SERVIZIO PER LE INFORMAZIONI E LA SICUREZZA DEMOCRATICA
PER ASPERA AD VERITATEM RIVISTA DI INTELLIGENCE E DI CULTURA PROFESSIONALE N.3 settembre-dicembre 1995
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Anche per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco tr onco al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta. (Giobbe 14, 7-9)
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Anche per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco tr onco al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta. (Giobbe 14, 7-9)
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INDICE
Saggi e articoli
Umberto CAPPUZZO - Intervista su un'ipotesi di riforma dei Servizi di informazione e sicurezza Giovanni CONSO - Sicurezza fra informazione, segreto e garanzie Vanna PALUMBO - Sistemi informatici e tutela dei dati personali alla luce dell'accordo di Schengen Fabio PISTELLA - Il patrimonio tecnologico nazionale: esigenze di tutela e protezione Documentazione di interesse
COMITATO PARLAMENTARE per i Servizi di informazione e sicurezza. - Primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza - (terza e ultima parte) DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA - Stralcio dalla relazione semestrale (primo semestre 1995) Camera dei Deputati, XII Legislatura, relazione politica informativa e della sicurezza (primo semestre 1995) (articolo 11, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801) presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri DINI Indice delle proposte e dei disegni di legge riguardanti i Servizi di informazione e di sicurezza presentati nel corso della XII Legislatura, al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati (situazione al 31 dicembre 1995) Camera dei Deputati, XII Legislatura, Proposta di Legge n. 969 "Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui Servizi per le informazioni e la sicurezza dello Stato" presentata dall'On.le ARLACCHI e altri Camera dei Deputati, XII Legislatura, Proposta di Legge n. 1009 "Modifiche alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, concernente istituzione e ordinamento dei Servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato" presentata dall'On.le BERLINGUER e altri Normativa e giurisprudenza di interesse
Decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352 Corte Costituzionale: Sentenza n. 87 del 24 maggio 1977 I Servizi di informazione e sicurezza degli altri Paesi
Germania: l'Organizzazione Centrale dell'Intelligence Recensioni e segnalazioni bibliografiche
Jean-Pierre ALEM - Spionaggio e controspionaggio - Recensione Gregorio ARENA (a cura di) - L'accesso ai documenti amministrativi - Recensione Sabino CASSESE - La nuova costituzione economica - Recensione Alain DEWERPE - Espion - Une anthropologie historique du secret d'Etat contemporain - Recensione Giovanni DE GENNARO - I collaboratori della giustizia Vittorio GALIANO e Loris ANCHESI - La collaborazione internazionale nella lotta alla droga Lucia RISICATO - L'acquisto simulato di droga nell'ambigua cornice dell'agente provocatore Rosario APOLITO e Fabrizio CARRAINI - I reati di usura nell'evoluzione della dottrina e della giurisprudenza Tiziana STEMPERINI - In tema di concorso esterno in associazione di stampo mafioso Curiosità storiche
A.L. - Cronaca di storia recente - I primi anni del SISDe
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Notizie sui collaboratori
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CONTENTS
Essays and articles
Umberto CAPPUZZO - Interview on a possible reform of the Intelligence and Security Services Giovanni CONSO - Security between information, secrecy and guarantees Vanna PALUMBO - Computer systems and the protection of personal data after the Schengen Agreement Fabio PISTELLA - National technological resources. Protection needs. Documents of interest
Parliamentary Oversight Committee on the Intelligence and Security Services. - First report on the Intelligence and Security System. (Third and final part) Direzione Investigativa Antimafia - Abstract from the half-yearly report (Jan.-Jun. 1995) Chamber of Deputies - XIIth Parliament - Report on the Government Intelligence and Security policy, (art.11, par.1, of Law n.801 of 24.10.1977) presented by Prime Minister Lamberto DINI (for the period Jan.-Jun.1995) List of the Bills regarding the Intelligence and Security Services presented to the Chamber of Deputies and to the Senate during the XIIth Parliament (up to 31st December 1995). Chamber of Deputies - XIIth Parliament - Bill n.969 "Establishment of a Parliamentary Enquiry Committee into the Intelligence and Security Services" by Dep. ARLACCHI and others Chamber of Deputies - XIIth Parliament - Bill n.1009 "Modification of Law n.801 of 24.10.1977 on the establishment and regulations of the Intelligence and Security Services and the discipline of State secrecy", by Dep. BERLINGUER and others. Legislation and jurisprudence
Presid. Decree n. 352 of 27.06.1992. Constitutional Court: Judgement n.87 of 24.5.1977 Other Countries Intelligence and Security Services
Federal Republic of Germany: the Intelligence Central Organisation Reviews and bibliographic recommendations
