Qodlibet Giorgio Agamben Che cos'è la flosofa?
Alla domanda «che cos'è la losoa» - una questione che si pone tardi e di cui si può parlare solo fra amici Agamben, in questo libro che è in qualche modo una summa del suo pensiero, non risponde direttamente, ma attraverso cinque saggi, ciascuno dei quali presenta una sorta di emblema: la Voce, il Dicibile, l'Esigenza, il Proemio, la Musa. In ognuno dei testi, secondo un gesto che denisce il metodo di Agamben, l'indagine archeologica e quella teorica si intrecciano stret tamente: alla paziente ricostruzione del modo in cui è stato inventato il concetto di lingua, fa riscontro il tentativo di restituire il pensiero al suo luogo nella voce; a una inedita interpretazione dell'idea pla tonica, corrisonde una lucida situazione del rapporto fra losoa e scienza e della crisi decisiva che entrambe stanno attraversando nel nostro tempo. E, alla ne, la scrittura losoca un problema sul quale Agamben non ha mai cessato di riettere assume la forma di un proemio a un'opera che deve restare non scritta.
ISBN
978-88-742-79-2
16,oo euro
I i l
9 788874 627912
Giorgio Agamben
Che cos'è la flosofa?
Qodlibet
Indice
p.
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Avvertenza Che cos'è la flosof?
II
© 2016 Quodlibet srl Macerata, va Giuseppe e Bartolomeo Mozz2 3 w.quodlibet.t
Exprmentum vos
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Sul conetto d esigenza
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S dicibie e l'idea
I23
So scriere proei
I33
Appendice La sic srea. Msica e poitica
I 47
Riferimenti bibliograci
I 53
Indice dei nomi
Avvertenza
In che senso i cinque testi qui raccoti contengano un'idea dea osoa, che risponde in quache modo aa domanda del titoo de ibro, risuterà ev idente se o risuterà soo a chi ne chi avràsi fatto a ettura. Com'è stato detto, trovaina spirito scriverediinamicizia un'epoca che, a torto o aragione, gli appare barbara, deve sapere che le sue forze e a sua capacità di espressione non sono per questo accresciute, ma, semmai, diminuite e ogorate. Poiché tuttavia, non può fare diversament e e i pessimismo gi è per natura estran eo né, d'atra parte, gi pare di poter ricordare con certezza un tem po migiore 'autore può sotanto afdarsi a chi avr à provato e sue stesse difcotà in questo senso, a degi amici. A diferenza degi atri quattro testi, che sono stati scritti ne corso degi utimi due anni, Experimentum vois ripren de e svoge in una nuova direzione appunti dela seconda metà degi anni Ottanta de XX secoo, che appartengono pertanto ao stesso contesto in cui sono nati La cosa stessa Tradizione de'immemorabile e :·e L'assoluto e l'Ereignis (poi raccoti in La potenza del pensiero, Vicenza 200 5 ) e Experimentum come2001). prefazione aa nuova edizione di linguae, ripubbicato Infanz e stor(Torino
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Experimentum vocis
I.
È un fatto su cui non ci si dovrbb stancar di rittr
che - bnché vi sianocistat v ibarbari siano ino ogni tmpo inac luogo società i cui costumi paiono comunque cttabili gruppi, più o mno numrosi, di uomini dispo st a mttr in qustion ogni rgola, ogni cultura ogni tradizion; bnché, inoltr, siano sistit d sis tano socità intgralm nt criinal i non vi sia, dl rsto, alcuna noma alcun valor sulla cui vignza tutti gli uomini riuscirb bro a trova rsi unanimnt d'accordo - tuttavia non vi è né vi è mai stata alcuna comunità o socità o gruppo ch abbia dciso di rinunciar puramnt smplicmnt al linguagg io. Non ch i rischi i danni ipliciti nll'uso dl linguaggio non siano stati avvrti ti più volt nl corso dlla storia: comunità rlgios losoch, a O ccidnt com a Orint, hanno pratic ato il silnzio - o, com dicvano gli scttici, l' «afasia» - ma silnzio afasia non rano ch una prova vrso un miglior uso dl li nguaggio dlla ragion non un'incondizionata dimission di qulla facoltà di parla r ch, in ogni tradizion, s mbra insparabil dall'umano. Così ci si è spsso intrrogati su com gli uomini ab biano incominciato a parlar, proponndo sull'srcin dl
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inguaggio ipotesi anifestaente incontroabii e prive di ogni rigore; a non ci si è ai chiesti perché essi continuino a faro. Eppure 'es perienza è sepice: è noto che se i ba bino non è es posto in quache odo al inguaggio entro gi undici anni di età, egi perde irreversibilente a capacità di acquisiro. Fonti edievai ci inforano che un esperi ento de genere sarebbe stato tentato da Federico l, a o scopo era tutt'atro: non già a rin uncia aa tr sissione de inguaggio, bensì, a contrario, proprio i desiderio di conoscere quae fosse a ingua naturae de'uanità. I risultato de'esperiento basta da soo a destituire di ogni attendibiità e fonti in questione: i b abini, accuratae nte
Partiao da'idea de'incoprensibie, di un essere in teraente senza rapporto co inguaggio e con a ragione, assoutaente indiscernibie e irreato Coe è potuta nascere una siie idea? In che odo possiao pensara? Un upo, un istrice, un grio avrebbero forse potuto concepi ra? Direo noi che 'aniae si uove in un ondo che è per ui inco prensibi e ? Coe non riette su'indicib ie, così neeno i suo abiente può apparirgi tae: tutto in esso gi fa segno e g para, tutto si ascia see zionare e integrare e ciò che non o riguarda in acun odo è per ui se
privati di ogni contatto co(o, linguaggio, avrebbero spontaneaente parlato 'ebraico secondo atre fonti, 'arabo). Che questo esperiento non sia mai stato tentato, non soo nei ager nazisti, a neeno nee counità utopich e più radicai e innovatrici, che nessuno neeno fra cooro che non avrebbero esitato un istant e a togiergi a vita ab bia ai osato assuersi a responsabiità di togliere a'uoo i linguaggio, ciò s ebra provare otre ogni dubio i e gae inscindib ie che s ebra vincoare 'uanità aa paroa. N ea denizione che vuoe che l'uoo si a i vivente che ha i in guaggio, 'eeento decisivo non è, secondo ogni evidenza, a vita, a a lingua. Eppure gli uoini non saprebbero dire che cosa sia per essi in questione ne linguaggio coe tae, ne puro fatto che essi p arino. Benché avvertano più o eno oscuraen te quanto sia inutile usare a parola nel odo in cui per o più fanno, spesso a vanvera e senza avere nula da dirsi o per farsi de ae, ostinataente continuano a parare e a trasettere ai propri gi i inguaggio, senza sapere se ciò sia il bene più ato o a peggiore dee sventure.
pliceente non inesistente. parte,rabie, la ente per denizione conosceD'altra l' impenet la suadivina conoscenza non incontra liiti, tutto anche l'uano, anche a a teria inert e è per e ssa intelegibil e e traspa rente. Dobbiao dunque guardare a'incoprensibie coe a un'acquisizione escusiva del' sapiens, a'indicibie coe a una categoria che appartiene unicaente a inguaggio uano. I carattere proprio di questo inguaggio è che esso stabiisce una particoare reazione con 'essere di cui parla, counque o abbia noinato e qu aicato. Quasiasi cosa noiniao e concepiao, per il soo fatto di essere stata noinata è già in quache odo presupposta a inguaggio e aa conoscenza. È questa 'intenzionaità fonda mentale dea paroa uana, che è già sepre in reazione con quacosa che presuppone coe irrelato. Ogni posizione di un princi pio assouto o d i un a di à de pensiero e de linguaggio deve fare i conti con questo carattere presupponente de inguaggio: essendo sepre relazione, esso rianda a un princ ipio irreato che è esso stesso a presupporre coe tae (ovvero, nelle parole di Maaré: «il Verbo
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è u principio ch si svilupp ttrvrso l ngion di ogni principio» cioè, ttrvrso l trsformion dl princip i in prsupposto, dll'x{ in ipotsi). E qusto è il miologm srcinrio , isim, l'pori cui si urt il soggtto prlnt: il linguggio prsuppon un non linguistico, qusto irrlto è prsupposto dndogli, prò, un nom. lbro prsupposto l no «lbro» non può ssr sprsso nel iguggio, si può solo prlr di sso prtir dl suo vr no. M llor ch cos pnsimo qundo pnsimo u ss r intrmnt sn rpporto col linguggio? Qundo il pnsiro crc di ffrrr l'incomprnsibil l'indicibil, sso crc in vrità di ff rrr prcismnt l struttur prsup
supposto, gi fondmnto di una pricion». In qusto s nso, Ptone, inter rognosi sul si gni ione linguisti, potev scrivre: « isuno i usti nomi è presuppost (\KEt't) un propri sostn (oOa)» (Protag. 349 b ) e « i nomi primi, i qu i in lcun modo ltri nomi sono presupposti (oç ofr 'Epa KEt' at) in c modo i mnifesternno gi nti? (Crat. 422 d). ssr è ciò ce è prsupposto inguggio (al nom e lo nifst), ciò su ui presupposiion si die iò si dic. L prsupposizione esrime unqu reione oriinaria fr inguggio e esser, fra i nomi e ose e prsupposiion prim è e vi si una tale rione. L
ponnt dl linguggio, l u intnionlità, il suofuori ssr in rlion qulcos, ch si suppon s istnt dll lion. E un ssr intrmnt sn rpporto col lin guggio possimo pnsrlo solo ttrvrso un linguggio sn lcun rpporto con l'ssr.
posiion di un rppo rto fr il lin mondo l posiio dll prsuppo siion è luaggio prstion costitu tiv dl linguggio umno coì com l loso occidntl lo concepito: l'ontoogi, il ftto 'esser si dic h i dire si riferisa l'essere. Soo su uesta resuposiion soo possibili prdicazion e i isorso: ess è i «suui» de preia ione ints ome ÀyEv Ka' voç dir qulcosa su quos. I «su quosa (Ka' voç) non è omogno a «dir quos, m esprie insiee, nasone i ftto , in esso, è stto già sepre prsuposto il nsso ontogico di ingug gio e sser , ioè i inguaggio porti smpr su quaosa on ari vuoto.
3· È nll struttur dll prsupposiion ch si rticol l'in trccio di ssr linguggio, mondo prol, ontologi logic ch costituisc l mtsic occidntl. Col trmi «prsup posto» dsignimo qui il «soggtto» nl suo signicto srcinl: il sub-iecum, l'ssr ch, gicndo prim l fondo, costituisc ci ò su cui sull cu i prsupposiion si prl si dic ch non può, su volt, ssr dtto su null (l 1 < oùcia o oEi�Eo di Aristotl). Il tr
U1Oc8at vl inftti min com «prsupposto» prftto pssivoè prtinnt: di U1on8Éat, ltt. «porr sotto», U1OEi�Eo signic prtnto «ciò ch, ssndo sto
4· intrccio i ssr linguggio ssume form costCategorie di ristot. tutiv Com dl i comprsupposiione menttori ntihin avvn o prfttamnte comprso a momnto di dnir l'oggtto dl libro (s sso
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tire dala quae sotanto qualcosa come una scienza e una osoa divent ano possibili. Se Patone e Aristotee sono stati considerati i fondatori dela grammatica, ciò è percé a loro riessione su inguaggio a posto le basi sulle quai i grammatici anno potuto più tardi costruire, attraverso un'analisi de discorso, ciò ce ciamiamo lingua e interpretare 'atto di parola, ce è la sola esperienza reale, come a messa in opera di un ente di ragione ciamato ling ua (la ingua greca, la lingua italian a ecc. ). Solo p ercé riposa su questa scissione fondament ae del inguaggi o, 'ess er è sempre già div iso in e ssenza e esistenza, quid est e quod est, potenza e atto: la differenza ntolo-
lisi, interpretazione e costruzione di ciò ce è i n questione in quell'evento. È stato necessai, cioè, percé quacosa come la civiltà occidentale potesse nascere, prima comprendere o decidere di comprendere ce ciò ce parliamo, ce ciò ce facciamo parlando sia una lingua e ce questa lingua sia formata di vocabol i ce per una virtù ce non si può spiegare se non attra verso ipotesi del tutto inverosimii si riferiscono al mondo e ale cose. Ciò implica ce, nel usso ininterotto di suoni prodotti usando organi presi per lo più in prestito da altri sistemi funzionali (legati in maggioranza all'alimentazione) vengano riconosciuti prima delle parti dotate di una signicazione autonoma (JÉPT lerç,
gica si fonda innanzitu tto sula distinguere piano della lingua e dei nomi, ce poss non siibilità dice indiun discorso un e un piano del discorso, ce s i dice sulla presupposizione di quelo. E il pro blema ultimo con cui deve misurarsi ogni riessione meta sica è quelo stesso ce cos tituisce o scogio su cui riscia di naufragare ogni teoria de linguaggio: se l'essere ce si dice è sempre già scisso in essenza e esistenza, potenza e atto e il linguaggio ce lo dice è sempre già div iso in lingua e discorso, s enso e denotazione, com'è possibie il passaggio da un piano al'altr o? E percé 'essere e il linguaggio sono così costituiti, da comportare srcinariamente questo iato?
( 'otxca, lettee) i vocaboli) e, in queste, dgli elementi indivisibili dalle cui combinazioni si fomano quelllpa ti. La civiltà che noi conosciamo si fonda innanzitutto su una «interpretazione» (pJ TVEia) dell'atto di parola, sullo « svilup po» di possibilità conoscitive ce si considerano contenute e «implicate» nella lingua. Per questo il trattato aistotelico Sul'interetazione (epì pJ TVEiaç), ce inizia appunto con la tesi ce ciò ce facciamo palando è una connessione signicante di paole, lettee, concetti e cose, ha avuto una funzione decisiva nella stoia del pensier o occidentale; pe ques to la gammatica, che viene oa insegnata nelle scuole primaie, è stata e, in una ceta misura, è ancoa la disciplina fondativa del sapee e della conoscenza. (È u peuo icodare, accanto a quello epistemicoconoscitivo, ance il signicato politico della iessione gammaticale: se ciò ce gl i uomini parl ano è una lingua se n on vi è una sola lingua, ma molte, allora alla pluralità delle lingue co-
6. antropogenesi non si è compiuta una volta per tutte istantaneamente con l'evento di linguaggio, col diventar parante de primate del genere homo. È stato necessaio, piuttosto, un pazien te, secolare e ostinat o processo di ana
ispondeà una plualità di popoli e di comunità politiche)
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7· Si rietta sulla natura paradossale dell'ente di ragione chiamato lingua (diciamo «ente di ragione», perché non è chiaro se esso esista nella mente, nei discorsi in atto o solo nei libri di grammatica e nei dizionari). Esso è stato costruito attraverso una paziente, minuziosa analisi dell'atto di parola, supponend o che p arla e si po ssa sol sulla presupposizione di una lingua e che le cose siano sempre già nomina te (anche se è impossibile spiegar e se non in modo mitologic o come e da chi) in un sistema di segni che si riferisce potenzialmente e non solo attualmente alle cose. La
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la potenza una presupposizione dell'atto. Ma proprio qui tutto si complica. Senso e denotazione, lingua e discorso giacciono, infatti, in due piani diversi e nessun passaggio sembra condurre dall'uno all'altro. Parlare si può solo sulla presupposizione di una lingua, ma dire in un discorso ciò che nella lingua è stato «chiamato» e nominato, questo è popriamen te impossibile. È l'opposizione insuperab ile fra semiotico e semantico su cui è naufragato il pensiero estemo di Benveniste («Il mondo del segno è chiuso. Dal segno alla frase non c'è transizione [ . . . ] uno iato li separa») o, in Wittgens tein, l'opposizione di nomi e p oposizione (« Gli oggetti li poso solo nominare. I segni li rappresentano. Io
paola può denotae l'albeo in«albeo un atto discorsivo, in quan«albeo» to si pesuppone che il vocabolo », preso in sé pima e al di là di ogni denotazione attuale, s ignichi « albero». Il linguagg io avrebbe, cioè, la capacit à di sospe ndere il proprio potere denotativo nel discorso, per signicar e le cose in mo do puramente vi rtuale nella form a di un l essico. È questa la differenza fra langue e parole, semiotico e semantico, senso e denotazione che abbiamo già evocato e che scinde irrevocabilmente il linguaggio in ue piani distinti e, tuttavia, misteriosamente comunicanti. I nesso di questa scissione linguistica con la cesura ntologica «potenza/atto», OUVatvÉpyEta attraverso cui Aristotele divide e articola il piano dell'essere è tanto più evidente se si ricor da che, già in Platone, uno dei signicati fondamentali del termine ouvatç è «valoe semantico di una parola». All'articolazione della signicazione linguistica in due piani distinti corispo nde il movimento ntologico
posso parlae didella essi, ma non poss o espimeli»). Tutto ciò chesolo conosciamo lingua, lo abbiamo appes a patie dalla pala e tutto ciò che cmpendi amo dlla paola, lo intendiamo a partire dalla lingua; e, tuttavia, l'interpetazione (la p.TVEia) dell'atto di parola attraverso la lingua, che rende possibile il sapere e la conoscenza, conduce in ultima istanza a una impossibilità di parlare.
A questa struttura presupponente del linguaggio corrisponde la particola rità del suo modo di es sere, che consiste nel fatto che esso d eve togliersi pe far essere la cosa nominata. È questa natura del linguaggio che ha in mente Scoto quando denisce la relazione come ens debilissimum e aggiunge che per questo essa è così difcile da conosce-
senso è una presupposizione della della pesupposizione: il una denotazione e la langue presupposizione della parole, così come l'es senza è una pesupposizione dell'esistenza e
e. linguaggio menteche debolissimo, nel sens cheIlnon può cheè ntolgica sparire nella cosa nomina, altrimenti, invece di designarla e svelarla, farebbe ostacolo alla sua
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coprensione. E tuttavia proprio in questo risiede la sua potenza specica nel suo riane re ipe rcepito e non detto in ciò ce noina e dice. Poicé coe scrive Meister Eckart se la fora attraverso cui conosciao una cosa fosse essa stessa qualcosa ci condurrebbe alla conoscenza di sé e ci distoglierebbe dalla conoscenza della cosa. Il riscio di essere percepito esso s tesso coe una cosa e di separarci da ciò ce dovrebbe rivelarci rest però no all'ultio consustanziale al linguaggio. l non poter dire sé entre dice altro il suo essere sepre estaticaente in luogo dell'altro è la segna tura inconfondibile e insiee la maccia srcinale del linguaggio uano.
potere storicizzante e cronogenetico del Àyoç è funzione della sua struttura presupponente e della sua ntologica deboleza. I n quanto riane nascost o in ciò ce rivela il r ivelante costituisce l'essere coe ciò ce si svela storicaente restano inattingibile e indelbato in ognuno dei suoi svelamenti epocali. E in quanto la lingua è, in que sto sens o un essere storico la ÈPflVEia ce doina da due illenni la losoa occidentale è una interpretazione del linguaggio ce avend olo sciss o in langue e parole, sincronia e diacronia non può ai venirne a capo una volta per tutte. E coe l'essere e la lingua rest ano presu pposti al loro svolgie nto storico così la presupposizione deterina ance il odo
E unil essere deboli soltantoe di il linguaggio, ma ance soggetto ce ssimo in essoè sinon produce esso deve in qualce modo venire a c apo. Una soggettività nasc, infatti , ogni volta ce il vivente incontra il linguaggio ogni volta in cui dice «io ». Ma proprio percé si è generato in esso e attraverso di esso è così arduo per il soggetto aferrare il proprio aver luogo. D 'altra part e il linguaggi o la lingua non vive e si ania ce se un locutore lo assue in un atto di parola. La loso a occidentale nasce dal corpo a corpo di questi due esseri debolissii e consistono e anno luogo l'uno nell'altro e l'uno nell'altro fanno incessantemente naufa gio e per questo cercano ostinatamente di aerrarsi e coprendersi.
in cui l'Occiden te a pensato la politica. La comunità che è in questione nl linguaggio viene infati presupposta nella forma di un apriori storico o di un fondaento: ce si tratti di una sostanza etnica di una lingua o di un contratto in ogni caso il coune ass ume la gura di un passato inattingibile ce denisce il politico co e uno « stato». Molti segni las ciano pensare ce questa s truttura f onda mentale dell'ntologia e della politica dell'Occidente ab bia saurito la s ua forza vitale. Forulando teaticament e l'ovvietà secodo cui «l'essere ce può essere copreso è linguaggio» il pensi ero del '900 non a fatto ce rivendicare quell'inerenza del linguaggio «a ogni rapporto o attività naturale dell'uoo al suo sentire intuire desiderare e a ogni suo bisogno e a ogni suo istinto» ce l'idealismo tedesco aveva già afferato e portato all coscienza senza riserve. In questa prospettiva il fatto ce la nascita dlla graa tica coparata e l'ipotesi dell'indoeuropeo siano conte-
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Proprio peré l'essere si dà nel linguaggio a il lin guaggio resta non detto in ciò ce dice e anifesta l'es sere si destina e si svela per i parlanti in una storia epocale. Il
porane della losoa di Hegel ce; anzi l'ultimo volue della Scieza dea logicasia stato pubblicato lo stesso anno (86) del Konjugationssystem di Franz Bopp non è certo
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una mera coincidenza. indo europeo ce i linguisti anno ricostruito (o, piuttosto, prodotto) attraverso una paziente analisi morf ologica e fonologica delle lingue storice non è una lingua omogenea alle altre, ma soltanto più antica: es sa è qualcosa come una langue assoluta, ce nessuno a mai parlato né mai potrà parlare, ma costituisce, come tale, l' a priori storico e politico dell'Occidente, ce garantisce l'unità e la eciproca intellegibi1à delle sue molteplici lingue e dei suoi molteplici popoli . Co me Hegel aveva affermato ce il destino storico de ll'umanità ra giu nto al suo compimento e ce le potenze storice della religione, dell'arte e della losoa si erano dissolte e realizzate nell'assoluto, così nella
princi pi). Il primate, ce s arebbe diventato homo sapiens, era già sempre dota to come tut ti gli anima li di un linguaggio, certamente diverso, ma forse non troppo dissimile da quello ce conosciamo. Ciò ce è avvenuto è che il primate del genere homo a un cer to punto ce coincide con l'antropogenesi è diventa to consapevole di avere una lingua, l'a, cioè, separata da sé e esteriorizzata fuori di sé come un oggetto, per poi cominciare a considerarla, analizzarl a ed elaborarla in un processo incessante in cui si sono succedute co n alterne vicende la losoa, la gramma tica, la logica, la psicolog ia, l'inform atica e ce forse non è ancora compiuto. E poicé aveva espulso il suo linguaggio
costruzione dell'indoeuropeo culminava il processo ce a potato l'Occidente alla piena consapevolezza delle potenze conoscitive contenute nella sua lingua. Per questo la linguistica div enta tra l'Ottocento e il Novecento la disciplina pilota delle scienze umane e per que sto il suo improvviso esaurisi e naufragare nell'opera di Benveniste corris ponde a una mutazio ne epocale nel destino storico dell'Occidente. Occidente, ce a realizzato e portato a compimento la potenza ce aveva iscritto nella sua lingua, deve ora aprirsi a una globalizzaz ione ce segna, insieme, il suo trionfo e la sua ne.
