei vietcong non manca un «salsicciotto» da mettere a tracolla per trasportare il riso. Per il lancio del 45 giri Power to the People, John Lennon e Yoko Ono si fanno fotografare vestiti da Zengakuren, gli studenti in rivolta giapponesi. A
Londra può succedere a chi indossa vecchie divise militari, di essere insultato per strada da reduci e di essere denunciato per uso improprio di materiale bellico. New Dandy, Motown, Surfisti, Provos, Rockers, Ragazze ye-ye, Fan dei Beatles, Carnaby Street, Capelloni, Hippie, Beat, Marines, Black Panthers, Feddayn, Skinheads, Conigliette di Playboy... «Questo libro - spiega Matteo Guarnaccia - nasce da un lavoro che ho fatto con Giulia Pivetta, una ragazza di 28 anni. Fresca di laurea in Fashion Design, aveva una certa fascinazione rispetto agli anni '60 ma non si accontentava di quello che si trova in giro, non solo sugli anni '60 ma anche rispetto alla storia del costume in generale. Trovi sempre libri che mettono tante foto ma non spiegano mai granché, mancano sempre di riferimenti. Per
cui abbiamo deciso di fare questo libro come parte di un progetto a più ampio respiro. Vogliamo affrontare la storia del costume senza limiti di tempo, pur concentrandoci soprattutto sul '900. L'idea è di offrire a chiunque interessa un certo periodo, un certo decennio, tutte le possibilità per leggerlo trovando l'aggancio a lui più congeniale, il cinema, la letteratura, la musica, i personaggi coinvolti o quant'altro ma partendo sempre dal punto di vista di come si sono espresse le diverse scene creative in quel decennio, gli anni ’20, gli anni ’30...Quando ci sono state rivoluzioni di costume molto forti che in qualche modo hanno poi contribuito a cambiare non solo il modo di vestire ma anche il modo di pensare, credo sia importante dare dei riferimenti. Nei ’60 l'idea base è stata quella di
ALIAS 3 NOVEMBRE 2012
Matteo Guarnaccia ci parla del suo nuovo libro, scritto con Giulia Pivetta. Un viaggio negli anni ’60 a partire dai vestiti e dagli oggetti indossati dai protagonisti di quel decennio «mai riconciliato»
moltissime cose e abbiamo cercato di mostrarlo anche al di là della ristretta ottica che vede solo quanto è avvenuto nei paesi anglosassoni, per cui siamo andati dai Zengakuren giapponesi allo ye-ye francese, i vietcong, gli hippie, le guardie rosse... la nostra grande scommessa era uscire dagli schemi e inventarsi un copione nuovo. ●Questi diversi stili hanno poi interagito tra di loro... Sì, alcuni partono da un'idea di resistenza attiva, per cui certi abiti sono ovviamente oltraggiosi, hanno un aspetto militare, guerrigliero... altri sono invece totalmente creativi, persi nel mondo delle fiabe. Ma il dato comune è questa capacità di superare ogni tipo di barriera, per cui uno poteva mettersi un abito militare e renderlo inoffensivo inserendo una toppa, un elememnto accessorio che stravolgeva il simbolismo classico associato all'indumento militare, viceversa se uno skinheads sceglieva una camicia sportiva più o meno elegante, con il suo taglio di capelli e i tatuaggi la trasformava in qualcosa di molto offensivo e pericoloso. ●Verso la fine degli anni '60 c'è stato il boom dell'eschimo e almeno in italia la riscoperta di massa dei pantaloni e delle giacche di velluto... Sì, esattamente, l'eschimo faceva parte dell'uniforme dell'esercito americano nella guerra di Corea. Gli abiti di velluto vestivano il vecchio signore di campagna o se no si rifacevano ai preraffaelliti, all'età Vittoriana. Tutti tessuti che in qualche modo rivendicavano un aspetto molto materico, chi si vestiva voleva veramente entrare a far parte di vestiti e accessori che non fossero semplicemente dei costumi di scena. I vestiti erano veramente parte integrante di una ricerca esistenziale o esperienziale. ●È di quel periodo la famosa canzone di Donovan che dice «I love my jeans, I love my shirt...», e Gianni Meccia cantava «Il pullover»... Pensare oggi a un musicista che dedica una canzone a un paio di pantaloni... sembrerebbe molto strano. Oggi magari qualcuno dedica una canzone a uno stilista, come è successo. La cosa interessante è che un capo di abbigliamento semplice, umile, come un golf o dei jeans, poteva diventare assolutamente parte integrante di una personalità. Persino le grandi rockstar alla fine erano loro che imponevano il loro simbolismo visivo, non è come oggi che vanno da uno stilista e diventano testimonial di quello stilista. All'epoca lo stilista non esisteva, o se esisteva era veramente dietro le quinte.