Jean-Pierre ALEM - Spionaggio e controspionaggio Gregorio ARENA (Editor) - L'accesso i documenti amministrativi Sabino CASSESE - La nuova costituzione economica Alain DEWERPE - Espion - Une anthropologie historique du secret d'Etat contemporain. Giovanni DE GENNARO - I collaboratori della giustizia Vittorio GALIANO e Loris ANCHESI - La collaborazione internazionale nella lotta alla droga Lucia RISICATO - L'acquisto simulato di droga nell'ambigua cornice dell'agente provocatore Rosario APOLITO e Fabrizio CARRAINI - I reati di usura nell'evoluzione della dottrina e della giurisprudenza Tiziana STEMPERINI - In tema di concorso esterno in associazione di stampo mafioso Historical Curios
A.L. - A note from recent history - SIS De's beginnings
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News on our collaborators
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Umberto CAPPUZZO - Intervista su un'ipotesi di riforma dei Servizi di informazione e sicurezza
D. Da sempre, in Italia, i Servizi sono periodicamente sottoposti a severa analisi da parte di molti osservatori i quali, di volta in volta, prospettano per essi nuove soluzioni ordinamentali. L'impressione che se ne ricava è quella di una generale crisi di fiducia nei loro confronti. Qual è il Suo parere in proposito? R. È molto più che una crisi di fiducia. Direi che, da ormai qualche decennio, si è fatto di tutto - ad opera essenzialmente della stampa - per accreditare la tesi che i nostri Servizi sono stati e sono invischiati in attività più o meno losche. Di deviazioni si è parlato ad ogni piè sospinto, senza chiarire, peraltro, chi siano stati i registi di tali deviazioni e senza preoccuparsi di far comprendere a quali strategie esse rispondessero. Per ovviare agli inconvenienti - veri o presunti - la parola d'ordine è stata sempre una ed una sola: "riformare". Al riguardo, constato con disagio che il fervore riformistico nei confronti delle Istituzioni o più in generale dell'apparato burocratico/amministrativo non sia legato, nella maggioranza dei casi, alla fredda valutazione di esigenze funzionali non adeguatamente fronteggiate o di disfunzioni operative eventualmente emerse o, ancora, di limitatezza di rendimento e, quindi, di sbilanciamento fra costi e risultati. Esso è infatti quasi sempre, espressione emotiva in presenza di fatti, di per sé anche altamente censurabili, che chiamano in causa scorrettezze di comportamento di singoli soggetti o anche di una pluralità di soggetti e mettono a nudo impressionanti carenze nell'attività di controllo. A fronte di queste manifestazioni di incapacità o di trascuratezza, basterebbe solo intervenire contro chi non rispetta le regole. D. Ritiene comunque auspicabile una seria riforma dei Servizi? R. La riforma dei Servizi è necessaria non tanto per le motivazioni adombrate a seguito degli scandali, recenti e meno recenti che riguardano, come detto innanzi, i comportamenti di singole persone, peraltro già oggetto di condanne da parte della magistratura, quanto per le esigenze emerse a seguito dei grandi cambiamenti di natura politica, strategica, militare, economica, sociale e tecnologica, che hanno evidenziato, accanto alla minaccia di un tempo, tutta una serie di possibili rischi e pericolose vulnerabilità connessi agli stessi odierni sistemi sociali. D. Quale è il primo dato di fatto che emerge da tale quadro? R. Certamente quello di una nuova visione della sicurezza: una sicurezza globale allargata che, con il superamento della tradizionale ripartizione, mette in gioco nuovi soggetti info-operativi cui affidare, nel grande contesto delle attività speciali di informazione e sicurezza, la tutela della sicurezza dello Stato. Razionalità di metodo imporrebbe, a premessa di un'eventuale riforma, l'individuazione delle diverse funzioni settoriali per ripartire le responsabilità e individuare le linee primarie di dipendenza verticale e quelle secondarie di collegamento orizzontale. D. Quali crede che debbano essere i principi cui attenersi? R. I criteri fondamentali da rispettare sono, a mio avviso, due. Da un lato, si tratta di eliminare ogni confusione in attività che - presupponendo la soluzione di delicati problemi di legittimità e legalità possono essere svolte solo se sussiste una ben precisa garanzia democratica. E questa richiede che risultino nette le responsabilità politiche e quelle amministrative. Il primo criterio, quindi, riguarda l'ambito delle salvaguardie di compatibilità democratica. Dall'altro lato, si tratta di evitare ridondanza di iniziative da parte di soggetti diversi, facenti capo a strutture diverse, con il pericolo - oltretutto - di fare il gioco della controparte, oggetto di interesse dei nostri Servizi. E questo richiede che risultino nette le ripartizioni dei settori di intervento di ciascun soggetto. Il secondo criterio riguarda, pertanto, l'ambito dei compiti istituzionali, nel rispetto dei principi di economia e di efficienza. D. Alla vigilia dell'ultimo scioglimento delle Camere, il Governo dell'epoca presentò un decreto legge che traeva origine dalla necessità di risolvere taluni punti nodali dell'attuale sistema. Cosa può dire a tale proposito? R. La proposta di riforma avanzata era, a mio avviso, conseguente al cosiddetto scandalo SISDe. Ancora una volta, dopo il "caso DE LORENZO" ed il caso "MICELI-MALETTI" - casi per i quali sarebbe forse ora di procedere ad un approfondito riesame per un più equilibrato giudizio - i Servizi erano oggetto di