Possiamo proporre a questo punto sull'srcine del linguagg io un'ipotesi non più mitologica di altre (le ipotesi in
fuoi di sé,degli l' uomo are a trasmettesdielo diffeenza alt dovette i animaliimpar esosomaticamente, ma- a dre in glio in modo ce nel tascorrere delle generazioni la lingua si divse babelicamente e andò pogressivamente mutando secondo i luogi e i tempi. E, avendo egli separato da sé la sua lingua per afdarla a una tradizione sto rica, per l'uomo p arlante vita e lingua ggio, natura e storia si divisero e, insieme, si articolarono l'una con l'alta. La lingua, ce era stata espulsa all'esterno, fu reinscritta nella voce attraverso i fonemi, le lettere e le sillabe e l'analisi della lingua coincise con l'articolazione della voce (la
losoa anno necessariamente un caratter e mitico, sono, cioè, sempre « narra zioni» e il rigore del pensiero consiste appunto nel riconoscerle come tali, nel non scambiarle per
scissione del lingua ggio umano in lingua p arola,ance, semiotico e semantico, sincronia e diacronia). Ciòesignica, ce l'uomo non è semplicemente homo sapiens ma innan
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IO.
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ztutto homo sapies loquedi, l vvente che non semplcemente parla, ma sa parlare, nel senso che l sapere ella lngua anche nell a sua forma pù elementa re eve necessaramente preceere ogn altro sapere. Cò che ora sta avveneno sotto nostr occh è che l lnguag go, che era stato esterorzza to come la cosa coè, secono l'etmologa , la «causa » per eccellenza ell'umantà, sembra aver computo l suo percorso antro pogenetco e voler tornare alla natura a cu provene. All'esaurrs el progetto ella gramm atca compar ata coè el sapere che oveva ga rantre l'ntellgenza ella lngua ha fatto seguto, nfatt, l'affermars ella grammatca generatva,
non nventa nom né quest scaturscono a u come una voce anmale: egl può solo rceverl attraverso un tramanamento esosomatco e un nsegnamento; nel scorso, nvece, gl uomn s ntenono senza bsogno spegazon. Questa scssone ue pan el lnguaggo a come conseguenza una sere apore: a una parte, l lnguaggo non può venre a capo el suo rapporto col mono, che è conzonato a nom (e sgncato e nom, scrve Wttgens ten, 92 , 4026, eve esserc spegato perché no possamo comprener l, all'altra, nele parole Benvenste, al pano semotco e nom a quelo semantco elle proposzon non v è passaggo, così che 'atto parola
cioè una concezione ella ling il c orzzonte non è più storco e esosomatico, m, n ltima analsi, blgic e inntistco. E alla valorzzazin ella ptenz stoca dell lngua sembra sosttuirs l progetto i na nformatzzazone el lnguagg o umano che lo ssa n un coce comuncatvo che rcora puttosto quello e lnguagg anmal.
S comprene, allora, perché l lnguaggo mano sa tra versato n all'orgne a un sere scsson, che non hanno riscontro n alcn lngagg anmal. Intenamo rferr alla frattura nom/ scoro, gà chara per Grec ( voJa/ì yoç n Platone, "JEVa vEu <J7ÀoKfM:JEVa Ka'à (J1ÀOKiv in Arstotele, Cat., a 6 8 ) e per Roman (omium impositio/deciatio n Varrone,
rsulta m possbl e. S retta sul caratter partcolare ell'evento an tropo genetc c queste fratture sono la conseguenza: l'omo accee ala sua n atura propr a al lng uaggo, che lo ensce come cv M>yov exov e aima! ratioale solo storcamente, coè attraverso un tramanamento esosomatco. Se, nfatt, uesto accesso g è recluso, egl pere a facoltà apprenere lnguaggo e s presenta come un essere non propramente o non ancora uma no (s p ens agl efats sauvages e a bambnlupo che hanno tanto nquetato l'età e lum. Cò sgnca ce ne ll'uomo coè ne vv ente ce accee ala sua natura solo attraverso la stora umano e numano s stanno fronte senza alcuna artcolazone naturae e che qualco sa come una cvtà può nascere solo a partre al'nvenzone e alla costruzone una artcoazone storca fra ess. La prestazone specca ela losoa e ella resso ne grammatcale sarà qua nvuare e
De lig la, VIII, 56) no a quelle, che a essa n qalche moo corrsponono, fra langue e parole n Saussure e fra semotco e semantco n Benvenste. uomo parlante
costrure nella voce l luogo questa artcolazone. Non è n c aso se la raccolta egl scrtt logc Arstotele, coè ella prma e pù ampa nterpretazone ella
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lingua come «Strumento» di conoscenza abbia ricevuto il titolo di "pyavov, che signica tanto uno strumento tecnico che una parte del corpo. Aristotee all'inizio del Tep PJlVEiaç (De int 6 a 3 sg. riferendosi al linguaggio si serve infatti dell'espressione 'à Èv '
ancora situ ando il ling uaggio nel la voc e quel lo di assicurare i nesso fra il vive nte e la sua lin gua. analisi della lingua presup pone un 'analisi della voce. Già gli antichi commentatori si erano interrogati sul senso dell'espressione 'à È v '
ne esplicitamente la
è condizione preliminare per comprendere il modo in cui l'Occidente ha pensato il linguag gio l'es sere parlante del
e udire ma i nomi e i vebi sono invecelaprodotti stre intelligenze sando cme matia voce dalle (ÀnoKEXPl ÉVa '
vivente uomo. Ciò signica che lo scopo del trattato aristotelico Su'interetazione non era soltanto quello di assicura re il nesso fra le parole i concetti e le cose ma prima
to emette una voce ed è solo per similitudine che si dicono emettere voce come il auto e la lira» (De an 420 b 5) . Poche righe dopo la denizione è ripetuta e circostanziata : «La
2. Un'analisi della particolare situazione de 6yoç nella
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voce è unque suono emess o a vvent e (u oç), ma non con quasas parte Poché ogn suono è prootto a battto quacosa su quacosa o n quacosa e coè sul'ara ne consegue che soo emettano voce que vvent che rcevono n sé l'ara» (v 1416). Questa enzone oveva rsutarg nsosacente perché a questo punto eg ne enunca una nuova che oveva eserctare un'nuenza etermnante nea stora ela ressone sl nguago: «Non ogn suono e vvente è voce come abbamo etto (natt s può emettere un suono con la ngua o anche tosseno ma occorre che cou che batte sa anmato e accompagnato a qualche mmagnazone (�E'à avaciaç
ella voce sono cò cu è composta (yK la voce e le ultme part n cu essa è vsble» (v 1014 a 26) e ne Problemi: «gl uomn proucono molte lettere (y�� gl altr vve nt nessuna o al massmo ue o tre consonant Le consonant combnate con le ocal ormano l scorso Il lnguaggo (J6yoç ) non è un sgncare con la voce ma con certe aezon ( essa Le letere sono afezon ella voce» (Prob X, 39 , 8 95 a 7 sgg Gl scrtt sug anmal sottolneano la funzone ella lngua e elle labbra nella prouzone elle lettere: «Il lnguaggo attraverso la voce è composto lettere (È '
nv6ç). La voce è natt un suono sgncante oç) » (v 2932).
umde non s p otrebbe proferr e la maggor parte elle lettere poché alcune queste rsultano a colp ella lingua e alla congunzone elle la bbra» (De part anim. 659 b 30 sgg Con una parola che grammatc ovevano costture n un vero e propro termne tecnco ea loro scenza questa scrzone costtutva elle ettere nella voce è enta «artcolazone» (òtp8prmç): «Voce ( e suono (6oç) sono vers e terzo oltre a ess è l lnguaggo ( J6yoç Il lnguaggo è l'artcolazone ella voce con la ngua (yÀ) La voce e la arnge emettono le vocal la ngua e le labbra le consonant E a esse s prouce l lnguaggo» (Hist anim 5 3 5 a sg g Se tornamo ora all'enuncato che apre l e interetatione, possamo re che Arstotele v ensce una P�lvda, un processo nterpretazone che s s volge ra cò che è nella voce e ettere le afezon ell'anma e le cose: ma la unzone ecsva quela che rene sgncant e la voce spetta
(�avtKÒç
Se cò che stngue l lngu aggo alla vo ce è l suo carattere semantco (coè l suo essere assocato a ele aezon ne'anma qu chamate mmagnazon Arstotee non precsa che cosa c osttu sca a voce anmae n nguaggo sgnc ante E è qu che ntervengono n unzone e termnante e ettere yp��a'a), che e interetatione elencava na tt ne pesso sem antco solo come s egn cò che è nela voce Le lettere non sono sempcemente segn ma eement (c'OtXEa 'atro termne greco per esgnare e ettere ea voce che a renono sgncante e comprensble «La lettera (O» aferma con charezza la Poetica «è una voce nvsble ma non una voce quasas (uv8ET bensì quea per cu una voce venta ntelegbe yiyvEc8at qrv) Anche eg anma v sono voc nvsbl ma nessuna queste e ensco lettere Le part ella voce ntelegbe sono a vocae (qrvfEv), la s emsonante (�rvov) e a muta (èqrvov) » (Poet 1456 b 2225). La enzone è rbata nela Metafsica: «Element (c'OtXEa)
propro alle lettere 'ermeneuta ultmo e prmo è l y��
CHE COS ' È LA FILOSOFIA?
4 IJ.
S rea all'operazone ecsva per la sora ella culura occenale che soo l 'apparen za una es crzone che l empo ha reso ovva s compe n ques scr. rv e wyoç, voce anmale e lnguaggo umano sono sn ma concono localmene nell'uomo nel senso che l lnguaggo s prouce araverso una «arcolazone» ella voce che non è alro che l'scrzone n essa elle leere (ypffa'a), c compee lo sauo pr vlega o essere nseme segn e elemen (cotXEa) ela voce (n queso senso la leera è nce se sessa index sui). La enzone arsoelca venne raccola a grammac anch che fra l prmo e l secondo secolo della nosr ea, edero caatee scienza ssemaca lle osservazon e loso. Anche gammatc comncano la loro raazone alla enzone ella voce sngueno la «voce confusa» (
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a araverso le leere. Il lnguaggo uman s cosusce coè araverso un'operazone sulla voce anmale che scrve n essa come elemen (cotXEìa) le leere (ypffa'a). Rro vamo qu la sruura ell' exctio ell'esclusone nclu sva che rene possble la caura ella va nella polca. Come la va naurale ell'uomo v ene nclusa nel la polca araverso la sua sessa esclusone nella forma ella nua va così l lnguaggo umano (che fona el reso secono Arsoele Pol. 12 53 a 1 8, la comunà pol ca) ha luogo a raverso una esclusonenclusone ella «nua voce» (rvi 1A, nelle parole Ammono) nel Myoç. In queso moo la sora si raca nella naura la razone esosomaca n quella enosomtca l comunà polc n quell a narle. N Al'inizio della Grammatologi, Jacques Derrida, subito dopo aver enunciato i programma di una rivendicazione dela scrittura con De interetatione, in cui tro i priviegio della voce, cita il passo de Aristotele afferma «il egame srcinae>> e a «prossimità essenziale» fra la voce e il M>yoç, che deniscono la metasica occidentale: «Se, per Aristotee, i suoni emessi dalla voce" (t Èv ' rv) sono i simboli degli stati del'anima (1aeata Èv '
M>yoç ha luogo nel non luogo dela
CHE COS' È LA FILOSOFIA?
EXPERIMENTU M VOCIS
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Possamo qu coglere l' ncdenza fond amenale della scrura alfabeca nella nosra culura e sul modo n cu essa ha concepo l lnguaggo. Solo la scrura alfabeca la cu nvenzone grec abuvano a due ero cvlzzaor Cadmo e Palamede può, nfa, gen erare l'llusone d aver ca urao la voce, d averla compresa e rascr ne 'a. Per renders penamene cono dell'mporanza n ogn senso fondarce della caura della lngua che è saa resa ÉPJlVEia da possble dalla scrura alfabeca e dalla sua pare de loso e, po, de grammac, occorre lberars
la loro conssenza sreamene acusca, ruscendo così a scomporre e analzzare l essuo sonoro del lnguaggo n una moleplcà d da scencamene conrollabl. Ma quano pù l'anals dell'onda sonora prodoa dalla voce s afnava, ano pù dvenava mpossble separare charamene l'uno dall'alro gl elemen ( yp a'a-'OtXEÌa) che la radzone gamma cale aveva dencao. Gà Saussure nel I 9 I 6 aveva osservao che se s po essero riprodurre araverso un lm movmeni della bocca, della lngua, e delle corde vocal d un locuore che produce quella che c appare come la sere d suon FAL, sarebbe mpossble dvdere re elemen che la compongono, che s presen-
della rappresenazone ngenu a fruo d due millenn d educazone gr ammatcale secondo cu le leee saebbero perfeam ene rconoscibil nella voce c ome suo ele menti. Niene è pù sruvo, n quesa prospeva, della sora d quella pa re della gr ammaca la fon eca che s occupa dell'anals de suon del lnguaggo (n quano, appuno, «voce arcolaa»). La foneca moderna s è concenraa, n un prmo momeno, sull'anals de ypUJa'a secondo la loro modalà d arcolazone, dsnguendol n labal, denal, palaal, velar, labovelar, larngal ecc., con una ale acriba descrva, che un fonetsa, che era anche un medco, ha pouo scrvere che se veramene l soggeo parlane ar colasse un cero suono larngale nel modo descro ne raa d foneca, cò avrebbe per conseguenza la sua more per sofocameno. La foneca arcolaora enrò n crs quando c s accorse che, n presenza d una lesone dell' organo d arcolazone, l parlane ruscva
ano n realà ndssolubilmene che non è dao isolare uncosì punto n cu F nsce nrecca e A comnca. Un lm realzzao nel I933 dal foneisa edesco Paul Menzerah ha conferma o anche dal puno d vsa acusco l'os servazone d Saussure. Nell 'ao d parola, suon non s succedono, ma s nrcano e s legano così nmamene, che le unà che no credamo d poer dsnguere ano al lvel lo morfologco che a quello foneco cosuscono n realà un usso p erfeamene connuo. La consapevolezza dell'mpossblà d dsnguere suon del lnguaggo s a dal puno d vsa arcolaoro che da qello acusco ha reso necessara la nasca della fonologa, che separa neamene suon della parola (d cu s ocupava la foneca) da suon del la lngua ( fonem, pure opposzon mmaeral, che sono l'oggeo della fonologa). Con la roura del vncolo fra lngua e voce, che era rmaso fuor quesone dal pensero anco no alla fone-
ugualmene a arcolare l suono secondo alre modalà. Abbandonando le anals de suon secondo l loro puno d arcolazone, la foneca s concenrò allora sul
ca dei neogrammac, l'auonoma della lngua rspeo all'ao d parola dvena evdene. E, uava, se, da una pare, la fonologa prende ao del fao che ypa'a non
CHE
È
LA FILOSOFIA?
sono traccia e scrttura della voce, essa mantiene dall'altra, attravers il fonema, una s orta d arcigramma, puramente negatvo e diff erenziale. Con ciò, la difcoltà nata dalla situazione aporetica del Àyoç nella < non è sciolta, ma solo riproposta sul pano dell'impssbile articolazione fra langue e parol e o fra semiotco e semantico. N Il carattere inaferrabie dela voce umana e a vanità de tentativo di renderla in quache modo comprensibie attraverso e ettere erano stati già osservati da Patone, da quae dipende, anche in questo caso, aÉpVe aristoteica de inguaggio e a situazione del'oç nei ypt. «Quando un dio o un uomo divino (in Egitto vi è un racconto che narra che
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Se l'antropogenesi e la losa che la rammemora, custodisce e incessantemente rattualizza coincidno con un experimentum linguae che situa aporeticamente il ÀOyoç nella vce e se la ÉpJTVEia, l'interpretazine di questa esperienza che ha dminato la stra dell'Occidente sembra aver raggiunto il su limite, allora ciò che nn può nn essere gg in questine nel pensiero è un experimentum vocis, nel quale l'uom revochi radicalmente in questione la situazione del linguaggio nella voce e provi a assumere da capo il su essere parlante. Ciò che è giunt a compimen-
questi era Theuth)>> dice Socrate nel Filebo «si rese cono che la voce è innita (crviv 01€pov - npov vale letteramente inesperibile, im praticabile, senza via d'uscita") e per primo comprese che in questo inesperibile (Èv t< àdpq) e vocai non sono una, ma mote e che ivi sono anche atre cose che non appartengo no propriamente aa voce, ma hanno pure parte a un certo suono e che vi è un numero determinato anche di queste, dopo essersi reso conto di ciò, separò un terzo genere di ttere (ypJtrv), quee che noi diciamo ora mute (crva) Distinse poi fra di oro, no a ciascuna unità, queste ettere mute e senza suono, e così e vocai e e intermedie fra e vocai e le mute no a che, una vota conosciuto i oro numero, attribu ì a ciasc una i nome CHXEov. Vedendo poi c he nessuno potrebbe impararn e una soa per se ste ssa senza e atre tutte ed avendo argomentato da ciò che esiste un egame (8EJV) unitario che in qualche modo e unica tutte, ad esse appicò una tecnica che chiamò grammatica>> (Phil. r 8 b 5 d 2 ) . Mentre da questa inesperibii tà dea voce Patone non dedu sse a necessità dei ypOJJUt (ne edo egli critica anzi decisamente 'inven zione di Theuth, accusata di far perdere agi uomini a memoria), ma quea di una teoria delle idee, Aristotee seguì invece senza riserve i
t nn è, infatti, la storia naturale ma quella ÉpJTVEia della parla specialissima stria epcale in cui ladell'mantà, cme na lingua ciè cme un intrecci cnsapevle d i ypJJavcaboli, concetti, cse e lettere, che, attraverso i ta, ha lug nella voce aveva destinato l'O ccidente. Occrre, pertanto, interrog are sempre d nuovo la ps siblità e il senso 'experimentum, indagarne il luogo e la geneaypJJata e al salogia per indagare se non vi sia, rispetto ai pere che su di essi si fonda, un altr modo di venire a cap dell'inesperibilità della voce. Esso non è, nella nostra cultura, un fenomeno eccentric marginale, che , cercand di dire quel che non si può dire, si avvolge necess ariament e in contradd izoni; ess o è, piuttst, la cosa stessa del pensero, il fatto costitutv o di ciò che chiamiam los oa. Negli stes s ann in cui formulava la frattu ra nvalicabi le fra il semiotc e il semantic, Benveniste scriveva quel saggio 'Apparato formale del'enunciazione, nel quale
paradigma Theuth, leespungendo conseguentemente come ri dondanti dalegizio pessodisemantico idee.
veniva indagata la capacità del linguaggio di riferirsi, attravers gli shifters «io», «tu» «qui», «ra», «quest» ecc. non a una realtà lessicale, ma al prpri pur aver lugo.