liberare il corpo, con le diverse declinazioni degli stili, dai Black Panthers alle hostess dgli aereoplani americani, due cose che sembrerebbero non aver nulla in comune ma che in realtà condividono una stessa tensione, il corpo che si stava liberando, che cercava di uscire da un certo tipo di costrizione, anche per segnalare subito un'appartenenza sociale, di classe, politica... anche perché la novità sostanziale era il fatto che ognuno poteva costruirsi una identità. Mentre oggi come in altri periodi le identità si comprano, a quei tempi ognuno si costruiva la sua». Nel libro per ogni «scena» abbiamo messo tutte le informazioni possibili per entrare in quel contesto. Non c’è solo il disegno... si potrebbe dire un libro interattivo. Se uno vuole si va a vedere il film citato o il pezzo musicale, va a carcarsi gli scrittori, i libri collegati a quella scena, ci sono molti elementi che lo rendono un libro ampliabile, un carnet di viaggio molto veloce che offre, se uno ha voglia di approfondire, tutti i riferimenti per farlo». ●Il libro si apre con la Dolce Vita e si chiude con gli Skinheads...avete seguito un ordine in qualche modo cronologico? Sì, la Dolce Vita è agli inizi dei '60 e nel 1969 arrivano gli Skinheads. Di solito quando uno pensa agli anni ’60 li vede molto più concentrati, più compatti, come se fosse possibile darne un'unica definizione... si pensa subito ai pantaloni a zampa d'elefante, ai capelli lunghi, le minigonne...in realtà i ’60 sono stati
●Tu come ti vestivi in quegli anni? I jeans sono stati il punto di non ritorno, io vengo ancora da un'epoca in cui non si poteva andare a scuola indossando un paio di jeans, o le scarpe da ginnastica, e parliamo di Milano non di piccoli centri di provincia. Poi tutto ciò che in qualche modo aveva a che fare con i primi viaggi in Oriente, per cui le camicie indiane, i gilet afghani, cose di questo genere hanno fatto parte integrante del mio guardaroba e anche la riscoperta della campagna, con le giacche a quadri, le camicie da boscaiolo alla Kerouac. Oggi uno può comprarsi un'esperienza attraverso un vestito. Un impiegato che si compra una giacca di pelle può immaginarsi di essere un selvaggio motociclista ma invece di andare sulla strada e di fare l'esperienza del byker, invece di sporcarsi le mani di grasso, entra in un negozio e si compra la giacca di pelle. Idem per chi vuole avere l'esperienza di avere un look da mod, basta che entri in un grande magazzino e si compri l'eschimo, ormai li rifanno nuovi, non sono più i surplus militari di quegli anni, ormai l'industria dell'abbigliamento reinterpreta continuamente i pezzi del passato. La curiosità che c'era in quegli anni di accostare elementi diversi e creare un proprio look oggi non c’è più, sono gli altri che ti dicono in che modo vestirti, c'è molto più conformismo oggi rispetto agli anni ’60. I ragazzi allora cercavano i propri vestiti nei bazar dell'Oriente, nei negozi di surplus militare, e questo la dice lunga su come ci fosse una totale negazione di quello che veniva offerto dal
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mercato, che veniva tenuto lontano da chi si ribellava in quegli anni. Uno andava a cercarsi i jeans, i pantaloni di velluto, le camicie da operaio...era una specie di antimoda che alla lunga è diventata moda, moda dominante per le strade. ●E si arriva ai jeans che escono dalla fabbrica già rotti, coi buchi alle ginocchia... Le persone non hanno più neanche l'intenzione di «vivere» un vestito, di consumarlo...l'ansia di consumare diventa tale che uno si compra direttamente i pantaloni come quelli che avevano i Ramones negli anni '60, già colle ginocchia aperte, o magari perché hanno visto vecchie foto di beatnik coi pantaloni strappati. Tutto è diventato replicabile ma a carissimo prezzo. ●Alla fine del libro ringraziate la stilista inglese Vivienne Westwood, che ruolo ha avuto? È stato un personaggio che ha attraversato tutti quegli anni, ha partecipato a molte delle rivoluzioni legate allo Street Style, oltre a essere una persona che conosco personalmente e con cui ho fatto anche dei lavori. Per la presentazione di questo libro ci ha offerto il suo negozio qua a Milano. Sono stati molto gentili, hanno capito che è un libro che in quelche modo celebra lo Street Style e Vivienne Westwood è stata una delle
Alcuni «capitoli» tratti da «Dreamers & Dissenters». Da sinistra: La Dolce Vita, Maggio francese, Hippies, Hostess
grandi apripista in questo senso. ●Il prossimo libro della serie? Potrebbe essere sugli anni Venti, per cui dal primo dopoguerra sino al '29, il crollo della Borsa di New York. Tutto il periodo della «Lost Generation», i «Roaring Twenties», tutto quello che ha a che fare col jazz e le avanguardie, le situazioni rivoluzionarie che si sono create nel dopoguerra in tutto l'Occidente, dai spartachisti tedeschi ai jazzisti della Harlem Renaissance, è veramente un periodo molto, molto interessante.