CHE COS ' È LA FILOSOFIA?
EXPERIMENT UM VOCIS
«o» non indica una sostanza, ma la persona che pronuncia l'istanza di discorso contenente «io», così come «questo» può essere solo l'oggetto di «un's tensione simultanea all'istanza presente di discorso» e «qui» e « ora» «delimitano l'istanza spaziale e temporale contemporanea all'istanza di discorso che contiene il pronome io"». Non è qui il luogo di ripercorrere queste analisi giustamente celebri, che hanno trasformato la teoria tradizionale di p ronomi e denito in modo nuovo il problema loso co de soggetto. Interessa qui chiedere piuttosto in che modo si possa intendere la «c ontemporaneit à» e la « simultaneità» fra lo shter e l'istanza di discorso akobs on parla anche, a questo pro-
È possib ile pensare la relazione tra la voce e il linguaggio altrimenti che attraveso le lettere? Un'ipotesi possibile è suggerita da Ammonio quando, nel suo commento, a ccenna corsivamente alla voce come materia ( UÀl) della lingua. Prima di provare a seguire questa ipotesi, occorrerà, però,
posito, di una « relazione esistenziale» fa ilvoce. ponome «io» e «l'enunciazione») senza fa ricorso a una enunciazione e l'istanza di discorso non sono identicabili come tali che attraverso la voce che le poferisce. Ma, in quanto si riferisce all'aver uogo del discorso, la voce che è qui in questione non può essere la voce animale, ma, ancora una volta, la voce in quanto ciò che deve necessariamente esser tolto perché, nel suo non luogo, i ypJJa'a e, con essi, il discorso abbiano luogo. enunciazione situa, cioè, il soggetto, colui che dice «i o», «qui», « ora» nell'articolazione fra la voce e il linguaggio, fra il «non più» della < animale e il «non ancora» del 6yoç. È in questa articolazione negativa che si situano le lettere. La voce si scrive, diventa ÈyypJJa'oç, nel punto in cui il soggetto, colui ce dice «io» si ende conto di essere in luogo della voce. Per questo, come Hegel ha mostrato nella Fenomenologia delo spirito è sufciente trascriv ee la certezza s ensibile che si afferma nel pronome
confontarsi la tesi, sono enunciata da J.C. Milne, secondo cui letteacon e materia sinonimi, poiché la mateia intesa nel senso della s cienza moderna è eminen temente translittérable, trascrivibile in lettere (Milner I 98 5 , p. 8) . A questa tesi, Milner aggiunge il corollario secondo cui lettera e signicante sono diversi ed è poprio la loro indebita confusione che ha indotto Saussure a attribuire, negli Anagrammi, alla lettera le proprietà del signicante e, nel Coso al signicante i caratteri della lettera. Possiamo allora dire, nei termini di Milner, che l'operazione di Aristotele consiste appunto nell'identicare a lettera il ypJJa col signicante, col divenir semantica della <. A condizione di aggiungere, contro la tesi di Milner, che la ma teria almeno se la si estit uisce al paradigm a platonico di una xcpa, di un puro aver luogo non è invece mai traslitterabile, non può mai essere lettera e scrittura. Sia, nel Timeo, la denizione del terzo genere dell'esse-
«questo», e negl i avverbi «qui» e « oa» per vederla sva nire («qui» non è più qui, «ora» non è più ora), peché la voce su cui essa si fondava dilegui denitivamen te. edicio de l
re, accanto al sensibile e all'intellegibile , che Platone chiam a xrpa. Essa è il ricettcolo (\moòoxi) o un p ortaimpron te (ÈKJayeov) che offre un luogo a tutte le forme sensibili,
sapere occidentale riposa in ultima istanza su una voce tolta, sullo scriversi di una voce. Questo è il suo fragile, ma tenace mito fondativo. !6
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senz peò ma confones con queste. Es sa non è n é popramente sensb le né popamente ntellegble ma vene pecepta come n sogno «con un agonamento bastao accompagn ato a assenza sensazone». Se p oseguen o l'analoga suggeta a Ammonio conseamo la voc come xpa ella lngua ess a non saà petanto legata gammatcalmente a questa n un appoto segno né ele mento: essa è puttosto cò che nell'ave luogo el ìyoç, pecepamo come ucble a esso come l'nespeble (èEtpov) che ncessantemente l' accompagna e che né puo suono né scoso sgncante pecepamo all'ncoco fa quest con una assenza sens azone e con un agonamen-
seo ns ufcent. Non s tatta n ealtà né ue opzoni val né ue possbltà altenatve e senza appoto fa loo quas che l palante potesse sceglee l'una o l'alta abitaamente: posa e losoa appesentano puttosto e tenson nsepaabl e ucbl all'nteno ell'unco campo el lnguaggo umano e n questo senso nché c saà lnguaggo c sanno poesa e penseo. La loo ua ltà testmona nfatt ancoa una volta ella scssone che secono la nosta potes s è pootta nella voce al momento ell'antop ogenes ta cò che estava el lnguaggo anmale e la lngua che s anava costueno n suo luogo come ogano el sapee e ella conoscenza.
to senza sgncato. ogn mtologa fonda tiva possimo alloaAbbanonando che n quanto xpa e mtea ess è una voc ch non è ma stat sctta nl lngaggo un nscvble che nell'ncessante tamanamento stoco ella sctta gammatcale esta o stnatamente tale. Ta l vvente e l palante non v è alcuna at colaz one. La lettra l ypJa, che petene pos come l's sestata come la tacca ella voce non è nella voce né n luogo questa.
«antco ss o» ( naìatà ta
La stazone lngua nel logo ch ellataves voce è ilcasa nfatt d un'ltella idcibil scission ln guaggio umno quell fa suono snso fa sie fonc muscale e see semantca. Queste ue see che conce vano nella voce anmale s sepaano ogn volta e s oppongono nel scoso secono una uplce nversa tenson n moo che la loo concenza è mpossbl e nseme nuncable. Cò che chamamo poesa e cò che chamamo losoa nomnano le ue polatà questa opposzone nel lnguaggio. La poesa ha così potuto essee enta come l tentatvo tenee al massmo n ezone un po suo no attaveso la ma e l' enjambement, le ffeenze fa see semotca e see semantca suono e senso
gca ha ccato pucae la lngua a ogn ondanza poetc non sono mancati all'alta loso che hanno nvocato la poesa là ove smbava che concetti sultas
n cu
Sul concetto di esigenza
Sempre di nuovo la loso a si trova davanti al compito di una denizione rigorosa de concetto di esigenza. Questa denizione è tanto più urgente, in uanto si può dire, senz'alcun gioco di parole, che la losoa esige uesta denizione e che la sua possibili tà coincide integralmente con questa esigenza. Se non vi fosse esigenza, ma solo necessità, non potr eb be esservi losoa. Non ciò che ci obbiga, ma ciò che ci esige; non il doveressere né a semplice realtà fattuae, bensì l'esigenza: uesto è l'elemento della losoa. Ma anche la possibilità e la contingenza, per effetto del'esigenza, si trasformano e modicano. Una denizione dell'esigenza implica, cioè, come compito preliminare una ridenizione delle categorie della modalità.
Leibniz ha pensato l'esigenza come un attributo della possibiità: omne possibile exigit existitu rire, «ogni possibile esige di esistere». Ciò che il possibile esige è di diventare reale, la potenza o essenza esige l'esistenza. Per ue sto Leibniz denisce l'e sistenza come un'esigenza dell'essenza: «Si existentia esset aliud uiddam uam essentiae exigentia, seueretur ipsam habere uandam e � sentiam, seu aliuid
CHE COS ' È LA FILOSOFIA?
SUL CONCETTO DI ESIGEZA
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A quesa enizione ovrebbe seguire una revisione elle caegorie nologiche che i loso si asengono all'inraprenere. Leibniz aribuisce l'esigenza all'essenza (o possibilià) e fa ell'esiseza l'ogge o ell'esigenza. Il suo pensiero resa ci oè ancora ribuario el isposiivo nologic o che ivie nell'essere essenza e esisenza poenza e ao e vee in Dio il loro puno i inifferenza il principio «esisenicane» ( existentifcans ) i cui l'essenza si fa esisene. Ma che cos' è una possibilià che coniene una esigenza? E come pensare l'esisenza se essa non è alro che un'esigenza? E se l'esigenza fosse più srcinale ella sessa isinzione fra essenza e esisenza possibile e reale?
e poliico): la cosa speraa è già compiuamene presene in quano esigenza. Per queso la fee non può essere una proprieà el creene, ma un'esigenza che non gli appariene e lo raggiunge all'eserno alle cose sperae.
Se l'essere sesso fosse a pensar e come un'esigenza i cui le caegorie ella moalià (possibilità coningenza necessià) non sono che le inaeguae specicazio ni che occorr e revocare ecisamene in quesione?
gnz» «L'esigenz traverso l qule ciascuna cos esige di psvrr nel so essr, non è nint'ltro ch l su essnz ttle». Ch l'essere esig (o esieri lo scoli o precisa che il esierio cupiditas è uno ei nomi l conatus), signica che esso non si esaurisce nella realà fa uale, ma coniene un'esigenza che va al i là i quesa. es sere non è semplicemente ma esige i essere. I l che signica ancor una vola che il esierio non appariene al soggeto ma all'essere. Come chi ha sognao una cosa, in realà l'ha già vua così il esiderio pora con sé la sua soisfazione.
Dal fato che l'esigenza non sia una caegoria morale consegue ce a essa non può provenire nessun imperaivo che essa non ha cioè nulla a che fare con un overessere. Ma con ciò la morale moern a che si ichiara esra nea alla felicià e ama presenarsi nella forma caegorica i un'ingiunzione è conannaa senza riserve.
Paolo enisce la fee (<ç) come l'esisenza (i6aç) elle cose sperae. La fee fornisce cioè una realà e una sosanza a ciò che non esise. In queso senso la fee è simile a un'esigenza a onizione però i precisare che non si raa ell'anicipazione i una co sa a venire (come per il evoto) o che eve essere realizzaa (come per il milian
conatus, egli Quano Spinoza enisce l'essenza come pensa qualcosa come un'esigenza Per queso nella proposizione 7 ella III pare ll'Etica: «Conaus quo unaquaeque res in suo esse perseverare conaur nihil es praeer ipsius rei actualis essenia» il ermine conatus non ev'essere traotto come avviene i solito con «sforzo» ma con «esi-
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esigenza non coincie né con la sfera dei fai né con quella degli ieali: essa è piutosto maeria nel senso in cui Plaone la enisce nel Timeo come un erzo genere ell'esser fra l'ie a e il sensibile «che ofr e un luogo (xoa) e una sede alle cose che vengono in essere». Per queso come ella xoa, anche ell'esigenza si può ire che la percepiamo «con un ssenza i sens azione» (J' àvmcGaç non «senza senszione», ma «con un anesesi») e con un «iscorso ba -
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SUL CONCETTO DI ESIGENZA
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saro e appena cre ble»: coè, che essa ha l'evenza ella sensazone senza la sensazone (come ce Plaon e avvene ne sogn) e l'nellegblà el pensero, ma senza alcuna possble enzone. L a maera è, n ques o senso, l' esgenza che spezza la falsa alern ava fr a l sensbe e l'nellegble, l lngusco e l non lngusco: v è una maeralà el pensero e ella lngua, così come v è un'nellegblà nella sensazone. è queso erzo neermn ao ce Arsoele chama UÀl e meeval silva, «volo ncolore ella sosanza» e «grembo nfacable ella generazone», e cu Plono ce che è come «un'mprona el senza forma». Occorre pensare la maera non come un sosrao, ma
ogn possble real zzazone, ma semplcemene perché essa non può ma essere posa sul pano una realzzazone. Nella men e Do coè nello sa o ella men e che cor rspon e all'esgenza come s ao ell'essere le esgenze sono gà appagae a ua l'eernà. In quano vene proeao nel empo, l messanco s presena come un alro mono che esge e ssere n queso mono, ma non può farlo che n moo paroco o approssmavo, come una sorsone, non sempre ecane, el mono. La paroa è, n queso senso, la sola espressone possble ell'esgenza.
come un'esgenza e corp: essa è cò che un corpo esge e che no percepamo come la sua pù nma potenza. S comprende così meglo l nesso che lega da s empre la maer a alla possblà ( plaonc Charres enva no per queso la UÀl come la «poss blà assolua, che ene ue le cose mplcae n se sessa»): c ò che l possble esge non è passare all'ao, ma maerars, fars maera. È n queso senso che s evono nenere le es scanalose que maerals meeval come Amalrco Bène e Dave Dnan che enca vano Do e la maera (le mundi est ipse deus ) : Do è l'aver luogo e corp, l'e sgenza che l segna e maera.
Pr ques, l'esgenza ha rovao un'espressone sublme nll batiudn evangelch, nlla nsn strema ch spara l Regn dal mnd. «Bea pver nell spir, perché d ess è l regno e cel. Bea m, perché possederanno la erra. Bea coloro che pangono, perché saranno consola . . . Bea persegu a, perch é ess è l regno e cel. Bea saree quano v maleranno e persegueranno... ». È sgncavo che, nel caso prvlegao e pover e e persegua coè nelle ue conzon agl occh del mono pù n fam l verbo sa al presene: l regno de cel è qui e ora coloro che s rovano nella suazone pù lonana a esso. esraneà ell'esgenza a ogn realzzazone fauale nel fuuro è qu affermaa nel moo pù puro: · e, uava, propro per queso, essa rova ora l suo ver n ome. Essa è nella sua essenz a bea une.
Come, secono un eorema benjamnano, l Regno messanco non può essere presene nella sora che n forme rcole e nfam, così, sul pano e fa, l'esgenza s manfesa ne luogh pù nsgncan e secono moalà che, nelle crcosanze presen, poss ono apparre spregevol e ncongrue. Rspeo all'esgenza, ogn fao è nadeguao, ogn appagameno nsufcene. non perché essa eccea
L'esgenza è lo sao d complcazone esrema un essere, che mplca n sé ue le sue possblà. Cò sgnca che essa s ene n una relazone pr vlegaa con l'ea, c he,
CHE COS ' È LA FILOSOFIA?
nell'esigenza, le cose sono contemplate sub quadam aeternitatis spece. Come quando contempliamo l'amata mentre dorme. Essa è à ma come sospesa da tut ti i suoi atti, in voluta e racclta in se stessa. Come l'idea, c'è e, insieme, non c'è. Sta davan ti a nostro sguardo, ma pe rché ci fosse veramente occorrerebbe destarla e, così facendo, la perderemmo. Lidea l'esigenza è il sonn o dell'atto , la dormi zione della vita. T utte le poss ibilità sono ora raccole in un'unica complicazione, che la vita andrà poi man mano spiegando ha già, in parte, spiegato. Ma, di pari passo al procedere delle spiegazioni, sempre più s'addentra e compica in sé inesplicabie 'idea. Essa è l'esigenza che resta indelibata in t utte le sue realizzazioni, il sonno che non conosce risveglio.
Sul dicibile e l'idea
I.
Non l'indicible ma il dicbile co siuisce il problema con cui la loso a deve ogni volta ornar e a misurarsi. Lindicibi le non è infati che una presupposizione del linguaggio. Non appena vi è linguaggio la cosa nominaa viene presuppo sa come il nonlinguisico o l'irrelao con cui il linguaggio ha sabilio la sua relazione. Queso poere presupponene è così fore che noi mmaginiamo il nonlinguisico come qualcosa di ndicibile e di rrelao che cerchiamo in qualche modo di aerrare come ale senza accorgerci che in queso modo non facciamo alro che enare di aferrare l'ombra del linguaggio. Lindicible è in queso senso una caegoria ge nunamene linguisica che solo un es sere parlane può con cepire. Per queso Benjamin nella leera a Buber del luglio 1916, poeva parlare di una «crisallina eliminazione dell'indicibile nel linguaggio»: l'indicibile non ha luogo fuori dal linguaggio come un oscuro presupposo ma in quano ale può essere eliminao solano nel linguaggo. Cercheremo di mosrare che al conrario il dicibile è una caegoria non lingusica ma genuinamene onologi ca. Leliminazione dell'indicibile nel linguaggio coicide con l'esposizione del dicibile come compio losoco. Per
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3· Conserazon analoghe valgono per l cble egl stoc. Negl stu moern l'appartenenza el ÀEK'V alla sfera ella logca sembra scontata ma essa rposa su assunzon (come l'enttà fra catVEVOV e ÀEK'V, s gncato e cble) che sono utt'altro che scure. Sa la testmonanza Ammono che ensce rtcamente l ÀEK'V a un punto vsta arstotelco: «Arstotele nsegna che cosa sano le cose nnanztutto e mmeatamente sgncate (atVEVa, sci!. a nom e a verb) e concett (voa'a) e attraverso quest le cose (7pya'a) e afferma ch e non s deve pensare oltre a quest (c oè l Vla e l 7 ya) un ltro meio come quello che gl stoic suppongono col nome dcble (ÀEK'v)» (Ammono 897, p. 5 ). Ammono c nfo rma coè che gl sto c nservan o secono lu nutlmente fra l concetto e la cosa un terzo che chamava no cble. Il passo n questone provene al commento Ammono al IEpÌ PlVEiaç. Qu Arstotele enva l processo ell' «nterpretazone » attra verso tre elemen: le parole ( 'à Èv '
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cose sa propramen te lo spazo ell' essere che l cbl e conca coè con l'ntologco. 4· La fone pù ampa e nseme pù problematca a cu eve partre ogn ner pretazone ella ottrna el cble è un passo ell' Adversus mathematicos Sesto Emprco ( 842 VIII 1 1 sg p. 29 ): «Alcun ponevano l vero e l falso nella cosa sgncata (1EpÌ 'e catVOÉVq), altr nella parola (1EpÌ
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La distnzione fra la dicio (la parola nel suo aspetto semantico) e il diibile doveva riuscirgi mperv a, perché egi cerca di chiarirla subto dopo senza completamente ru scri: «Ciò che ho chamato dicibile è paroa e tuttavia non paroa, ma ciò che nea paroa s intende ed è contenuto ne'animo (vebum es nec amen vebum sed quod in ve bo ineigiu e anio conineu) Ciò che ho chiamato dicio è una paroa, che sgnca, però, nello stesso tempo due, cioè tanto a parola stessa che c ò che s produce nell'animo attraverso la parola (vebum es sed quod iam ila duo simul id es e ipsum veb1m e quod f in animo pe ve bum signifca)» (ibid. ) Occorre non lascarsi sfuggre e sfumature attraverso cui Agostno ricorrendo , ad esempio, a preposizio ni diverse cerca di denire a differenza. Nea dicio, è in questione quacosa (l signicato) che resta vebum indissoubimente egato aa parola signcante (è una parola
che ora ho detto, prendi un esemp io e pensa così intorno a ogni cosa. Vi è un che deto cerchio (Kudç Ècti t ÀyO! vov), i cui nome è quelo stesso che abbiamo appena pro ferito; secondo è i suo AOyo composto di nomi e di verbi: « ciò che n ogn puno dista ugualmente dagi estre mi a centro> >: ecco i AOyoç di cò che ha nome «tondo», «crconferen za>> o «cercio>>. Terzo è ciò che si disegna e si cancea e s forma co tornio e si distrugge, ma di tutto questo nula patisce il cerchio stesso (aùtòç ò KKÀoç), intorno a quale sono tutte queste cose, perché è atro da esse. Quarta è la scenza e 'ntelletto e l'opinone vera intorno a queste cose; e tutto ciò si deve pensare come una unica cosa, che non ha sede nelle parole (ÈY mvaìç) né nelle gure corporee, ma nele anme (Èv 'UXaìç), per cui è chiaro che è altro dalla natura del cerchio stesso e da tre di cui si è parlato (342 a 8 - d r ).
es e, insieme, cò che si produce nel 'animo inanimo aaveso la parola pe verbum ) ; l cble, nvece, on è propramente una parola (vebum es nec tamen verbum), a è cò che dalla parola (ex vebo) s percepsce con l'amo. La stuazone aporetca del dcble fra l signcato e la cosa è qu evidente.
Non solo alle parole che aprono la digressione: «Per ciascuno degli enti v sono tre, attraverso i quali è necessario che si generi la scienza» corrsponde puntualmente il «tre si congiungono fra loro» da cui esordisce la citazione stoica di Seso, ma i «tre» qui menzionati (i Jvov o la parola signicante ad esempio «Dione>>, l'oggetto reale, 'uyxvov e il JatVJEVOV corrispondono ad altrettanti elementi presenti nell'elenco platonico. Il primo, la parola signicante (
>, che egli situa appunto Èv >, ciò che di volta in volta si presenta e accade. Più problematica è l' identicazione di che cosa nell'elenco platonico corrisponda al JatVJEVOV e al dicibile. Se lo si identica col quarto, che «non ha sede né nelle parole né
5· Lespressione «la cosa stessa» appare in un passo decisivo della Settima letteradi Platone, un testo della cui inuenza nella storia della losoa siamo ancora lontani dal prendere coscienza. Una comparazione della fonte stoica citata da Sesto con la digressione losoca della lettera mostra, iatti, delle singolari afnità. Diamo qui per comodità il testo della digressione: Per cascuno degi ent v sono tre, attraverso quai è necessaro che si generi la scenza, uarta è la scenza stessa, qunto s deve porre quelo stes so attraverso cui (cascu n ente) è conoscb ile (yvtv) ed è (AOyoç), veramente. Il prmo è l nome, secondo l scorso dentoro terza è l'mmagne (m.ov), quarta è la scenza. S e vuo intendere quel
nelle gure corporee, ma«cosa nellesignicata>>, anime>>, ciò ma si accorda statuto incorporeo della implica con che lo esso sia da identicare col pensiero o con la mente di un soggetto, mentre la fonte stoica esclu deva ogni coincidenza
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con un «movmen o del pensero». Resa l quno - l'dea - ala cu deno mnazone e cnca (l cerco sesso a\òç ò KUKoç) la fon e soca sc rvend o «l a cosa sessa» ( aùò 'Ò 1p yf a), sembra rcamars esplcamene. Se è vero che la sora della losoa posplaonca è già a parre da Ar soele la sora de dvers enav d elmnare o d pensare alrmen l'dea l'poes ce nendamo qu suggerre è ce gl soc sosi uscono l dcible all'dea o - qano meno sano l dcble nel luogo dell' dea.
N
Ho mostrato atrove (Agamben
2005 pp. q-r6) 'opportunità di
reintegrare il testocuidei(Bi manoscritti: «quito è necessario o) è conoscib stesso attaveso ile>> contro i < > dela maggioranza dee eizioni moderne. N Che a fonte stoica citata da Sesto si articoi in reazione diretta con la digressione dea Settima lettea, è suggerito disretament e da fatto che essa so stituisce a nome de personaggio esempicativo, che in Aristotee è di solito Corisco o Callia, quello di Dione, cioè proprio i nome de'amico che Patone evoca continua mente nea ettera.
6. Ce l dcble possa avere a ce fare con l'dea plaonca è un'poes ce gl sdos moderni evocano solo negava mene scrvendo ad esempo ce '0 «pur non essendo entà plaonce uav a possono valere come conenu og gev del pensero e del lnguaggo» (Scuber 994, p. 5 . La denegazone è come sempre s gnicava percé pro pro una leura della dorn a del dcb le n pnuale relazone cri ca alla eora delle dee permee di ciarrne lo sauo (e nel conempo gea ance una nova luce su quesa così spesso
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franesa nvenzone plaonca: l'dea. Come l'dea l dcble non è né nella mene né nelle cose sensbl né nel pensero né nell'oggeo ma fra d ess. Illumnane è n queso sen so l'uso negl soc del verbo 1apima n rfermeno a dcbl: ess non essono " ma «susssono accano» (queso è l sgncao leerale del verbo al pensero o alla rappresen azione logca così come l 'dea è paradgma cò ce s mosra accano (7apetyfa) alle cose. Gl soc accolgono coè da Plaone l modo specale d essenza del' dea e modellano su d esso quello del K'v; lo manengono però n così srea relazone al pensero e al lnguaggo ce esso a pouo spesso essere conso con l'uno o con l'alro. Ess cercano coè d pensare nseme (senza però confonderl se l'osserazone d Béer sulla non concdenza d lfatVfEVOV e K'V è cor rea l quaro e l quno elemeno della dgressione plaoni ca. D qu l'aermazone rpeua pù vole nelle fon ce gl soc avrebbero dencao le dee con conce (Èwo.a 'àç Maç acav, Arnm 903, Il, 3 6 ; cfr. v I 65). Il dcble conserva però sempre uno sauo non sempl cemene lngusico e foremene oggevo. È mporane leggere nseme n quesa prospeva due pass ce sembra no confond ere la sfera del dcble con quella del lnguaggo ma ce le manengono n realà caramene dsne. «Ogn dcble (AEK'v) deve essere deo (Éyeat eì), e da que so a tra o l suo nome» (Seso Em prco 842 , VIII 8, p. 304 Arnm 903, I 7 e «dr e (Éynv) e proferre (7po<Épec8at) sono dvers: s proferscono le parole (
=
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Il ÀEK'V non è né la cosa né la parola: è la cosa nella sua dicibilià, nel suo essere in causa nela parola, così come, nella Settima lettera, l'idea non è semplicemene la cosa, ma è la «cosa sessa» nella sua conoscibiià (yv6v, conoscibie, corrisponde qui punualmene a ÀEK'V dicibile). Mynv non equival Heidegger sottoinea più vote a ragione che e sempicemente a < > ma <
za>>. Si tratta, cioè, di una tesi ntoogica e non meramente ogica. Ao stesso modo quando Aristote e scrive che 'Ò ov ÀiyE'at 1OÀÀax, occorre tradurre non semplicemente come si fa di solito: <> ma <<'essere si raccoglie (si egge") nela presenza in moti modi> >.
7· Prima degli soici, già Arisoele si era misurao con la Settima lettera. eoria dela conoscenza conenua nella Nel IEpÌ ÉP)lVEia, un'opera che ha inuenzao per secoli ogni riessione sul linguaggio in Occidene, egli denisce il processo della signicazione linguisica in un modo che, benché sembri senza rapporo con esso, va leo in punuale conrappun o al eso della digres sione. Ciò che è nela paroa ('àèv q è segno dee impressioni ne'anima (è XW e ciò che è scritto è segno di ciò che è nella parola. E come e lettere non sono le stesse per tutti gi uomini, così neppure e paroe; ciò di cui esse sono innanzit utto segni cioè e impressioni ne'a
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nima questi sono gi stessi per utti; e anche le cose (1pf0'), di cui queste sono e situdini sono per tutti e stess e» (De int. 16 a 3 7).
a riparizione in cui Arisoele aricola la comprensione (nella parola, nell'anima, nelle cose) ricalca infai punualmene la distinzione plaonica fra ciò che è Èv crvaç, nelle parole (il nome e il discorso deniorio), ciò che è Èv aç, nelle anime (conoscenza, inelleo e opinione) e ciò che è Èv
ARISTOTELE
STOICI
nome discorso denitorio
paroe impressione ne'anima
signicante signicato
corpi e gure scienza concetto cosa stessa (idea)
cose lettere
oggetto ('XVOV) dicibie (cosa stessa)
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Menre in Ariso ee 'idea è sempicemene espun a, gi soici sostiuiscono ad essa i dicibie. È imporane osservare che 'elenco plaonico, in quano incude a scienza fra i suoi eemeni, non si esaurisce in una eoria della conoscenza e mira a quacosa 'idea che non ap pariene a a conoscenza, ma la rende possibile
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secondo cui le idee sono ciò che «massimamene si può prendere col oç (KVaO t nçW q Àfjot» . La comprensione della digressione implica quindi una neuralizzazione dell'opposizione fra il dicibile e l'indicibile e insieme un ripensameno della relazione fra l'idea e il linguaggio.
8. 9·
Abbiamo cercao nora per chiarire il conceo soico di ÀEK'v, di mosrarne le analogie e le po ssibili reazioni con l'idea plaonica. Ma s e la nosra ipoesi è c orre a dob-
Un'esposizione del rapporo fra idea e linguaggio deve esordire dalla cosaazione apparenemene ovvia che l'i-
biamo chiederci perch é gli soici hanno decis o di chiama re «dicibile» qua lcosa ce inend evano colloca re in luogo o quano meno nel luogo dell'idea Non con raddice quesa denominazione il eso della digressione dove affermando che ciò di cui egli si occupa seriamene «non è in alcun modo dicibile (�(PT'OV) come le alre nozioni 8a'a)», Plaon e s embra conferi re alla cosa sessa uno sau o di indicibilià? È sufciene siuare l'affermazione nel suo coneso nella digressione per comprendere che in quesione non è qui ano una assolua indicibilià quano uno speciale sauo di dicibilià diverso da quelo che compee agli «alri Ja�a'a».Poco dopo Plaone afferma infai che «se no n si sono coli i primi quaro» (fra i quali gurano il nome e il oç), non si porà nemmeno conoscere compiuamene il quino; e aggiunge successivamene la conoscenza della cosa sessa avviene «sfregando gli uni sugli altri nomi ot, visioni e sensazioni e meendoli alla prova in conazioni benevole e in discussioni condo e senza invid ia» (344 b 47). Ciò concorda del reso con l'inequivoca aermazione del Parenide ( I 3 5 e 3
dea e i sensibili s ono omonimi cioè che pur ess endo dive rsi essi hanno lo sesso nome. È proprio su quesa singolare omonimia che Arisoele incenra il suo compendio della losoa plaonica in Metaph. 98 7 b: «Egli (Plaone chiamò allora quesi eni idee e (affermò che ue le cose sensibili sono dee accano ad esse e secondo esse ( 'à o' ac8T'à infai secondo 1apà 'aa Ka'à 'a'a Ayec8at 1v'a); la parecipazione la moleplicià dei sinonimi è omonima alle idee ( Ka'à JÉ8etv yàp dvat 'à 1oì àì ÒJCVUJa 'oç EÙEctv)» (ivi 8I). (Sinonimi sono secondo Arsoele Cat. I a I I I, gli eni che hanno lo sesso nome e la sessa denizione omonimi gli eni ch e hanno lo sesso nome ma diversa denizione. Che le cose sensibil i e l'idea siano omonime che le cose ricevano anzi i loro nomi dalla parecipazione alle idee Phaed. 78 e: «Che direè ribadio più vole da Plaone mo delle moleplici cose come uomini cavalli vesi [ ... ] Phaed. 1 02 b I: «Le e di ue quelle omonime alle idee»; alre cos e parecipando alle idee ne ricevono le denominazioni (1rVUJiav, nome rao da qualcos'alro; quasi
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le stesse parole n Parm. I 30 e: «v sono tal dee, parte Resp. cpando alle qual ne rcevono le denomnazon»; 596 a: «samo solt ammettere una certa dea unca per cascuna molteplctà a cu damo lo stesso nome». Ed è propro questa omonma che Arstotele rmprovererà al suo maestro, scrvend o che «s e la forma delle dee e quella delle cose non è la stessa, allora sarann o omonme, come se si chiamasse Calla tanto l'uomo n carne e ossa che un pezzo di legno, senza vederv nulla d comune (�TÒE�iav Kotvrviav)» (Metaph. 99I a, 58).
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IO dea è, dunque, l prncpo untaro da cu le cose sen sbl traggono l loro nome o, pù precsamente, cò che fa sì che una molteplctà d sensbl costtusca un nseme e abba lo stesso nome. La prma con seguenza che le cose rcevono dalla partecpazone all'dea è la denomnazone. Se vi è, in questo senso, un rapporto essenzale fra l nome e l'dea, questa non s'dentca però col nome, ma sembra essere, puttosto, l princpo della nomnabltà, cò partecpando al quale, le cose sensbl trovano la loro denomnazone. Ma come concepre un tale prncp io? Ed è poss ble pensare la
N
(Metaph. 98 b comprensone de passo d Arstotee 8-o) La è stata n parte fasata da ctato una correzone de'edzione Bekker che ha soppresso ÒJCVU, malgrad o termne gurasse ne coce pù autorevole ( Parisinus 8 5 3) e in tutt gl atri (con due soe eccezon, i Laurentnus 812 e i Parisinus 8 7 6) Trendeenburg ha fatto opportunamen te notare che, come abbiamo visto, Patone para d omo nimia e mai di sinonimia. edizone J aeger ( 9 5) ha così rentrodotto ÒVU, mettendo però ra parentesi tv Ovrvirv. I testo dei ma noscritt è perfettamente chiaro e non necessta di acun emendamento: Aristotee, n questo fedee a Patone, vuo dre che a moltepictà dee cose sensbi che portano o stes so nome (e sono p ertanto sinonimi: ad esempio, i cavai in carne e ossa) diventa omonima rispetto ae idee (i cava hanno n comune con 'dea i nome, ma non a denizone) Quanto aa frase tà ù ao9Ttà 1apà tauta Katà tauta ì yeo9m vta, Cherniss e Ross hanno gustamente osservato che a traduzone usuae «e cos e sensibii esistono separate da esse e sono tutte nominate secondo esse» è nesatta e suppone 'nserzone di un E che manca nei manoscritt (Chernss 19, p 18)
sua consistenza, dalla relazone a sensibil che traggono ndipendentemente da esso la loo omonima? Poiché proprio su questo punto vertono le critche di Aristotele alla teora delle dee, s arà opportuno esaminare n nanztutto tal crtche. Arstotele nterpreta la relazone fra l'dea e sensbl a partre dalla relazone fra «cò ce s dce secondo l tutto» ('à Ka86Àou -à Ka9 Àou ÀEyva; Arstotele s se rve anche dell'espressone -ò V È1Ì 1oM&v, l'uno su molt e cò che s dce secondo sngol (Ka8 Kac-a). Ci samo astenuti dal tradurre Ka86Àou come «l'unversale», perché propro questa dentcazone del problema delle dee con la quaestio de universalibus ha segnato la stora della rcezone della teora delle dee e l su o fraintend men to a partre da Arstotele no a commentator tar doantch e, poi, alla Scolastca. Socrate, sc rive nfat t Arstotele (Meph. I0 78 b I 8 sgg., cercò per prmo d trova re denizon secondo l tutto, «ma =
( -à mentre egl non pose cò che s dce secondo l tutto Ka86Àou) come separato (xrptc-), platonc lo hanno se parato e chamarono sffa tt ent dee; da que sto trassero la
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ano per l'uomo sesso (aù'ov8p Coç) che per l'uomo ( v8poç) vi è un solo e sesso discorso deniorio (oç), quello di uomo» (Eth Ni. 96 a 3 4 b . E , in Metaph. 1035 b 3 con evidene allusione al cer chio della digressione plaonica, egli scrive nello sesso senso che «ano il cerchio deto in assoluo ( Yf.VOç) che il singolo cerchio si dicono omonimamene, dal momeno che non vi è un nome proprio itov vo1a) per ciascuno di essi». Proprio l'us del pronome a6 che per Arisoele risulava aporeico, permee invece ano di emperare l' omonia fra l'idea e i sensibili che di comprendere che cosa fosse in quesione, per Plaone, nell'idea Torniamo all'espressi one che nella Settima lettera esempli-
ca l'idea: aùòç ò KKÀDç, il cerchio stesso (e non aKKÀD come sggerisce Aristoele) Lidea non ha n nome proprio, ma nemmeno coincide semplicemente col nome Essa viene designaa piuoso araverso l'aggeivazione del pronome anaforico a6ç, sesso. I pronomi non hanno, a dierenza dei nomi, un signicao lessicale (un senso Sinn, nei ermini di Frege, o na referenza virtuale, secondo Milner. Ciò che denisce un pronome anafori co (com e am6ç) è che esso può designare un segmeno di realà solo in quanto queso è già sao si gnicato araverso un alro ermine doato di senso Esso implica, cioè, una relazione di coreferenza e una di ripresa fra un termine mancane di referenza viruale il pronome anaforizzane e un ermine dotao di referenz a virual e il nome anaforizzao (M ilner 19 82, p 19 ). Secondo uno dei signicai del verbo àva<Épr esso «riprende» la cosa nel suo essere sata designaa da un nome an ecedente Sia l'e sempio: «vedo un cerchio Lo vedi anche u?» Il pronome anafor ico «lo», in sé privo di una referenza viruale, la acquisa atraverso la relazione col ermine «cerchio» che lo precede.
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Rileggiamo ora il passo della digressione: Vi è un che detto cerchio (Judoç Èo't ' AYOfEVov), il cui nome è quello stesso che abbiamo appena proferito; secondo è il suo Myoç composto di nomi e di verbi: «ciò che in ogni punto dista ugualmente dagli estremi al centro»: ecco i Myoç di ciò che ha nome «tondo>>, «circonferenza>> o «cerchio>>. Terzo è ciò che si disegn a e si cancella e si forma col tornio e si distrugge, ma di tutto questo nua patisce il cerchio stesso (amòç ò lJÀoç), intorno al quale sono tutte queste cose, perché è altro da ess e.
A che cosa si riferisce laù'6ç, che cosa è in esso «ripre so» e in che modo ? Innanziuo in quesione non è qui semplicemente una relaz ione di idenià Ciòanche è escluso, olre che dall'es plicita affermazione di Platone, dalla strutura grammaticale del sinagma Il pronome aÙç (accostato a un nome nel senso di «s esso» si co sruisce in greco in due idem) o l'ipseià modi, secondo che esprima l'idenià (la. (la ipse): ò aÙ'Òç KKÀoç signica «lo sesso cerchio» (nel senso dell'idenià, au'òç ò KKÀoç signica invece «il cerchio sesso», nello speciale signicao che cercheremo ora di chiarire e che è quello di cui Plaone si serve per l'idea Menre in ò aù'òç KUKÀoç il pronome è inserio, infai, fra l'aricolo e il nome e si riferisce dunque direamene al nome, in aòç ò KKÀoç esso si riferisce a un sinagma formao dall'aricolo e dal nome. Laricolo greco «Ò» ha in srcine il valore di un pronome anaforico e signica la cosa in quano è sata detta e nominaa. Solo in un secondo empo esso può, per queso, acquistare il valore di quella designazione che Arisoele chiama Kae Àou: «il cerchio» in generale, l'universale, opposto al singolo cerchio. (I laini, la cui lingua manca dell'aricolo, avevano per queso difcoltà a precisare l'espressione dei ermini generali
S
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È nolre evdene, ce l quno, cerco sesso ( mòç Ktì.oç) non può rferrs, come Plaone non s sanca d soolneare, a nessuno de re elenca nella dgressone: né al nome «cerco» né alla sua referenza vruale (den ca alla denzone, ce corrsponde al ermne unversale «l cerco» né al sngolo cerco sensble (a referenza auale. Nemmeno può rferrs - Plaone a cura d pre csarlo subo dopo (Epist. VII, 342 c 8) - alla conoscenza o al conceo ce ce ne formamo nella mene. Cò ce l snagma rprende non può allora ce esse re conenuo nell'espressone ce apre l'elenco e, nseme, resa fuor da esso: KUKÀoç Èc'i n M:yJ Evov («v è qual
non sotanto i at. ipsissimus signica in Pauto «i padrone», ma anche in greco, nela comunità pitagorica, \ç € «ui ste sso ' ha detto» de signava Pitago ra, i maestro per ecceenza (ibid. ). Si può integrare a denizione di Benveniste, precisando che pot signica «quacosa o uacuno in quanto assume i nome con cui è nominato o i predicato ce gi viene riferito». Luso patonico de'\ç si ciarisce così uteriormente: 'identità ce è qui in questione non è 'identità numerica o sostanziae, ma 'identità (o, piuttosto, 'ipseità) in quanto denita dall'avere un certo nome, da'essere stata detta ne inguaggio i un certo modo.
cosa deto cerco», le. cercho è qualcosa deo. Ce essa sia fuor dall'elenco, che sa, per così dre, pma del primo, è provao senz'ombra di dbbo dal fao ce il nome, cui compee l prmo rango, deve rfers ad essa araverso de pronom anaforc q o1h mò Ècn v VOJ a o vùv È<8ÉyJ E8a, le.: «a cu è nome quello sesso ce ab bamo appena profer o».