10 DICEMBRE GIORNATA INTERNAZIONALE
DIRITTI DEGLI ANIMALI SEGUE DALLA PRIMA condotte animali, è una disciplina costruita sul presupposto di una netta demarcazione tra l’uomo e tutti i viventi che non sono l’uomo, dunque su una dicotomia forte tra umanità e animalità. Per lungo tempo si è ritenuto che non esistesse nessun dovere morale (né tanto meno giuridico) nei confronti degli animali, considerati come res, cose, di cui gli uomini, signori del creato, potevano disporre come meglio credevano. «Ciò che soprattutto conta è nascondere la violenza, renderla impensabile, invisibile, lontana dagli occhi del fanciullo che ne verrebbe diseducato - spiega il prof. Lauso Zagato giurista, docente di diritto internazionale all’università Cà Foscari e promotore del convegno - Non a caso la tradizione penalistica italiana, dal codice Zanardelli (ma anche prima la legge del granducato di Toscana) vietava le manifestazioni esteriori di crudeltà. Il bene giuridico tutelato è solo ed esclusivamente la sensibilità umana». Nel 1993 però qualcosa cambia. Si fa strada anche a livello legislativo, dopo essere stata a lungo dibattuta in ambito filosofico, l'idea che gli animali in quanto esseri senzienti e sensibili, vanno protetti dalla crudeltà umana per loro stessi e non per scopi indiretti, educativi o simili. In campo etologico c’è chi, come Dominique Lestel che ha lavorato soprattutto nel campo della cosiddette «scimmie parlanti», è in linea con le attuali posizioni della biologia fortemente critiche nei
confronti del determinismo genetico. Lestel considera la genetica soltanto un vincolo tra gli altri e sottolinea che «l’animale innova e inventa». «All’idea cartesiana dell’animale-macchina, che dà risposte prevedibili e spiegabili meccanicisticamente, Lestel contrappone l’idea dell’ animale-ermeneuta. Ovvero l’animale interpreta costantemente il mondo che lo circonda, gli altri esseri viventi e se stesso - ha ricordato la filosofa della scienza Maria Turchetto - L’osservatore perciò elabora le interpretazioni dell’animale osservato (di qui il «bicostruttivismo») e accetta l’interazione con esso anziché attribuirsi la posizione di chi è al di sopra del mondo per osservarlo». Gli animali vengono però divisi: da una parte ci sono quelli destinati agli allevamenti intensivi, dall’altra quelli con comportamenti e caratteristiche simili all’uomo, tra cui i grandi antropoidi (scimpanzé, gorilla ed oranghi) ed i cetacei. I primi, ha spiegato l’avv. Monica Gazzola, appartengono alla famiglia degli ominidi e sono tutelati anche dalla normativa U.E che nel 2010 con la direttiva n.63 ha vietato la sperimentazione scientifica su di essi. La Gazzola ha ricordato i più recenti studi delle neuroscienze secondo cui l’origine neuronale della coscienza risulterebbe indipendente dal linguaggio. Gli scienziati-filosofi Humberto Maturana e Francisco Varela spiegano l’esistenza di linguaggi (intesi come interazioni orientanti) anche in animali diversi dall’uomo, in particolare tra primati e delfini. Alcuni scienziati propongono il
riconoscimento del diritto alla vita dei cetacei. Recentemente, una corte distrettuale statunitense ha esaminato un ricorso contro il parco acquatico Sea world per violazione del 13˚ emendamento (divieto di schiavitù e servitù) presentato dall'associazione ambientalista PETA. Cinque orche del parco sono state nominate, per la prima volta, come ricorrenti. Il giudice ha respinto il ricorso, argomentando che il 13˚ emendamento non si applica alle «non persons» come le orche. «Sul piano del diritto internazionale, il diritto alla vita dei cetacei non può dirsi affermato, nonostante la prassi di alcuni Stati si muova verso l’estensione della moratoria sulla caccia alle balene. Tuttavia, se la prassi si consolidasse,-ha affermato la giurista Sara De Vido i tre Stati cacciatori diventerebbero ’persistent objectors’, senza ostacolare pertanto la formazione di una norma consuetudinaria che riconosce il diritto alla vita dei cetacei». Sul piano giuridico internazionale il benessere degli animali sta sempre più assumendo una dimensione autonoma, come valore da tutelare per evitare sofferenze non necessarie. Elisa Baroncini, giurista dell’Università di Bologna, ricorda come l’organizzazione mondiale del commercio ha, per la prima volta nella storia del sistema multilaterale, giustificato una misura Usa che vietava l'importazione di gamberetti senza tutelare adeguatamente le tartarughe marine che insieme ad essi nuotano. Nella recente causa sull'etichetta Dolphin-Safe