Ldencazone del ermne anaforz zao è, p erò, u'al ro ce semplce. Se lo s ndvdua nel ermne KUKÀoç v è conf1sone fra l cerco e l nome «cerco» e la frase ce segue (« l cu nome è quello sesso ce abamo profero» rsula superua. Resa l pronome ndeno n d cu gl soc faranno la oro caegora nologca fondamenale: ma, n quano pronome prvo d referenza vruale, per oer es sere rpreso anaforcamene esso non può essere solao da ermn ce lo precedono e lo seguono. È versmlmen e per soolneare quesa nseparalà ce laone, nvece dell' ov va formulazone: c n KUKÌOç M:yEvv srve: KuKì.oç Ècv n yEvov (Epist. VII, 342 b, «cerco è qualcosa deo» . Un'anals aena mosra ce a frase forma un u o ndvsble, n cu n quesone non sono né l cerco né l qualcosa né l deo, ma «l'e ssere cercodeo». Plao ne non muove, coè, da un mmedao, ma da un essere ce
ò
l Benveniste ha mostrato che il signicato srcinae de latino potis (e de'ie pot da cui esso deriva), che vuo dire «padrone», si riferisce in reatà a'identità personae, espressa da una particea (spesso un aggettivo o n pronome, come ne at ipse) che signica «precisamente queo, ui stesso» (come ne'ittita pet, particella encitica «che rinvia al'oggetto che era in quest ione nel discorso>> o ne at. utpote, «in quanto precisamente», che designa qualcuno in quanto è designato l, p. 89) «Mentre è difcile da un certo predicato: Benveniste 1969, immaginare come una paroa che designa i padrone" abbia potuto
ndebolirsi no a signicare ui stesso", si comprende come un aggettiv o che signicava 'identità perso naeagevolmente e i luistesso" , abbia potut o assumere il senso d i padrone"> > (ivi, p 90) B enveniste mostra così che lo stesso spostamento semantico si ritrova in mote ingue:
I2.
è gà nel lnguaggo, per rsalre dalecamene, verso l lnguag go, verso la cosapo sessa. Secondo laara celebre denzone del meodo daleco n Resp. 5 I I 3 c 2 l
CHE Cos' È LA FILOSOFIA?
principio nonpresupposto (àpx àvu769Eoçsi) raggiunge soltanto attraverso la paziente eliminazione dialettica dei presupposti (« prendendo le ipotesi non come principix ma come ipo tesi» . Il cerch io stesso che Plat one chi ama anche lfç, «nascimento» del cerchio (to KK' ç l r, Epist. VII, 342 c 8) - non è né un indicibile né qualcosa di meramente linguistico: è il cerchio ripreso nel e dal suo essere-detto-cerchio Nel sintagma con cui Platone designa l'idea aùòç ò KUKÀoç, il cerchio stesso in question e non è pertan to, come credeva Aristotele, semplicemente un universale (ò KUKÀoç, il cerchio: l' aùç, in quanto si riferisce a un termine già anaforizzato dall'articolo, riprende il cerchio nel e dal so esserdetto, nel e dal so essere nel linguaggio e il termine cerchio nel e dal so designare il cerchio. Per questo, il «cerchio» stesso, l'idea o il nascimento del cerchio non è né può ess ere nessuno dei quattro. Non è, tuttavia, nemmeno semplicemente altro da essi. È ciò che è ogni volta in questione in ciascuno dei quattro e resta, insieme, irriducibile ad essi: ciò attraverso cui il cerchio è dibile e cnoscibile. Se è vero, come diceva Ar istotele, che l'i dea non ha un nome proprio, essa, grazie all'&ç, non è, però, nemmeno perfe ttamente omonima a lla cosa: come «cosa s tessa», essa signica la cosa nella sua pura dicibilità e il nome nel suo puro nominare la cosa. Come tale, in quanto cioè in essa la cosa e il nome stanno insieme inseparabilmente al di qua o al di là di ogni signicare, l' idea non è né universale n é particolare, ma, come terzo, neutralizza questa opposizione. N Nel Fedone (76 e), Pla tone menziona espicitamente il movimento anaforico che denisce l'idea: <
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parliamo, il bello, il bu ono e ogni essena di questa specie e se riportia mo indietro (va<Épov) verso di ess e le cose sensibili >> Lirriducibiità ontologica del'anafora am6ç che viene così posta paradossalmente prima della sostanza, è aferma ta da Potino con particolare chiarezza: <> egli scrive <<è quacosa di uno (€v n) , ma l'uno è senza il quacosa (v�u to n €v). Se fosse un quacosa, non sarebbe l'uno stesso (aoÉv), poiché lo stesso" (am) è prima del qualcosa (1pò to )>> (Ennead. 5, , 12) N Frege, che afferma che ogni segno h a un senso (Sinn) e un signicato (Bedeutung), osserva che certe volte noi usiamo un termine intendendo parare non del suo signicato, ma dela realtà materiale del termine stesso (come quando diciamo «la paroa rosa" ha quattro ett ere>>) o del suo senso, indipendentemente da suo riferirsi in atto a un signicato reae. È per
indicare questo uso specia le della parola che ci serviamo delle virgolette Che cosa avviene, però, se si cerca di designare il termine non nella sua materialità o nel suo senso, ma nel suo signicare qualcosa, cioè il nome rosa in quanto signica una rosa? Qui il linguaggio si urta a un imite, che nessun uso dee virgolett e può pretendere di aggirare: si può nominae il nome <> come un oggetto (nomen nominatum), ma non i nome stesso ne suo designare in att o una rosa (nomen n ominan s). È questo i senso de paradosso che Frege ha espresso nella formua: < > e Miner ne'assioma : < >. Wittge nstein, nel Tractatus, ha in mente quacosa di simie, quando scrive che «i nome mostra di designare un oggetto> >, ma non può dire il atto che lo sta designando (41 26) È questa anonimia de nome rosa che è in questione nell'idea dela rosa, nella rosa stessa (che è, per questo, omonima alla r osa). In quanto esprime 'impossibiità di nominare i nome rosa se non riprendendoo nela forma de pronome anaforico aùt6ç, l'idea segna il punto in cui il potere nominante de inguaggo deve arrestarsi e l'impossibilità per i nome di nominare se stesso in quanto nominante lascia apparire a rosa stessa, la rosa puramente dicibile.
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1 4· Ne su bro su I nom i divini, Usener a mstrato a stretta mpcazone fra a formazone de cncett regos e quea de nm deg dè. I nme nn è per Usener «un segn convenznae d un cncett (voJc) né una denomnazne ce cge a cs a n sé e a sua essenza ()»: esso è precptato d un'mpress ne d frnt a'urt mprovv s «cn quacsa ce nn è 'o» (U sene r 1 896, p. 46). La frmazo ne de n me deg dè rett e a forma zne d quest cncett ngust c ce prcede da'assuta sngartà n a partcoare e aa sua ssazone n un concett d genere. evento de nme «cn» dee paroe secnd 'mmagne ce sener prefe rsce usare è pertant sprattutt per e epche pù ntane strument essenzae per ndagare a formazne de cncett e de e rappresentazon regse d un popo. Eg mstra csì cme per gn cosa e per gn azone mprtante venga creat ne nguagg un «d momentane» (Augenblicksgott), cu nme cncde cn queo de'atto e ce attraverso a rpetzone regare s trasforma n un «d partcoare» (Sondergott) e pù tard n un do persnae. G indigita menta rman c anno conservato nm d dvntà ce corrspondno a sngo att o mment de'agrcotura Vervactor, ce nomna a prma aratura de maggese (vervactum), Insitor, ce nomna 'atto dea semna Occator, ce corrsponde aa avrazone de camp cn 'erpce Sterculinus ce s rfersce aa cncmazone dea terra ... Usener era nuenzat dae teore pscogce de su tempo ce concepvan a cnscenza cme un process ce attravers a rpetzne e 'astrazne cnduce da partcare a cncetto generae. Eg rcrda pù vte tut
SUL DICIBILE E L' IDEA
tava ce cn a crstazzazne n un nome prpro do partcare s espande beramente secnd una sua prpra egge ce porta aa formazne d sempre nuve denmnazn. Ne'ndagne d Usener nme dvn dventa csì quacsa cme a cfra a egge nterna de nascere e de dvenre strc dee gure dvne. Svgendo 'ptes d Usener forse a d à dee sue ntenzn s ptreb be dre ce 'event de nome e 'event de do cncdn. I d è a csa o 'azne ne'stante de su apparr e ne nme. Esso nea frma d un nomen agentis, è n quest senso mnm aa snga azne: Occato a'atto d avrare a terra cn 'erpce Insitor, a'atto de semnare Sterculinus, aa cncmazne dea terra cn sterc e csì va; cme mstra la r evuzine n una gura autnma ess nn cincdn tuttava sempcemente cn sng att ma puttost c su essere nmnat. Appare qu con carezza 'ana ga fra a dttrna d Usener e a tera patnca dee dee: come n orgne nme non nomna a csa tramte un cncett ma un d a stesso md n Patne nome nn nmna stanto a csa sensbe ( un concett) ma nnanz tutto a sua dcbtà: 'dea. I do mmentane come 'dea è una pura dcbtà.
-
È tutta a tera moderna dea sgncazone ce è qu rvcata n questone. Essa s fonda su'artcazne d tre eement : sgncante sens (Sinn) e sgncato a denotazne (Bedeutung), ce presuppone a sua vota pesso ngustcs emantc de De interetatione arstotec: pare/cncett/cose (ne termn de cmmentat r
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tardoantichi: «e aroe in at o signcano e cose attraverso i concetti»). I ingisti refer iscono o ggi chiamare i seso «referenza virtae» e a denotazione «referenza atta e» e ammettono che mentre a denzione dea rima non sembra imicare difcotà, siegare in che modo n termine si riferisca in atto a n oggetto concreto è raticamente imossibie. Acista i tto i so senso i fatto che 'tima ricerca di Benveniste si sia cncsa con la diagosi che raresenta i n ache modo er a scien za de ingaggio n n afra gi secondo ci la linga è divisa in de iani se arati e incomnicant , i s emiotico e i semantico, fra i a i non vi è assaggio: «Il mondo de
già obitera to. noogia, secondo n rocesso che ha drevomente segnato a storia dela osoa occidentae, è semre già decinata in na gnoseoogia. I modeo atonico, invece, che non si esarisce ne nesso aroaconcettocosa, i mlica n eemento 'idea che esrime il ro f atto che 'e ssere si dic a. a conos cenza non ha i bisogno di essere sie gata at traverso n rocesso sicoogico che è in rea tà na mitoog ia che da articoare, attraverso a rietizione di na stessa sensazione e 'astrzione in n concetto, condce a generae: articoare e niversae, sensibie e intelegibie sono niti immediatamente nel nome attraverso 'idea. ntoogia non coincide
segno» egi scrive «è chis. Da segno ala frase non c'è tansizine, né per sintagmazine né in alt md. Un iat li separa» (Benveniste I 97 4, I, p. 6 5 . Dt il s egn con a sa referenza virtae, in che modo qesta, atta lizzadosi, si riferisce a n oggetto singoare? (Già Kant, nea ett era a Ma rcs Herz del 21 febbra io 1 972, si chiede va: « come fanno le ns tre raresentazioni a riferir si agl oggetti?»). La domanda che occorre chiedere a esto uto è, it tosto: come è ossibie che a gica e la sicoogia moderna abbiano accettat senza riserve n dispositiv affatto abi trario, a è elo aristoteico, che consiste ne'introdr re nela mente come con cett n carattere che aartiene in eatà al nme? Il momento inagrae dela nominazione che è a'srcine del conetto e, come tale, nel esso de De interetatione, è menzionat o er r imo viee, con na singoare Ènoxi, messo da parte come n mero s egno.
cn a teria dela conscenza, ma la precede e cndiziona (pe quest Pltne può sciver e nea Setima lettera che l'ide è «ciò attraverso cui ciscun ente è cnscibie e ve» e ecisare che «a conscenza è alcsa di diverso dala natra de cerchio stesso», 34 2 a). In esto modo, secondo a rfnda caatterizzazione benjaminiana de'intezione atonica, 'ide garantisce ogni vota che 'oggetto dea conscenza on ossa coicidere con la verità. Per esto gi stici, riprendendo i gesto di Patone, han n inserit i «dicibi e» nea or teoria dea signicazione. Perché il term ie «ros a» e i cncetto « a rsa» s sano rife rirsi ala singoa rosa e sistente, occorre sorre l'idea dela rosa, a rosa nela sa ra dicibiità e ne so «nascimen to». Secondo a gista intizione oetica de iù atonico dei eti moderni, «]e dis: ne er! et hors de 'obi où ma voix reège a c contor, en tant e ee c hose d' atre e es caices ss, msicalement se ève, idée mme et save,
In esto modo il esso ntologico essereingaggio i fatto che l'es sere si dica nei nomi viee trasposto in una sicogia e in una semantica e, in qesto mdo, sempre
'absente de tos bquets» (Maarmé 1945, . 368).
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N Occorre sempre di nuovo riettere sulla scissione de piano dea lingua in semiotico e semantico, a cui rilevanza flosofca non può essere sopravautata. Benveniste, che riprende e sviluppa 'opposizione saus suriana ra ngue e parole, a caratteriz za in questo modo : «I l seiotico desgna i modo di signifcazone che è propro de segno linguistico e che o costituisce come unità. Si può, per i bsogni de'analsi, conside rare separatame nte e due acce de segno, ma sotto 'aspetto dea sgnifcazione esso è unità e resta unità. La soa domanda che il segno suscita è quela dea sua esistenza, e questa si decide con un sì o con un no: alberocanzonevare-neo-glo-su e non ':·olbero':vanzone-'·sa re'·deo':·nu. Preso in se stesso, i segno è pura identità con se stesso e pura alterità rispetto a og ni atro segno . . . Col sema ntico, entriamo nel modo specifco di signifcazione generato dal discorso. I probem che qui si pongono sono unzioni della ingua in quanto produttrice di mes-
Se 'interpretazione di E. Homann del r . di Eracito è, come riteniamo con Meandri (2004, pp. 6264), corretta, essa si trova espressa con chiarezza proprio a'inizo dela cypa< eracitea ne'opposizione ra Àoç (discorso) e €1 a (vocab o, paroe). Gl i uomini qui si egge non ntendono il Àoç né prma né dopo di averlo ascoltato, perché si ermano a piano seotico dee paroe (€a) e non anno esperienza d ciò che è in questione nel atto di parlare, ne linguaggio come tae.
saggi. I messaggio non si riduce a una successone di untà da idetfcare separatamente no è un'addizone i segn che produce l senso, ma è, al contraro, il senso gloalmente cocepito, che s realzza e divde in segni partico ari, che sono le p arole . . . Che s tratti due ordin i distinti d no zioi e di due universi concettuai, lo si può mostrare ancora attraverso a dierenza del criterio di vaidità che è richiesto per 'uno e per 'atro. I semiotico (il segno) deve essere riconoscuto; i semantico (i discorso) deve essere compreso. La dierenza ra riconoscere e comprend ere rinvia a due distinte acotà delo spirito (Benveniste 1974, II, p. 22 5 ). Ogni tentati vo di comprendere a signifcazio ne inguistica e tae è quelo corrente dea seioogia e della logica, che si ondano in utima analisi sul paradigma ar stotelico senza tener conto di questa scissione che divide i inguaggio è condanna ta a grare a vuoto. È, natti, de tutto iegittimo traserire l signifcato, che è una proprietà del segno, nella mente o ne'anima né si vede come sia possibie articoare, come a Ari stotee ne De interetatione, una teoria de a proposizione cioè de semantico a partire da una defnizione purament e semiotica dela ingua. idea in Patone ha a che are con questa scissione, di cui egi era, a suo modo, consapevoe e che esprime, ra 'altro, nel'opposizione ra nome
riteneva Aristotee, una generaità, ma ha cercato di pen sare un pura dicibilità, senza alcuna determinazione con cettua e. Il passo successivo dela digressione o precisa con chiarezza: « primi quattro manifestano non meno a quaità ('ò 7ot6v n ) che 'essere (ò ov) di ciascuna cosa, per via dea deboezza de i nguag gio . . . dee due cose, 'e ssere e a quaità, non a quaità ('ò 7Ot6v n), ma i che ('ò è ') 'anima vuoe conoscere, mentre ciascuno dei quattro e mette davanti ciò che essa non cerca» (Epist. VII 342 e - 34 3 a; 343 b). Per questo Patone , cercndo di esprimere i puro essere, i «nascimento» di quacosa, ha dovuto ricorrere a un pronome; i pronome infatti, è denito già dei grammatici antichi come quea parte de discorso che esprime a sostanza senza a quaità (Prisciano: i pronome substantiam signifcat sine aliqua certa qualitate ). Ma egi, a differenza di Aristotee , non ha sceto un pronome deittico («ogni sostanza signica un questo», a ouia oKc '-
...
(voJa)
>>
(Àoç).
e discorso il segno raggiunge Ne'dea, una omonima principio loro noinazione, sogia, aiinsensibli cui esso etrapassa nedella semantico. La p ercezione dea rattura del piano de linguaggio in seiotico e semantico coincide, in questo senso, con 'srcine dela fosofa greca.
16. La strategia di Patone diventa a questo punto più comprensibie. Egi non ha sostanziaizzato e separato, come
ÒE n livEtv, Cat.
3 b 10), ma 'anaforico a'ç. Ne passo citato dee Categorie, Aristotee distingue a sostanza prima, che signica un «questo », perché manifesta
CHE COS'È LA FILOSOFIA?
un che di indivisi bile e uno (questo certo uomo, questo certo cavallo), dalle sostanze s econde (l'uomo, il cavallo), che non implicano una deissi, ma signicano piuttosto una qualità (7ot6v n Jaivn) (ivi, 26) Resta in ogni caso che, per Aristotele, vi è un punto in cui il linguaggio signica uno (ev Jaivn), tocca inequivocabilm ente il suo referente. Per Platone, invece, per via della «debolezza del linguaggio» (-v Àyrv àOEvÉ ç, Epis. VII, 34 3 a ), i solo modo anche se insuf ciente di mani festare un puro esistente nel suo nascimento non è di indicarlo, ma di riprenderlo nel e dal linguaggio attraverso l'anafora a16ç. Nel Timeo (49 d 4 6), l'impossibilità di designare gli enti sensibili attraverso un deittico e la necessità di servirsi, per la loro designazione, di un'anfora sono affermate senza rierve: «Il sensibile che noi vediamo sempre in atto di divenire inces santemente altro, come il fuoco o l'acqua, non dob biamo mai chiama rlo ques to" (-oho), ma sempre ogni volta di tal sorta" (-owhov)». L'ntologia aristotelica riposa in ultima analisi su una deissi , quella platonica su un' anafora. Ma proprio questo permette a Platone di chiamare in causa, attraverso l'idea, una àpx' àvu760E-oç, u principio non presupposto e al di là dell'essere . Se il nome « cerchio» dice tanto l'essere c he le qualità del cerchio, nell'idea (nel «cerchio stesso») il nome è ripreso dal suo signicare verso la manifestazione del puro esseredettocerchio, cioè verso la sua dicibilità. Ciò si gnica che non soltanto vale anche per l'idea di Platone la tesi kantiaa secondo cui l'essere non è un predicato reale (cioè «il concetto di un qualcosa che si aggiunge al concetto di una cosa»), ma che nemmeno egli ha mai sostanzializzat o l'idea come un universa le che si possa situare da qualche parte , in cielo o nell a mente (le idee secondo una d ottrin a pla
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tonica rifer ita da Smpl icio «non sono in nessun luogo», Smp lic o 18 82, p. 4 53 ) iò che è in questi one in una pura dicibiltà, cò che s dschiude solo attraverso il lento, paziente lavoro anaforico che «sfrega gli uni sugli altr nomi, discorsi, vision e sensazioni» (Plat. Epist. VII, 3 44 b 4) non è che l'evento di un'apertura nell'anima, che la digressione paragona efcacemente a una luce schizzata da una amma: «dopo molto stare insieme e convivere intorno alla cosa stessa, mprovvisamente, come una luce schizzata da una amm a, si genera nell'anim a e subito nutre se stess a» (ivi, 341 c 6 d 2) � Perché a «cosa sessa> > mporta a Patone, perché essa è « cò d cu egl s occupa s erament e>>? Se nel'essere è n questone ' artcola zone orgnara fra nguaggo e mondo fatto che «'essere s dce>> ('ò v Ày E'at) - s dirà aora che, mentre per Arstotee 'artcoazone ha uogo a paroe, cose e concetti, aone, ntroducendo otre a quesi 'dea, ceca di pobemazzare atto stesso che a cosa sa deta e nonaa. Se pensieo si uove gà sempre in un ondo nonato, esso può, uttavia, aav eso gesto anaoico de'dea, rsare aa co sa sessa ne suo puro essere detta, nea sua dcibtà. Egi probematzza, n queso modo, puro e rriducbe dars de nguaggo. In questo punto n cui nome è rpreso da e ne suo nomnae a cosa e a cosa è ripresa da e ne suo essere nomnata da nome i mondo e i nguaggo sono a contato , coè unii soo da un'a ssenza d rappresenazione .
7 La tra sposzione che si compie nel pensero tar doantico, da Porrio a Boezo, e poi nei l ogici medieva li della dottrina delle idee nella quaesio de universalibus, è, in questo s enso, il peggior fraint endiment o dell 'intenzione pla
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nuto che i imite dei Greci era che essi non conoscevano e ingue straniere i che, ameno no a un certo momento, è vero; Patone e Aristotee sapevano, tuttavia, perettamente che una stessa cosa è nominaa in modo diverso secondo e varie ingue (queso è impicito ne passo dea Settima lettera in cui si dice che i nomi non hanno acuna stabiità e nea tesi de De interetatione secondo cui e paroe non sono e stesse per tutti gi uomini). I nome KM>ç nomina a stessa cos a che è intesa da atino rculus e da'itaiano «cerchio»: ma i cerchio stesso resta in ciascuna ingua sotanto omonimamente nominto. Potremmo aora dire che, in utima istanza, 'eemento inguistico proprio de'idea i dicibie non è semplicemente i nome, ma a raduzione, o ciò che è traducibie in esso. Benveniste ha visto nea traduzione il punto in cui si tocca a dierenza ra i semiotico e i semantico. Si può trasporre, inatti , il se mantismo di una lingua in queo di un' ara
serva n che esse «nn sn in un luog ( oùK Èv '01 Phys. 209 b 34; JTÒ oM Èv 61q Simplici 1 882 p. 45 3). E, tuttavia, esse, che non hann ug e, per quest, rischian di nn essere ( «ciò che nn è né in ciel né in terra nn è nula», Tim. 52 b), s n essenzialmente cnnesse, anche se «in md assai apretic (, ett. «del tutt impratica bie») e difciissim da afferrare (ucaÀaov, Tim. 5 I b)», cn l'aver ug degi enti sensibii, che ne ricevon l'imprnta (rÉva à1 am év, Tim. 50 c) in md «difcie da dire e meravigis (
(è a possib iità dea traduzione), ma non i semiotismo di una ingua in quelo di un'atra è 'impossibilità della traduzione) Al'incrocio di una possibilità e di una impossibilità, la traducibilità si situa, cioè, sua sogia che unisce e divide i due piani de inguaggio. Di qui la sua rievanza osoca, che Benjamin ha messo in uce. Larduo passaggio da semiotico a semantico è q ui cercato non a'interno di una ingua, ma, attraverso a puraità dele ingue, n ea totaità compiuta dee loro intenzioni. Per questo, come aveva intuito Mallarmé, rispetto a'idea la ingua perfetta non può ch e mancare (/es ngues imparfaites en cela que plusieures, manque suprme) In suo uogo sta, secondo Patone, logos dela osoa, che riporta ogni ingua verso i suo principio ne Musaico (a osoa è, per questo, «a musica suprema>>: QtM>coQiaç [.. ] oç Jyic'ç !Oumç, Phaed 6r a; ancora più espicitamente in Resp. 499 d: la osoa è «la musa stessa>>, aù 1 oca).
una dttrin a della materia, in questine è qui, all stess titl, la relazine fra le idee e la materia. Riassumiam per smmi capi l'espsizine del Timeo. Questa ha inizi cn a cstatazine del'insufcienza della psizine di due specie di esseri, i paradigma intellegibile ed etern (l'idea) e la sua imitazine, il sensibie. I «terz e divers genere» (piov {.v yÉvoç)viene pertant intrdtt cme un'esigenza un pstulat irrinunciabie (i oç «cstringe » yKç a «farl apparire» ÈJavic, 49 a). L a sua natu ra, «difcile e scura», viene nn prpriamente denita, ma descritta attravers una serie di quaicaz ini successive. Innanzi tutt ess è il «ricettac» ( fooxl) di gni generazine. T utte e cse sensibii, che i ncessantemen te si generan e si distruggn, hann bisgn di qualcsa «in cui» (Èv ) apparire, cme le gure che un artece plasma nell'r hann bisgn del metall per prendere frma (da questa immagine, Aristtee può aver dedtt che in questine sia qui la materia dei crpi). Questa « natura ch e riceve tutti i crpi» è sempre a stessa e deve essere in sé priva di frma, cme è amrf un
!8. Il prblema dell'idea nn è separabile dal prblema del su lug. Che le idee abbian lug (XEt òv 61ov) «al di là de cie» (\poupvwv 61ov, Phaedr. 247 c) può sl signicare cme Aristtele e implici puntualmente s
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«materiae da conio» (ÈKfaye"ov, 50 c, i termine contiene l'idea di un «imasto», cfr. fcr, fK'pa) che uò assumere e imronte di tutte e forme che riceve. Questo ortaimronte viene così aragonato a una «madre», ciò da cui riceve 'imronta a «adre» e a natura intermedia fra di essi a un « gio» Se a madre non fosse riva di una fo rma roria, 'imronta (ÈK1fa) che riceve non sarebbe visibie, eché la sua roria forma «si mosterebbe accanto» (1apEf
v), aena credibie. Guardando ad esso come in un sogno,
terzo genere, mdre, ricettacolo e ortaimronte, è, dunque, un «secie invisibie» ( vp aov elòoç , 'esressione è, in greco, in quache modo contraddittoria) e « er natura a di fuori dele forme o idee (ÈK'Òç eòv, 5 a)»; e, tuttavia, «artecia in modo assai aoretico e difciissimo da afferrare de'inteegibie. A questo unto, in una s orta di vertiinoso rieiogo, Patone concude che o ccorre dunque ammettere (fOÀAYT'Éov i verbo fOÀoye"v confessare, designa una verità che non si uò non riconoscere) tre generi di essere: ) uno ingenerato, e incorruttibie, che non riceve in sé nua né va mai in atro, inv isibie e non s ensibie (vai'ov), che si contema con 'inteigenza; 2) un secondo, omonimo e s omigiante a rimo, che si genea e si distrugge incessantemente in quache uogo (€v nvt '0) e che si aferra con 'oinione accomagn ata da s ensazione (fE' ac9ce); 3) un terzo, o sazio (xpa), anch'esso eterno e non soggetto a distruzione, che fornisce una sede (òpa) ae cose generate. Esso è «tangibie co n un ragionamento bastardo accomagnato da assenza di sensazione (fE' vmaç 1'Òv ìoytcf n v
stesi assenza di senszione, m anche e innnzitutto perché invece di servisi de formul nme «Xç « a senza senszione, egi referisce l'espessine aradossale «con anestesia, accomagn ato da un'assenza di sensazione Diano 973, passim) . Che cosa si erceisce quando si erceisce una «assenza di sensazione? Che cosa intende Platone, scrivendo che eceire ' aver uogo di qualcosa non signica semlicemente non erceire, ma erceire unassenza di ercezione, sentire un'anestesia? Mentre 'idea è semicemente non sensibie ( vaic'ov ), qui 'anestesia diventa tang ibie, è erceita come tae I carattere «bastardo de agionamento che erceisce, come in sogno, a xpa deriva da fatto che esso s embra mescolare insieme e due rime forme di conoscibiità, 'inteegibie e il sensibie Se Patone uò scrivere che a xpa artcia, anche se in modo difcie da aff errare, del' inteegibi e, ciò è eché idea e sazio comunicano attraverso l'assenza di
noi diciamo che è necessario che tutto ciò che è sia in un certo uogo e occui uno sazio (€v nv 'MQ Ka KaOV �av) e che ciò che non è né in cieo né i n terra non è nua ( 52 b)
È stato Diano i rimo a notare che i modo in cui Patone designa a conoscibiità dea x�a è aatto singoare. Non soo erché « tangibie (un aggettivo che egi usa atrov e escu sivamente er i cori sensibili) contrasta fortemente con «ane-
sensazione, come se 'anestesia che denisce negativamente 'idea acquisisse qui un carattere ositivo, divent asse una forma seciaissima di ercezione.
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Pltino, commentando il passo del Timeo, precisa che quando l'anima, con un ragioname nto bastardo, p ercepisce la materia, essa non pensa tuttavia nulla, ma riceve e patisce qualcosa: «Questo 18oç, questa passione dell'anima sarà come quando essa non pensa nulla? No, poiché quando non pensa nulla, non dice, anzi nemmeno patisce nulla. Quando invece pensa la materia, allora patisce un'aezione che è come l'impronta del senza forma (nov -o ÒJpqou)» (Ennead. Il, 4, I). Se Platone si era seito della metafora dell'impronta, scrivendo che la x�a, in modo difcile da dire e meraviglioso, «riceve un'impronta» (o8Év-a, Tim. 5 0 c) delle idee, qui la relazione s'inverte: sono le idee che rice-
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separate una cosa e l'altra (cioè l'idea e il sensibile) , nessuna delle due può allora entrare nell'altr a per diventare una sola cosa e, insieme, due (Ev OJ a -amòv ì o y tvctov) » (52 cd ). � termine xa signica i uogo, o spazio inoccupato che un corpo può occupare. Esso è etimogicamente connesso con vocaboi che signicano una privazione, ciò che resta quando si togie quacosa: xpa, vedova, e xpoç, vuoto. I verbo XÉ signica <
�
vono dell'amorfo.mistic che Pltino sembr Al un'impronta di là dell colorazione conferirle, decisivo è qui che l xfpa revochi in questione e neutralizzi l'opposizione semplice fra intellegibile e sensibile, che si rivela inadeguata. Nell'esposizione aporetica della teoria delle idee nel Parmenide, Platone aveva mos trato come l'assoluta separazione tra idee e sensibili (il pensarle xrpiç, separatam ente; Aristotele, riprendendo l'argomento per la sua critica, parlerà di un X tc6ç, di una separazione) conduca a conseguenze assurde. Alle porie del xrpiç e del XHç, Platone, forse rispondendo a critiche che già circolavan o nell'Accademia, dà, con un felice gioco di p arole, la risposta geniale della xfpa. Nel punto i n cui riusciamo anesteticamente e impuramente a percepire non s oltanto il sensibile, ma il suo aver luogo, allora l'intellegibile e il sensibile comunicano. Lidea, che non ha luogo né in cielo né in terra, ha luogo nell'a ver luogo dei corpi, coincide con es so.
Pltino dedicatoantiche ala teoria patonica deo spaziomater un intero trattato, che già lehaedizioni bricavano come Sul o Sue due materie (Ennead. 4). Egi accetta, infatti, la tesi aristotelica secondo cui Patone avrebbe identicat o o spazio e la materia («Patone dice ne Timeo che a materia UAT e a xfpa sono a stessa cosa>>, Phys 29 b, I 3); ma, in quanto si rende conto che a xfpa revoca in questione l'opposizione fra i sensbile e 'intelegibie, deve ammettere 'esistenza di due materie, una inteegibile, che riguarda e idee, e una terrena, che riguarda i sensibii. Ne « ragion amento bastardo» de Timeo, egi vede un tentativo di pensare 'assenza di forma dea xfpa attraverso 'idea di indenito (àoptc'ia). ragionamento che ne risuta è <> pe �ché esso è, nela stessa misura, un' inconoscenza (&vota) e un'afasia (àacia); e, tuttavia, esso contiene ancora quacosa di positivo: «Che cos'è questa indete rminatez za de'anima? Forse una inconoscenza e un'afasia? Op pure 'indeterminat ezza consiste in u n certo discorso positivo (Èv l'a<mt vi) e, come per 'occhio 'oscurità è la materia di ogni colore visibile , così 'anima, to giendo dae cose sensibii per così dire ogni uce, e non riuscendo più a denire ciò che resta, div\nta simie al a visione che si ha nell'oscurità e s 'identic a a que'oscurit à di cui ha come una visione>> (Ennead. 4, I) Poche pagine prima, egi sottoinea i carattere
quanto con inconsueta decisione righeÈdopo: «APlatone ciò chedice è veramente, viene in aiuto unpoche discorso vero per la su precisione, mostrando che, nché si tengono
impervio del pensiero dea materia come un procedere no a'abisso di ogni essere. Se ogni essere è composto di materia e forma, il pensiero che cerca di pensare la materia «divide questa duaità no a raggiungere un
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semplce che non può pù dvdere e, nella msura del possble, lo separa, gli dà spazo no all'absso (xwp EÌç tò 8oç). Labsso d ogn cosa è la materia. Per questo ogni materia è oscura, poché l linguaggio è uce e l pensero è lnguaggio. E poiché vede il inguaggio su ogni cosa, giudica che ciò che sta sotto di esso è tenebra, come l'occhio, che ha la forma della luce, guardando la luce e colori, ritiene oscuro e materiale cò che è nascosto dai colorÌ>> iv II, 4, 5) In quella che sembra la descrzione accurata di un'esperenza mstica, Plotino coglie n realtà l fatto inconfutabile che il ÀoycJ6ç bastardo che permette l'accesso alla xpa è ancora un'esperienza della lingua (Kat
le affezio ni di una sfera , non resta altro che a maeria. Per uesto Patone dice nel Timeo che la materia e la xpa sono la stessa cosa» (Phys. 209 b 6 1 1 ) . Che da arte di Ar istote e si tratti di un fraintendimento non sembra dubbio: non soltant o Platone non si serve er la denizione della xpa di un rocedimento astratti vo, ma Aristotee stes so s a erfettamente che, come scrive subito doo, a differenza della materia, i uogo uò essere searato dalla cosa («la forma e a ateria non si searano où xrpisEat dalla cosa, il uogo sÌ», ivi, 209 b 2223), mentre Patone ha cura di distinguere ogni volta i terzo genere dal secondo, o sazio dai cori sensibili ch in esso si generano.
nel limite della signiazione, al nudo darsi dela ingua corrisponde il puro aver luogo delle cose.
ia, che la concezione aristotelica delladella ma teriaÈ vero, è statatuttav così inuenzata dalla dottrina latonica xpa, che essa tende per molti asetti sovraorsi que sta; ma, anche se si volesse incautamen te accettare, come h fatto la tradizione successiva, dai neolatonici no a Car tesio, a tesi della oro identicazione, si dovrebbe tuttavia recisare che Platone ensa la materia non come res extensa, ma come 'aver luogo di ciascun coro. Laver luogo di un coro è ciò che, diverso dal coro, lo mette in ualche modo in raorto con l'intellegibile: er uesto l'idea l'intelegibilit à o la dici bilità d i ciascun en te ha uog o nell'ave r uogo del s ensibie
20. Come il fraintendimento del'idea come un «universae» ha comromesso la os sibilità di una sua corretta inter retazione, cosi l'identicazione aristote ica e neolatonica della xpa con la materia ha durevolmente inuenzato a storia dea sua ricezione. Ed è signicativ o che come il fraintendimento del'idea coincide con la sua confusione con l' astra zione (à
N Subto dopo il passo ctato, Aristo tele aggunge che «cò che è capa ce di partecipare (tò �EtaÀT1tK6v ) e la xpa sono la stessa cosa. Benché (Platone) chia m ciò che è capace di partecipare in modi divers nel Timeo e ne cosiddett nsegnamenti non scritt (€v tç ÀEYOVoç àyp> (Phys. 29 b I o- 6).
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Anche se i termine JE'UA1KOV non compare ne meo (Platone usa però, come abbiamo visto, per a partecipazione dea xrpa a'intelegi bie, un termine vicino: jE'UAj�avov), Aristotee sembra qui far rife riment o a una terminoogia corrente ne'Accademia per designare a xrpa come ciò che p ermette a parteci pazione de sensi bie a'inteegibie. Poche righe dopo, egi usa nuovament e il termine, questa volta per formuare un'obiezione: « A Patone si deve chiedere, se è ecita una digressione, perché e idee e i numeri non sono in un uogo, se i uogo è ciò che è capace di partecipae, che questo sia i grande e il piccolo oppure la materi a, come è scritto ne Timeo» (Phys. 29 b - 210 a 1). Se Patone, pur affermando che a xrpa permette una partecipazione «assai aporetica» de sensibie a'inteegibie, non smentisce a tesi secondo cui 'idea non ha uogo, ciò è perché, se 'idea avesse uogo nel-
la costruzione della geometria , la cui conoscenza e gli poneva fr a le condizioni necessarie per l'ingresso nell'Accademia. Per questo, subito dopo aver denito la xpa, egli mostra come il demiurgo vi produca gli ele menti attraverso triangoli isosceli e scaleni e secondo precisi rapporti numerici (Tim. 5 3 a 5 5 c). Tocchiam o qui le nozioni che stanno a l fondamen to della concezione platonica della scienza. Il «ragionamento>> del geometra (Joytc16ç secondo il signicato p revalen te del termine tant o in greco che nell'uso platonico dovrebbe trad ursi più esat tamen te con «calcolo») è bastardo cioè pertinen te insieme all'intel legibile e al sensibile perché
la xrpa, essa sarebbe aora come ritiene Aristotele, che vede infatt i nelle idee un inutil e dupicato dei sensibii un atro sensibile accanto a corpi generati. Se si ice, invece, che 'dea non ha un luogo propro, ma ha luogo nell'aver luogo dei sensibii, 'idea e il sensibie saranno, insieme, due e uno (Ja mnòv Kaì uo). Lidea non è né a cosa né un'atra cosa: a cosa stessa.
non riferisce a dei sensibili, loro sipuro aver immediatamente luogo nello spazio. A corpi differenza del ma alÀyoç delle lingue na turali e tuttavia contiguamente ad esso il Àoytcl6< della matematica permette di superare la «debolezza» dei nomi che ci dann o sempre insieme l'essere e la qualit à di una cosa grazie a un puro qu anto di signicazione, che signica, però, non una cosa o un concetto, ma solo il darsi, il puro «aver luogo» di qualcosa. La conn essi one essen zia le fra l a xrpa e la ling ua s i m ostra qui co n chiare zza : la xrpa lo s pazio e l'a ver luog o di cias cuna co sa è ciò che appare quando si tolg ono l'uno dopo l'altr o gli ele menti semantici del d isco rso vers o una dimens ione pura mente semiotica della ling ua, n on, però , in direzi one di una sc rittu ra, b ensì di una voce. La x rpa è, cioè, l a sog lia i n cui sem iotic o e sema ntic o, se nsib ile e intel legi bile, numeri e idee semb rano , per un istant e, co incid ere. Se l'idea cog lie, n el n ome, il li mite del s emantic o, i l9la
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Pierre Duhem, nella sezione del suo Système du monde dedicata alla teoria platonica dello spazio, suggerisce che il «ragionamento bastardo» di cui è questione nel Timeo non sia altro che «il ragionamento geometrico, che s i fonda tant o sulla VOTctç che, attraverso l'immaginazione che lo accompagna, sull' ic9ctç» (Duhem I 9 I 3, p 3 7 ). La straordinaria conoscenza delle teorie sc ientice di Duhem ha qu i colto, contro l'interpretazione misticheggiante dei neoplatonici, un punto essenziale della teoria della xpa. Va da sé, infatti, che Platone sapeva perfettamente, come Archita e i geometri suoi con temporanei, c he lo spazio è ciò che re nde pos sbile
tocc a, ne lla xrpa, il li mite del semi otic o.
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CHE COS' È LA FILOSOFIA?