(maggio 2012) infatti, l'Organo d'appello ha riconosciuto come interesse legittimo, da tutelare in base all'art. 2.2 dell'Accordo Tbt il diritto all'informazione dei consumatori sui metodi di pesca del tonno, che nell'Oceano pacifico orientale nuota insieme ai delfini, al fine di garantire il non utilizzo delle reti a strascico e del metodo di pesca a circuizione, che uccide, ferisce e stressa notevolmente i mammiferi marini, i quali, anche laddove sopravvivano alle battute di pesca, per lo shock cessano di riprodursi. La legislazione sul divieto di commercializzazione ed importazione dei prodotti derivati dalla foca, introdotta dall'U.E. nel 2009, rappresenta la prima causa instaurata dinanzi al meccanismo di risoluzione delle controversie dell'Omc che ha ad oggetto esclusivamente il benessere degli animali, nel nostro caso delle foche. Oggi nell’U.E. l’art. 13 del Trattato sul Funzionamento specifica che gli animali hanno un valore intrinseco che deve essere rispettato in quanto essi sono creature senzienti. Uno scenario incoraggiante ma non sufficiente poiché la tortura persiste per gli animali ospiti negli allevamenti intensivi e per quelli da laboratorio. Per il filosofo Giuseppe Goisis, che parla di paradossi ed incoerenza umana, solo il potere crea il diritto e la legge. Pertanto gli animali sono condannati a crudeltà, tortura e sterminio. «Un principio di tutti i totalitarismi che tuttavia non preoccupa nessuno. Bisogna ritrovare la tenerezza, una istanza profonda di una umanità smarrita.
L’uomo deve riconciliarsi con la propria animalità e naturalità, dalla loro negazione deriva la sua intolleranza, il disagio, persino la vergogna di sé». Oggi tortura significa soprattutto vivesezione. Come viene giustificata? George Devereux, ricordato dall’antropologa Maria Luisa Ciminelli, parla della distanza tra osservatore ed osservato che trasforma esseri viventi in ’preparati’ come per gli animali mutilati a fini sperimentali che prevedono l’abolizione o eliminazione del fenomeno che si intende studiare. «Ciò serve a legittimare la negazione nevrotica del senso di colpa provato dopo aver inferto il dolore, il «sadismo inconscio» o «latente», il «culto nevrotico della posa scientifica», la «formazione reattiva – priva di insight – contro le proprie pulsioni sadiche». Ma la tortura animale oggi è soprattutto di genere. Secondo l’eco-femminista Annalisa Zabonati, redattrice della rivista femminista DEP, il patriarcato è la matrice di tutte le oppressioni. La storica Bruna Bianchi, direttrice della stessa rivista, ha ricordato le campagne della giornalista irlandese Frances Power Cobbe contro la vivisezione e la violenza domestica (1863-1889). Tra le fondatrici della National Anti-Vivisection Society e del suo organo The Zoopholist. Autrice di numerosi opuscoli contro la tortura agli animali, a partire dal 1863 sosteneva che la medicina e la fisiologia avevano deviato dai loro fini per divenire una professione animata dalla competizione e dalla crudeltà. Le
sue campagne suscitarono aspre reazioni da parte delle associazioni mediche, da The Lancet e dallo stesso Darwin. In numerosi scritti affermava la stretta connessione tra l’impegno femminista e quello contro la vivisezione. Dunque, si parla di animali ma il riferimento costante rimane agli uomini. Una «integrazione di sguardo» è stata proposta dal filosofo Luigi Vero Tarca che a mo’ di provocazione ha concluso affermando «L’antropocentrismo è già superato: gli uomini, intesi come singoli individui, non contano più nulla. Sono ormai in balìa di organizzazioni meta-umane tecnologicamente. Se pensiamo che oggi in alcune parti del nostro pianeta si può andare alla festa di nozze della figlia ed essere uccisi, assieme ad altre 70 persone, da un drone! I soggetti che oggi fanno la storia non sono più individui umani. L’homo randagius sta a quello tecnologicus come i polli stanno a noi - ha spiegato - Anche per questo lo sguardo con il quale noi consideriamo la vita animale è importante al fine di capire quello che potrà essere il destino che i grandi organismi, i quali progettano e organizzano la vita sulla terra, riserveranno agli esseri umani. L’incredibile evoluzione tecnologica determina una trasformazione del potere che pone in maniera drammatica il problema degli animali umani nei confronti degli organismi che gestiscono un potere generale su tutte le forme di vita presenti sulla terra». Una conclusione nient’affatto rassicurante, inquietante, quasi profetica.
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