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occorre prendere per ipotesi afnché si possano savare e apparenze dei pianeti erranti (ùtaqSfvat 'à 7EpÌ 'oç 1ÀaVOJ ÉVOUç
pre nela stessa direzione, savare e apparenze degi astri erranti (ivi, p p 2 5 27) . Se, nea prospettiva dea scienza patonica , e ipotesi matematiche devono contentarsi di savare e apparenze e non pretendere di identicarsi con a reatà, ciò è perché a mate matica si riferisce, in utima anaisi, a dei quanti di signica zione e non a degi enti reai Essa si situa su imite semiotico dea ingua, ma non può pretendere di scavacar o
che non possono essere trasformati in reatà senza formu are dele assurd ità (ivi, p 23) Per questo Si mplicio può affermare che i fatto che astronomi propong ano ipotesi diverse per spiegare uno stesso fenom eno non costituisce un probema: « È evidente che i fatto che e opinioni divergano quanto ae ipotesi non è un'obiezione Lo scopo che ci si propone è di sapere quali ipotesi ries cano a savare e apparenze Non bi sogna stupirsi se atri astronomi abbiano cercato di savare i fenomeni a partir e da ipotesi diver se Per savar e e irregoa rità, gi astronomi immaginano che ogni astro si muova con più movimenti; gi uni ipotizzano movimenti secondo eccen trici ed epicici, atri invoc ano e sfere omocentriche Ma come non si considerano reai e stazioni e i movimenti retrogradi dei pianti né e addizioni e sottrazioni di numeri che si riscontrano neo studio dei movimenti, anche se gi astri sembrano muoversi in quel modo, così una esposizio
Soo questapermette situazione dei ordine numerine e dee idee rispetto a inguaggio di far controverso probema di come Patone abbia inteso i rapporto fra le idee e i numeri Come ogni vota che in questione sono i co siddetti insegnamenti non scritti, e testimonianze antiche sono non meno contrastanti dee opinioni degi studiosi moderni Lo stesso Aristotele, che pure ci informa che Patone distingueva «accanto agi oggetti sensibii e ae idee, come medio (JE'alu) fra di essi, gi eementi matematici dee cose ( ' Ja9JanK 'v 7payrv), i quai diferiscono dai sensibii perché immobii ed etern i e dae idee perché ve ne sono moti simii, mentre ciascuna idea è in sé una e singoare sembra avvicinare i numeri e e idee n quasi a confonderi, quando aerma che «come i Pitagorici, Patone diceva che i numeri sono causa dea oa dee altre cose (Metaph. 987 Commento aa Meb 1425). Aessandro di Afrodisia, ne tafsica di Aristotele, identica decisamente idee e numeri:
ne conforme aa verità non considera e sue ipotes i come se fossero reai gi astronomi si contentan o di giudicare che è possib ie, attraverso movimenti circoari, unif ormi e sem
« numeri sonosono i primi fra rispetto gi enti ae E poiché e forme sono prime e e idee prime cose che esistono in reaz ione a esse e da esse ha nno 'essere [. . . ] (Patone) disse
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che e idee sono numeri ( 'à 1 pt8fo ÀyEv) [ ]. Inol tre le idee s ono principi dele atre cose, mentre principi dele idee, che so no numeri, sono i p rincipi dei numeri e princip i dei numeri dicev a essere 'unità e a duaità» (Aess adro di Afrodiia 1891, p 56) Contro di ui Simpicio obietta, però, non senza ragione, che «mentre è de tutto verosimie che Patone dicesse che principi di tutte le cose sono 'uno e a duaità i ndeterminata [ ] da ciò non può consegire che egi dicesse che a duaità indeterminata, che chiamava grande e piccolo intendendo con questo a materia, sia principio anche dee idee, da momento che egi imitava la materia a soo mono sen sibile [. . . e aveva de resto anche detto che le idee
semantico a un determi nato oggetto reae a matematica può apparire come a forma più pura de'ntoogia Di ui i ricorrenti tentativ i di identicare ntoogia e matematica, di cui un esempio recente è a tesi di Aain Badiou secondo cui, po icé «e mate matic he sono 'n tologia» (1 98 8, p 10), è possibie riscriv ere a osoa prima nei termini dela teoria degi insiemi Contro questa confusione di due piani prossimi, ma distinti, occorr e ricord are ce 'ntoogia ammesso ce abbia senso denire ne suo pensiero quacosa come un'ntoogia comincia prop riamente per Patone sotanto co piano dei nomi La sua losoa, ameno per quanto ci è dato sapere, si situa decisamente sul piano dela
sono conoscibii col pensiero e a materia invece credibie con un ragionamen to bastardo"» (Simi cio 8 2, p 1 5 1 ) La neutralizzazione dell a dicotomia fra idee e sensibii resa possibie dala xpa la quae è an che condizione di possibiità dea geometria e dela matematica conduce in Aessandro a un appiattiment o dei numeri sue idee, contro il quae reagisce fermamente Simpicio Le contraddizioni si risovono se si osse rva che idee e numeri ntoogicamente vicini sono tutt avia chiaramente distinti in quanto si situao rispetto a inguaggio in due diverse regioni Mentre e ide non possono staccarsi de tutto dai nomi, i simboi matematici sono ciò che risuta da puro darsi de inguaggio, essi sono, cioè, dei quanti di signicazione che esprimono i darsi dea reazione signicante tra inguaggio e mondo, senza alcua denotazione concreta Idea e numero, loso a e matematica si situano, cioè, in due diverse esperienze dei imiti de inguaggio: 'idea è i imite
lingua naturae e cerca di esso, s enza mai abbandonarlo, attraverso unorientarsi paziente einproungato esercizio diaettico per risaire in ut imo ale idee, che sono e restano omonime ai sensibili Naturamente anche a matematica presuppone i inguaggio (de matematica di un mondo senza inguaggio noi non sappiamo strettamente nua): essa non si situa però sempicemente, come a diaettica, a'interno de inguaggio, ma si tiene nea pura reazione fra ingua ggio e mondo, nea nuda signicazione s enza signicato A darsi dei corpi sensibii ne nome, corrisponde a oro pura posizione (8Écu;), i oro aver uogo nela xrpa. I quanto guardano entrambi aa conoscibiità de mondo, i matematico e i osofo dimorano vicinissimi: diverse e difcimente comunican ti sono, p erò, come per il p eta e i osofo, e esp erienze de inguaggio in cui essi SI muovono
de semantico, mentre i numero è i imite de semiotico In questo seso in quanto esprime a nuda reazione semiotica fra ingu aggio e mo ndo a di qua di ogni riferimento
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CHE COS' È LA FILOSOFIA?
paolina secondo cui «Dio è tutto in tut te le cose» in senso radicalmente panteista e, insieme, come uno svolgimento teologico della do ttrina plat onica della xrpa. La fonte che gli attr ibuisce la tesi panteista, ne irride le consegue nze: se Dio è tutto in tutte le cose, allora Dio è p ietra nella pietra, talpa nella talpa e pipistrello nel pipistrello e dovremmo, allora, adorar e la talpa e il pipistrello. anonimo polemi sta cita, però, poco dopo le tesi di Amalrico he ci per mettono di interpretare correttamente la sua intuizione e di riportarle alla loro fonte platonica : « Tutto ciò che è in Dio, è Dio; ma tutte le cose sono in Dio . . . dunqu e Dio è tutte le cose». Dio è tutte le cose, perché, come la xrpa,
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è Dio stesso accessibile ai sensi al di là di se stesso, come hanno detto Platone, Zenone , Socrate e molti altri, allora la materia del mondo è Dio ste sso, e la forma che avviene alla materia non è altr o che Dio che fa se stesso s ensibile». Attraverso la mat eria xrpa , Dio e l a mente si iden ticano. Solo nella prospettiva panteista del venir meno dell'opposizione fra Dio e il mondo, la teoria della xrpa trova la sua verità ultima ; e, pe r converso, solo se lo si fon da in una teoria della xrpa, il panteismo acquista il suo au tentico, imparegg iabile s enso.
è il luogo di tutte le cose. è in èciascuna cosa come il luogo in cui ciascuna cosaDio è egli l'averluogo di ogni ente e, per questo e soltanto per questo, si identica con esso. Divine non sono la talpa o la pietra: divino è l'es ser talpa della talpa, l'ess er pietra della pietra, il loro puro aver luogo in Dio. Di Davide di Dinant, la lettura delle cui opere viene pro bita nel I 2 I 5 dagli statuti dell'università di Parigi insieme a quelle degli Amalriciani, ci è stato conservato, tra i fogli dei suoi Quateuli che riguarda no soprattutto questioni di sica e d i medicina, lo s traordi nario fram mento che gli edi to ri hanno intitolato Hyle mens deus, «Materia, mente, dio». Qui, con un colpo di genio che T ommaso denisce « follia», egli aferma, allegando l'autorità del passo sopracitato del Timeo, 1' assoluta identità di Dio, mente e materia ( UÀ se condo la tradizione postaristotelica, nomina qui la xfpa): «Da ciò si de duce che la mente e la materia sono la stessa
Il dicibile cono sce una non precaria resurrezione nel XIV secolo con Gregorio da Rimi ni. I loso e i teologi discute vano se l'oggetto della conoscenza fosse la proposizione (il plesso linguisticomentale in cui essa si esprime) o una realtà extra animam. Tra i due termini di questa falsa alternativa il genio di Gregorio inserisce un tertium: il vero oggetto della conoscenza e, di conseguenza, la v erità di cu i ne va nel lin guaggio non è la proposiz ione ('enunttum) né un ogget to esistente fuori della mente, ma l' enuntbile o il complexe signcabile o il signicato della proposizione, il cui partico lare modo di esser e egli si sforza di denire al di là dell'essere e del non ess ere, della mente e della realtà extramenta le. In un passo delle Categorie ( I 2 b 5-I 6), Aristotele aveva scritt o che mentre l'af ermazione e la nega zione (ad esempio: «sie de» o «non siede») sono dei discorsi (Ayot), la cosa (npya) che
cosa. Con ciò concorda Plato ne,parlo doveedice è e un dio sensibil e. La mente, di cui che che afferil mondo mo esser una e impassibile, non è altro che Dio. Se dunque il mondo
è«l'es in questione (che essere Aristotele esprime innito: ser seduto»inoesse il «non seduto») non con è unl' discorso. Commentando questo passo, Gregorio ne deduce ch e vere o
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fas nn sn prpsizini nmmn cs rai, ma 'nunciabi i signicabi ch, su'smpi di Aristt, gi sprim cn una prpsizin inniti va «'ssr um asin» «i nn ssr 'um asin». Dcisiv è qui i md in cui Grgri cncpisc 'ssr di qust tertium, ch, in quant nn cincid né cn a prpsizin né cn ' ggtt strn, rischia di apparir cm un nua. La «csa» ch è in qustin na rpsizi n vra «'um è bianc» nn è suggrisc Grg ri né a csa «um» né a csa «b ianc», né a r cngiunz in gica attravrs a cpua, bnsì una res sui generis «' s sr um bianc», ch nn sta né na mnt n na r atà, ma è Csì, in quach a didla à d'sis tnza «Di da nn sistnza anchmd n cas tsi mtasica: è (Deus est)», 'nunciabi ( complexe signifcabile) ch crri spn d «Di ssr» (Deum esse) «nn è a tr, ciè un'atra ntità risptt a Di (alia entitas quam Deus) , tuttavia, nn è Di, né, in gnra , acuna ntità» (Sent., I, dist. I, quast. r, art. ; cfr. Da Pra 1974, p. 14 6). È curis ch gi strici da sa ch s n ccupti d prbma non bbiano rlevat 'evidene connessione terngic col AK'ÒV e co diciile del trdizioe stoc (che, trte l Dleadi Agostin, no erno inoti a Mediev). Essi fermano che signcbiled Grerio impca usistea del tuto partcar, ch «nn cincid né cn ntità d mnd strn né cn smpici ntità mntai cstituit dai trmini da prpsizini, ma dà ug a un mondo dei signcati» (Da Pra 1 97 4, p. 14 5 ) ; ma nn si accr n ch ciò ch qui riafra aa cnsapvzza s ca è id stss ch prbma cn cui Patn si ra attravrs gi stici avvan riprs c misurat r dicibi. La v rità ch si sprim n ingu aggi , piché ni nn abbiam
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atr md di sprimra, a vrità di cui n va pr ni umini paranti nn è né un fatt ra né un nt stant mnta, nppur «un mnd di signicat»: è, piutt st, un'ida, un puramnt dicibi, ch nutraizza radicamnt strii p psizni mnta/ra, sistnt/nn sistnt, signicant/ signicat E qust nn at r è 'ggtt da sa d pnsir � Molti ecoli dopo, il complexe s ignicabile di Gregorio da Rimini riappare nella ua formulazione for e terminologicamente pi ù inventiva in Alexiu Meinong Queto allievo di Brentano, che cele lo peudonimo Meinong per nacondere la ua appartenenza alla nobiltà,
i propone di denire una diciplina «che n allora non era ai tata concepita, coè una cienza «che elabora i uoi oggetti enza liitar i al cao particolare della loro eitenza (Meinong 1921, p 82) Egli chiama «oggettivi (Objektive) queti oggetti puri della conocenza, che delimtano una regione della realtà indiff erente al problema dell eitenza (daseinsfrei) e per i quali vale pertato laioma: <<i danno ogetti per i quli è vro ch gget del genre non i anno. Anche inon cglie a volte i uoi empi fra i conctti impoibili come la monana d'oro», l o la ch imra, egl chiama per cclnza oiivi>> qui connuti dll prpoizioni (<> o < blu non ie>) la cui coninza gi, come i uoi prdcoi medievai, non itua né in re né nlla n, a in una no man 's land che egli chiama <
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loso ca rubrica in una posizione quanto meno marginale. Eppure ne <
Sullo scrivere proemi
Nea Terza lettera (3 1 6 a), Pat one dichiara di «essersi occupato abbastanza seriamente dei proemi dee eggi (nepì trv v6 .v cnouùcavta JEtp i rç)». Che si trattasse di egi una aggiunge vera e propria attività«Ho di scrittura, risuta quanto poco dopo: sentito dire cheda in seguito acuni di voi hanno rieaborato questi proemi, ma a diversità fra e due parti [ quea scritta da me e quea rieaborata da atri] apparirà chiara a chi sa riconoscere i mio carattere (tò ÈJÒV �Oç)». Se si considera che, nea Settima lettera Patone sembra gettare un sospetto di scarsa serietà su ogni tentaivo di mettere per iscritto argomenti losoci (i sospetto potrebbe riguardare anche i suoi dialoghi), è possi bile che egi fosse convinto che a redazione di quei proemi (che gli apparteneva, come suggerisce, in modo inconfondibe) fosse tra e poche scritture serie che egli aveva prodotto nea sua unga vita. Queste scritture sono, purtroppo, perdute. Nelle Leggi, una dee sue opere più tarde, Patone, gio cando su doppio signicato di e VOJoç («composizione musi cae canta ta in onore di un dio» «egge») , torna a problema dei proemi dee eggi (e questo fa pensare che a ettera sia
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CHE COS ' È LA FILOSOFIA?
Patone verso 'enunciazione di teorie e di opinioni vere e i suo ricorrere di preferenza al mito piuttosto che a'ar gomentazi one logica. La paroa osoca è es senziament e e costitutivamente proemiae. Essa è 'eemento proemie che deve essere presente in ogni discorso umano. Ma se i proemio dea egge pr ecede e introduce la parte normativa dea egge e prescrizion i e i divieti di che cosa a paroa osoca costituisce i proemio? Secondo una tradizione che studiosi moderni hanno ri preso, accanto agli scri tti essoterici di Patone - i diaoghi nell'Accademia dottrine esoteriche, che ilcircolavano osofo avrebbe formulatodee in forma assertiva. In quest prospettiva, i dialoghi che conosciamo potrebbero essere considerati come proemi e introduzioni ale dottrine esote riche che gi stu diosi cercano di ricostruire in form a neces sariamente discorsiva. Se, tuttavia, quanto Plaone dice nee Leggi deve essere preso su serio, se il carattere di proemialità è consustanziae aa osoa, aora è impro babie che eg i abbia potuto formulare in f orma assertoria e dottrine che gi stavano più a cuore. Anche e dottri ne esoteri che - ammesso che esse esistessero - dovevan o avere una forma proemiae . N e soo testo cons ervato in cui si rivoge a degi intimi per esporre i suo pensie ro - la Settima lettera - Pato ne non solt anto escu de d poter mettere per scritto o anche soo comunicare in forma di scienza ciò che gi sta veramente a cuore, ma a celebre digressione losoca (che egi chiama «discorso vero», ma anche «mito e divagazione ju8oç Kaì nÀvoç») che egi introdu ce a questo punto per spiegare perché ciò sia impos sibile, è formuata in termini così poco argomentativi che
SULLO SCRIVERE PROEMI
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essa è sta ta sempr e conside rata a torto o a ragi one come un testo mistico particoarmente oscuro. I carattere proemiale dela paroa osoca non signi ca, pertanto, che esso rmandi a un discorso losoco ost roemiale , ma si rifer isce aa natura stessa del inguag gio, alla sua «debolezza» (otà tò tv Àyrv àc8véç, Pat Epist. VII, 343 a 1 ) ogni vota che esso sia chiamato a con frontarsi con i probemi più seri. La osoa è, cioè, proe mio, non a un atro discorso più osoco, ma, p er così dire, a inguaggio stesso e aa sua inadeguatezza. Ma, proprio er questo rop in quanto, essoroemiale dispone di una consistenza ingistica ria, che cioè, è qella - il discorso lo soco non è un discoro mistico, che, contro i linguaggio, prenda partito per l'ineffabile. La losoa è, cioè, quel di scorso che si limita a far da pr oemio al discorso non os o co, mostrandone 'insufcienza. Cerchiamo di svogere a di là de contesto platonico la tesi dela natur a proemiae de discorso osoco. La o soa è quel discorso che riporta ogni discorso a proemio. Generaizzando, si potrebbe dire che a osoa si identi ca con l'eemento proemiae de inguaggio e si attiene ri gorosamente ad ess o. Evita, cioè, di tra pass are in discorso o in comando, di enunciare sriamente tesi o proibizioni. (La criti ca paolina de «comando» ÉvtoÀf - dea eg ge nel a Lettera ai Romani può essere vista come un tentativo di puricare la egge da comando per riportara aa sua natu ra proemiae, cioè persuasiv a). uso de mito e dell'ironia in Platone va v isto in questa prosp ettiva: es so ricorda a chi
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oÈ
LA FILOSOFIA?
parla e a chi ascolta il carattere necessariamente proemiale di ogni discorso umano che abbia a cuore la verit. ele mento losoco in un discorso è quello che testimonia di questa consapevolez za, non nel senso dello s cettic ismo, che mette in questione la st essa verit, ma in quello della ferma intenzione di attenersi a carattere necessariamente proe miale e preparatorio di ci che si va dicendo. Anche il proemio, tuttavia, per quanto cerchi srupolosamente di mantenersi nei propri imiti, non pu, alla ne, che mostrare la sua insufcienza, che coincide, del resto, con la sua natura prelimi nare e, quindi, pe r forza di cose inconcludente. Ci appare con chiarezza pro prio alla ne dele Leggi, quando, dopo aver trattato apparentemente ogni dettaglio della costituzione della citt e dela vita dei cittadini, il dialogo si conclude nela consapevolezza che il più important e resta ancora da fare. Secondo un gesto caratteristico del tardo Platone, questa tesi viene formulat a nella forma ironica di uno scherzo e di un gioco di parole: «N on è p ossibie» spieg a l'Ateniese «l egifera re su queste cose, se prima non si è fatto ordine; solo allora si potr legiferare su chi deve avere l'autorità suprema. L a dottrina sulla preparazio ne di q ueste cose pu infatti riuscir bene, solo dopo un lungo stare insieme (1oÀÀlV cuvouav, le stesse parole in cui la Settima lettera compendia a condizione del raggiungimento della verit), [. . . ] non sarebbe giusto, per, dire che le cose che ri guardano questo argomento siano indicibili (à1ppra): esse sono piuttosto impredicibili (à7pppTta, che non si possono dire prima), in quanto, predicendole, (7poppT9Évta) non si mette null a in chiaro» (96 8 e). La natura proemiale del dialogo viene così ribadita, ma, insieme, si afferma che solo un discorso che venga dopo cioè u n epil ogo è quello decisiv o. a losoa è cost i
SULLO SCRIVERE PROEMI
131
tutivamente proemio e, tuttavia, l'affare dela losoa non è l'indicibile, ma l'impredicibile, ci che non pu essere detto in un proemio; adeguato allo scopo, cioè veramen te losoco, sarebbe soltant o un epilogo. Il proemio deve trasfomarsi in epiogo, il preludio in postludio: in ogni caso, per, il Àyoç è assente, il non pu che mancare. Tutto quelo che il losofo scrive tutto quello che ho scritto non è che un proemi o a un'opera non scritta o che è, in fondo, lo stesso un postludio il cui ludus è assente. La scrittura losoca non pu che avere natura proemiale o epilogae Ciò signica, forse, che essa non ha a che fare con ciò che si può dire attraveso i lingua ggio, m a co Àyo stesso, col puo darsi del linguaggio come tale. evento, che è in questione nel linguaggio, pu es sere solo annunc iato o congedato, m ai detto (n on che esso sia indicibile indicibi le signica solo impredicibile; esso coincide, piuttosto, col darsi dei discors i, col fatto che gli uomini non cessa no di parlarsi 'un l'altro). Ci che del linguaggio si riesce a dire è solo prefazione o postilla e i loso si distinguono secondo che preferiscano la prima o la seconda, si attengano al momento poetico del pensiero (la poesia è sempre annuncio) o al gesto di chi, in ultimo, depone la lira e contempla. In ogni caso, ci che si contempla è il nondetto, il congedo dalla parola coincide con il suo annuncio.
Appendice La musica suprema. Musica e politica
I.
La losoa può darsi oggi solo come riforma della musica. Se chiamiamo musica l'esperienza della Musa, cioè dell'srcine e de ll'aver luogo della parola, allora in una certa società e in un certo tempo la musica esprime e governa la relazione che gli uomini hanno con l'evento di parola. Questo evento, infatt i cioè l' arcievento che costituisce l'uomo come essere par lante non può essere detto all'intern o del linguaggio: può s otanto essere evocato e rammemorato musaicamente o musicalmente Le muse esprimevano in Grecia questa articolazione srcinar ia dell'evento di p arola, che, avvenendo, si destina e compartisce in nove forme o modalità, senza che sia possibile per il parlante risalire al di là di esse. Questa impossibilità di accedere al luog o srcinari o della parola è la musica. In essa viene all'espressione qualcosa che nel ling uaggio non può essere detto. C om'è immediatamente evidente quando si fa o si ascolta musica, il canto celebra o lamenta innan zitutto una impossibilità di dire, l'impossi bilità dolorosa o gioiosa, in nica o elegiaca di acced ere all'evento di parola che costituisce gli uomini come umani.
APENDICE
N inno ae Muse, che fa da proe io ala Teogonia di Esiodo, mostra che i poeti sono per tempo consapevoi de probema che pone l'niio de anto in un contesto musaco La doppia struttra de proemio, che ripete d e vote 'esordio (v 1 «Dale Muse eiconie coinciao> >; v 36 <) n on è dovta sotanto, come ha ac tamente suggerito Pau! Friedlnder (1914 pp 1416) ala necessità di intodrre 'inedito episodio de'incontro dl poeta con e Muse in una strttura nnica tradonae in cui esso non era assoutamente previsto Vi è, per questa inaspettata ripetiione, n'atra e più signiativa ragio ne, che concerne a stessa presa di paroa da parte de poeta, o, più preci samente, a posiine del'istana enunciativa in n amito in cui non è ciaro se essa spetti a poeta o ae Muse Decisivi sono i v. 2225, in cui, come non hanno mancato di notare gi studiosi, i discorso trapassa ruscamente da una narraione aa tera persona in un'isana enunciativa contenente o shter <> (una prima volta a' accusativo f - e poi, nei versi sccess ii, a dativo Ot):
Esse ( e Mse) na volta (n-) insegnaono a Esiodo n be canto mentre pasceva gl arenti sotto il divino Elicona: questo discorso nanzitutto ) a mef rvosero le dee [. ] Si tratta, secondo ogni evidena, di inserire 'io del poeta come sog getto del'ennciaione in un contesto in cui l'iniio del canto appartiene incontestaimente alle Muse ed è, tuttavia, proferito dal poeta: Mourv pxfJea, <<oinciamo dae Mse>> o, megio, se si tiene conto della forma m edia e non attiv a de verbo: «Da e Muse è l'ini io, dale Muse iniiamo e siamo iniiati>> le Muse infatti, dicono con voce concorde <> e i canto <> (v v 3 840 ). I contrasto fra l'srcine musaica dela paro la e 'itana soggettiva de'ennciaione è tanto più forte, in quanto tutto il resto del 'nno (e dell'intero poema, salvo a ripresa ennciativa da parte del poeta nei vv 963 965 <>) riferisce i forma narrativa la nascita dee Mse da Mnemosine, che si unisce per nove notti a Zeus, eenca i oro nomi che, a questo stadio, corrispondevano a n geere lettrario determinato (<
LA MSICA SPREMA. MUSICA E POLITICA
137
tutte>>) e descrive il loro rap porto con gi aedi (vv 949 7 < > srcine dela paroa è m usaicamente cioè musicalmente deterinata e il soggetto parlant e il poeta deve ogni vota far e i conti con a probematicità de proprio iniio Anche se a Musa ha perduto i signicato cutale che aveva nel mondo antico, i rango dea poesia dipende ancora oggi dal modo in cui il poeta r iesce a dare forma musicae alla difcoltà della sua presa d parola a come, cioè, perviene a far propria una paroa che non gli appartiene e ala quale si i mita a prstare a voce
2.
La M usa canta, dà al'omo i canto perché essa simboeg gia l'impossibilità per l' essere parlante di appropriarsi int egralmente del lingaggio di cui ha fatto la sua dimora vita le. Quest a estraneità mar ca la dstanza che separa il canto umano da quelo degli altri esseri viventi. Vi è musica, l'uomo on si limita a parlare e s ente, invece, il bisogno di cantare perché il linguaggio non è la sua voce, p erché egli dimora nel linguaggio senza poterne fare la sua voce. Cantando, l'uomo celebra e commemora la voce che non a più e che, come in segna il mito delle cicale nel Fedro, potrebbe ritrovare solo a patto di cessare di essere uomo e diventa re animale ( «Quando nacquero le Muse e apparve il canto, alcuni degli uomini di allora furono presi da un tale piacere, che, cantando, non si curavano più di mangiare e di bere e morivano senza accorgersene. Da quegli uomini ebbe srcine la stirpe delle cicale [... ]», 259 b). Per ancora questo che alladelle msica corrispon donoemotiv: necessariamente prima parole, delle tonalità equi
APPENDICE
danza) con la politica era così stretta che, nella Repubblica, Platone può sottoscrivere l'aforisma di Damone sec ondo cui «non si poss ono cambiare i modi musicali senza cambiare le leggi fondamental i della città» (424 c). Gli uomin i si unisco no e organizzano le c ostituzioni delle loro città attraverso il linguaggio, ma l'esp erienza del linguaggio in quanto non è possibi le affer rarne e padroneggiarne l'srcine è a sua vol ta già sempre musicalmente condizionata. infondatezza del /ç fonda il primato della musica e fa sì che ogni discorso sia già sempre musaicamene accordato. Per questo, ancor prima che atraverso tradizioni e precetti che s i trasmettono nel medio della lingua, gli uomini in ogni empo vengono più o meno consapevolmente educati e disposti politicamene aravero la musica. I Greci sapevano perfettamene ciò che noi ngiamo di ignorae, e, cioè, che è possb ile manipolare e controllare una società non olanto atraverso il linguaggio, ma innanzitutto atraverso la musica. Come altretanto e più efcce del comando dell'ufciale è, per il soldato, lo squillo della tromba o il rullo del tamburo, così in ogni ambito e prima di ogni discorso, i sentimenti e gli stati d'animo che precedono l'azione e il pensiero sono d e terminati e orien ati musicalmente. I n questo senso, l o sato della musica (includendo in questo termine tuta la sfra che imprecisamente deniamo col termine «arte») denisce la condizione poliica di una determinata società meglio e prima di qualsiasi alro indice e, se si vuole mutare veramente l'ordinamento di una città, è innanzi tutto necessario rifor marne la musica. La cativa musica che invade oggi in ogni istante e in ogni luogo le nostre città è inseparabile dalla cat tiva politica che le governa.
LA MUSICA SPREMA. MUSICA E P
OLITICA
N È sgncatvo che a d Arstotee s concluda con un vero e propro tratta to sua musca o, puttosto, su'mport anza dea musca per 'educazone poltca de cttadn. Arstotee comnca nfatt co dcharare che s occuperà dela musca non come dvertmento (7aÒ), ma come parte essenzae de' educazone (7a8da), n quanto, coè, essa ha per ne a vrtù: «come la gnnastc produce una certa qualtà de corpo, così a musca produce un certo > > ( 1 33 9 a, 24) Il motvo centrae dela concezone ars toteca È evdente della musca è 'nuenza che essa esercta su'anma: << che no samo affett e trasformat n un certo modo da dvers gener È opnod musca, come, n partcoare, dae meode d Ompo. ne comune che queste rendano 'anma entusasta (1o: tàç \Xç év9ou
a rtm cua9e'ç), e ale meodaanche entrano n uno stato yvovta macanza delled'amo parole>>empatco (1340 a, 51
(yi r ).
Cò avvene, spega Arstotee , perché rtm e e melode cotengono dee mmagn (6Jojta) e delle mtazon (Jq.wta) del'ra e dela mtezza, de coragg o, dela prudenza e delle atre quatà etiche. Per questo, quando ascotiamo l'anma è affetta n forme dverse n corrspondenza d cascun modo muscae: n modo <<amentoso e costretto>> ne msodio, n uno stato d'anmo < > ne dorco, <> ne frgo (1 340 b 5 ) Eg accetta così la casscazone dee meode n etche, pratche e entu sastiche e raccomanda per 'educazoe de govan modo dorico, n quanto <> (cta> Terpandro, che, co suo canto, resttuì ordne alla cttà. Lo stesso s diceva d Stescoro rspetto ae otte ntestne nela cttà d Locr.
APPENDICE
4·
Con Platone, la loso a si afferma come critica e superamento dell'ordinamento musicale della poli ateniese. Questo, impersonato dal rapsodo Jone, che pende invasato dalla Musa come un anello di metallo da una calamita, impica l'impossibilità di dar ragione dei propri saperi e delle proprie azioni, di «pensarli». «Questa pietra (la calamita) · non solo attrae gli anelli di ferro, ma infonde loro anche la capacità di fare quello che fa la pietra, cioè attrarre altri anelli, in modo che si produrrà una grande catena di anelli appesi l'uno all'altro, per ciascuno dei quali questa capacità dipende dalla pietra. medesimo modo la Musaqesti riempie alcuni uominiNel di ispirazione divina anche e atraverso si salda una catena di ar i uomini parimen i entusiasti [ . . . ] o spettatore non è che l'ult imo degli anell i [ . . . ] l'anello di mezzo sei tu, il rapsodo, men tre il primo è il poeta stesso [ . . . ] e un poeta si agganci a a una certa M usa, u n altro a un'altra e in tal caso diciamo che è possedu to [ . . . ] inatti tu non dici ciò che dici di Omero per arte e scienza, ma per una sorte divina (Sd fOp) [.. . ]» (lat. fon 5 3 3 d 5 34 c). Di contro alla natùeia musaica, la rivendicazione della losoa come «la vera Musa» (Resp. 5 48 b 8) e «la musica suprema» (Phaid 61 a) signica il te ntativo di risalire al di là dell'ispi azione verso quell'evento di parola, la cui soglia è custodita e sbarrata dala Musa. Mentre i poeti, i rapsodi e, più in generale, ogni uomo virtuoso agisce per una Sea JOpa, un destino divino di cui non è in grado di dar conto, si tratta di fondare i discorsi e le azioni in un luogo più ori ginario dell'ispirazione musaica e della sua 1avia. er questo, nella Repubblica (499 d), Platone pò denire la losoa come a' Mouca, la Musa stessa (o l'idea della
LA MUSICA SUPREMA. MUS
ICA E POLITICA
1 43
Musa amç seguito dall'articolo è il termine tecnico per esprimere 'idea). In questione è qui il luogo proprio della losoa: es so coincide con quello della Musa, cioè con l'origine del la parol a è, in questo sens o, necessariamente proemiale. Situandosi in questo modo nell'evento srcina rio del linguaggio, il losofo riconduce l'uomo nel luogo del suo divenire umano, a partire dal quale soltanto egli può ricordarsi del tempo in cui non era ancora uomo (Men 86 a: ò xpvoç (' o'K �v &vSpoç). La losoa scavalca il prin cipio musaico in direzione della memoria, di Mnemosi ne come madre delle Muse e in questo modo libera l'uomo dalla Sea JOpa e rende possibile il pensiero. Il pensiero è, infatti , la dimensione cheche si apre quando, risalendo al di làciòdell'ispirazione saica non gli permee di conocere che dice, l'uoo divena in qualche modo auctor, cioè garante e testimone delle proprie parole e delle proprie azioni. N Decsvo è, però, che, nel Fedro, l compto losoco non sa afdato semplcem ente a un sapere, ma a una fo rma specale d mani, afne e nseme dversa dalle altre. Questa quarta spece d mana, nfatt la mana erotca non è omogenea alle altre tre (la profetca, la telestca e la poetca), ma se ne dstngue essenzalmente per due caratter. Essa è, nnanztutto, congunta all'automovmento dell'anima (amoKVTtov, 245 c), al suo non essere mossa da altro e al suo essere, per questo, mmorta le; è, noltre, un'operazone della memora, che rcorda cò che l'anma ha vsto nel suo volo dvno («questa una remnscenza (àvJVTç) d quanto la nostra anma ha vsto una volta . », 249 c) ed è questa anam nes che ne densce la natura («questo è l punto d arrvo d tutto l dscorso sulla quarta mana, quando qualcuno vedendo qualcosa d bello e rcordandos d el bello vero [ . . ]••, 29 d). Quest due caratter la oppongono puntualmente alle altre forme d mana, n cu l prnc po del movmento è esterore (nel caso della folla poetca, la Musa) e l'sprazone non è n grado d rsalre con la memora verso cò che la .
.
APPENDICE
eterma e a parlar e A sprare, qu , o soo pù le Mse , ma la oro mare, Memose. Platoe verte, coè, l'sprazoe memora, e uesta iersoe ella Sa !Ìpa - el esto i memora e sce l suo gesto losoco. I ato maa che move e spra se stessa, la maa losoca (perché esto s trata: «Solo la mete e losofo mette le al», 249 c) è, per co sì re, ua maa ella maa, ua maia ce ha er oggetto la stessa maa o spirazoe e attge, pertato, l luogo stesso el prcpo musaco. Quao, alla e el Menone (99 e 10 b), S ocr ate afferma che la vrtù poltca o è é per atura (> (Otto 1 9 4, p. 7 1) . La parola che la Musa oa al poeta provee alle cose stesse e la Musa o è, questo seso, che l isciuers e l comcars ell'essere. Per questo e rafgurazio pù atche ella Musa, come la stupea Melpomee al Museo azioale palazzo Massmo a Roma, a presetao semplcemee come ua ragazza ela sua peezza fae. Rsaleo o al prcpo musaco ella parola, losofo eve, coè, msurars o soltato co quacosa di liguisco, ma ache e iazi tutto con l'essere stesso che la parol a rivela.
LA MUSICA SPREMA. MUSICA E POLITICA
5
ca ne nostro tempo deve esordire daa costatazione che è proprio questa esperienza dei limiti musaici che in essa è venuta a mancare. I inguaggio si dà oggi come chiacchiera che non urta mai i proprio imite e sembra aver smarrito ogni consapevoezza de suo intimo nesso con ciò che non si può dire, cioè co tempo in cui 'uomo non era an cora parante. A un inguaggio senza margini né frontiere corrisponde una musica non più musaicamente accordata e a una musica che ha votato e spale aa propria srcine una politica senza consistenza né l uogo. D ove tutto sembra indifferentemente potersi dire, i canto viene meno e, con questo, e tonait à emotive che musaicame nte o articolano. La nostra società dove a musica sembra penet rare f reneticamente in ogni uogo è, in reatà, la prima omunità umana non musaicamente (o amusaicamente) accordata. La sensazione di generale depressione e apatia non fa che registrare a perdita del nesso musaico con i inguaggio, travestendo come una sindrome medica 'ecisse dea poli tica che ne è i risultato. Ciò signica che i nesso musaico, che ha smarrito a sua reazione con i imiti de ing uaggio, produce non più una Se'a �òpa, ma una sorta di missione o ispirazione bianca, che non si articoa più seondo a puraità dei contenuti musaici, ma gi ra per così dire a vuoto. Immemori della oro srcinaria solidarietà, inguaggio e musica dividono i oro destini e restano tuttavia unti in una medesima vacuità.
5·
Se la musica è costitutivamente legata a'esperienza dei limiti de inguaggio e se,questa, viceversa, 'esperienza dei limiti te de lingua ggio e, con la poit ica è musicamen condizionata, alora un'analisi dela situazione dea musi
N È questo seso che la losoa può ars ogg soltato come rorma ella msca. Poché l'ecsse ela oltca fa tutt'uo co la
perta ell'espereza el musaico, l compto poltco è ogg costtutvamete compto oetco, rspetto al qale è ecessaro che arst e loso scao le loro orze. Gi uom oltc attal o soo
APPENDICE
i grado di pesare perché tato il lor o liguaggio che la oro musica girano amusaicamete a vuoto. Se chiamiamo pesiero lo spazio che si apre ogi vota che accediamo all'esperieza del principio musaico della paroa alora è co l'icapacità di pesare del ostro tempo che dobbiamo misurarci E se, secodo il suggerimeto di Haah Aredt, il pesiero coicide co a capacità di iterrompe re i usso isesato delle frasi e dei suoi, arrestare questo usso per restituiro al suo luogo musaico è oggi per eccelleza il compi to losoco .
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Usener, Hermann r 896 Gtteamen Versuch einer Lehre von der religisen Begriffs bildug Klostermann, Frankfurt am Main 2ooo; trad. it. I nomi degli dèi a cura di M. Ferrando, Morceiana, Brescia 28. Wittgenstein, Ludwig 1921 Tractatus logico-philosphicus e Quade i I9I4-I9I6; trad e introduzione di A G Conte, Einaudi, Tor ino1997. 1977
Vermishte Bemerkungen Suhrka, Frankfurt a Main.
Indice dei nomi
Abeardo, Pietro, 96-97 Agostino di Ippona, 65-66, I20 Alessandro di Afrodisia, 6o, I I - I I 2 Amalrico di Bène, 54, I I 7- I I 8 Ammonio di Ermia, 3 , 35 , 4I-42, 6o
,
62, 6
Cartesio, I05, II 6 Cherniss, Harold, 74 Cinesia, I 3 8 Colli, Giorgio, 4 3 Courtenay, Wiiam ].,
97
Andronico di Rodi, 6 Antistene, 8485 Arendt, Hannah, I46 Aristofane, I 3 8 Aristotele, I 6I 8, 20, 22, 28
Da Pra, Mario, 20 Damone, I38, qo Davide di Dinant, 54, I I 8 Derrida,Jacques, 3 5 Descartes, René, v. Cartesio Diano, Carlo, IOI Diogene Laerzio (Diogenes Lartius), 69 Duhem, Pierre Maurice Marie, Io6, I IO Duns Scoto, 2 3
Badiou, Alain, I I 3 Bekker, August Immanuel, 74 Benjamin, Water, 50-p, 5 9, 84, 9 8 Benveniste, Émie, I9, 23, 26, 28-29,
Eckhart von Hochhei (Meister Eckhart),
-3 3, 3 5. 3 8, 5 I, 54, 6o-62, 68, 70 79, 82, 90-93, 98-1 00, I02, I 04-I06, I09, I I9-I 20, I36, I39, I4I Arnim, Hans von, 65, 69, 89
39, 8o-8I, 88,
90 , 98
Boezio, Anicio Manio Severino, Bonaventura da Bagnoregio, 97 Bopp, Franz, 2 5 Borromeo, Carlo, I39 Bréhier, Émile, 65, 69 Brentano, Franz, I2I Buber, Martin, 5 9
93-94
24
Eracito, 9 I Esiodo, I36 Euclide, Io8-I09 Eustazio, 6o Federico II, I 4 Filopono, Giovanni, 6o-6 I Frege, Gottlob, 64, 78, 83 Friednder, Pau!, I 36 Frinide, I 38
q6 Galilei, Vincenzo, I39 Giambico, 6 I Gregorio da Rimini, I I 9- I 2 I Gntert, He rann, 84 Hegel, Georg Wilhe Friedrich, 2 5 26, 40
Heidegger, Martin, 70 Herz, Marcus, 8 8 Hoffann, Ernst, 9 I
INDICE DEI NOMI
Paoo di T arso, 5 2 Paué, Ruprecht, 94 Pitagora, 8 I Platone, I7, I9-2o, 22, 28, 38, 4I, 5354, 66- 69 , 7I-74,77-82, 84-85, 8 � 89 -9 3 , 9 5 , 96, 9 8 , I O O- I0 3 , I 0 5 I06, 108Io9, I I II I4, I I8-I 20 , I22, I25, I 27-I30, I38-I42, I44 Plauto, 8 I Plotino, 54, 83, I02 I04 Porri, 6o, 93 Prisciano, 9 I ·
Jaeger, Werner Wilhel, 74 Jakobson, Roman, 40 Jarry, Alfred, I2I
Rieann, Georg Friedrich B
Kant, manuel, 88 Koyré, Aexadre, I I 7
Rijk, Lambertus Marie de, 97 Ross, Wiiam David, 74
Leibiz, Gottfrie d Wilhelm von, 49-
Saussure, Ferdinand de, I9, 28, 37, 4I Schubert, Andreas, 64, 68 Sesto Empirico, 63-64, 66-69 Siplicio, 93, 98-99, I 09-I 10, I I 2 Socrate, 38, 75, 85, I I9, I 38, I 44 Spinoza, Baruch, 5 I, 53 Stesicoro, 1 4 I
ernhard,
108
50, 52
Maarmé, Stéphane, I 5, 89, 98 Meinong, Aexius, I2I-I22 Meister Eckhart, v. Eckhart von Hochheim Meandri, Ezo, 9 I Meanippide, I 3 8 Menzerath, Pau!, 37 Miner, Jea-Claude, 4I, 78, 83 Momigiano, Arnaldo, 9 7 More, Henry, II5-II7 Muger, Chares, Io8 Mykin, Lev Nikolaevi, principe, 5 I
Terpandro, I4I Timoteo di Mileto, I 3 8 Tommaso d'Auino, 50, 1 18 Trendelenburg, Friedrich Adof, 74 Usener, ermann, 86-87
ewton, saac, I I7
Varroe, Marco Terenzio, 28, 65 Viriio Marone, Pubio, I I6
Ockham, Guglielmo di, 9496
Wittenstein, Ludwig, 23, 29, 44,8 3
Olimpo, I4I Oero, I42 Otto, Water, I44
Zenone di Ciio, I I
Finto d stampare nel febbrao 2oi6 presso Industra Graca Beffe, Recanat (M) per coto dele edzion Quodlbet