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provvedimenti che tendevano a dare una risposta ad inconvenienti emersi in maniera incidentale. Un esame più distaccato avrebbe, forse, portato ad identificare la causa vera di questo e dei precedenti inconvenienti, in una scarsa capacità di controllo che poi è tipica dell'intero nostro sistema istituzionale ed è la ragione prima della sua diffusa inefficienza. Una scarsa capacità di controllo che, nel caso citato, traeva origine dalla confusione esistente nella ripartizione di attribuzioni e responsabilità tra autorità politiche e autorità amministrative. Aggiungo che la mancanza di stabilità politica, nel più recente passato, non ha certamente favorito la continuità di un rapporto organico con una struttura - quale quella dei Servizi - del tutto peculiare che, proprio in ragione di ciò, non si colloca nell'assetto tradizionale della Pubblica Amministrazione. D. Come dovrebbe configurarsi correttamente, a suo parere, il rapporto tra politica e Servizi Speciali? R. Tale rapporto è quanto mai delicato nei sistemi democratici. Lo è con riferimento agli "interessi dello Stato", che non possono essere quelli dell'una o dell'altra parte politica. Ecco allora che la loro definizione deve chiamare in causa l'opposizione non meno che la maggioranza. D. Lei ritiene che ciò sia sempre possibile? R. Le esperienze, al riguardo, di grandi Paesi di consolidata democrazia non sembrano particolarmente confortanti. Quelle, in particolare, degli Stati Uniti d'America sono illuminanti. E dire che in quella Nazione, repubblicani e democratici non sono stati mai in contrasto netto sui temi della politica internazionale, specie in riferimento alla grande minaccia che tale era percepita da tutti! Che dire, allora, di quegli altri Paesi - e l'Italia era tra questi - nei quali, fino ad un passato non molto lontano, il confronto internazionale era parte della stessa dialettica politica interna e la minaccia, quindi, veniva in un certo senso a proiettarsi all'interno? In una situazione siffatta, le componenti politiche della maggioranza, sostenitrici di una ben precisa collocazione internazionale del nostro Paese - nel pieno di un confronto epocale la cui posta in gioco erano la libertà, l'indipendenza, la democrazia nell'accezione occidentale - hanno forse inevitabilmente finito con il considerare convergenti gli interessi di parte e gli interessi superiori dello Stato? Questo è, a mio avviso, il punto centrale di ogni discorso, che voglia essere esaustivo, su tante perplessità in merito ad un nostro più recente passato. L'ideale sarebbe di riuscire a creare un sistema di Servizi Speciali dei quali la politica possa servirsi, ma che si guardino bene dal servire la politica. La soluzione, a questo punto, è più di natura eticoculturale che politico-amministrativa. D. Posto che le esigenze di fondo per una radicale riforma si presentano numerose e di grande spessore, la creazione di un nuovo sistema a quali criteri dovrebbe rispondere? R. A quelli di una moderna "sicurezza allargata", in presenza di tutta una serie di sfide, in un mondo che decisivamente si avvia ad essere multipolare; un sistema che, in sintesi, prenda in considerazione una molteplicità di aspetti. Si dovrebbe tener conto, inoltre, del fatto che, a seguito della fine del confronto EstOvest e della manifestazione di tutta una serie di rischi, sempre meno si potrà fare affidamento sull'intelligence messa a disposizione dal grande alleato di riferimento nel contesto della NATO (Stati Uniti d'America) e sarà giocoforza passare dall'ambito dei consumatori di informazioni di un tempo a quello dei produttori di informazioni del futuro. Il sistema dovrebbe poi essere compatibile con il contesto europeo nel quadro dell'Unione che si va costruendo. Esso dovrebbe garantire, altresì, di poter assolvere i compiti crescenti connessi con il controllo del processo di disarmo. Dovrebbe quindi costituire, per una sua componente (quella militare), l'interfaccia indispensabile per i rapporti nell'ambito dell'Alleanza, utilizzando al meglio gli apporti della moderna tecnologia nei campi delle trasmissioni e delle osservazioni per immagini; dovrebbe garantire una precisa delimitazione di compiti fra le strutture che danno vita al sistema (estero/interno) e far confluire gli elementi raccolti ed analizzati in un unico "centro di analisi integrato". Il sistema dovrebbe offrire al personale dei Servizi le garanzie indispensabili nel quadro delle responsabilità penali previste dall'ordinamento italiano e con esse, a premessa, l'indispensabile copertura politica. Dovrebbe, infine, assicurare il massimo dell'efficienza, inglobando tutte le attività comunque idonee per la informazione e la sicurezza potendo contare su personale di elevata qualificazione professionale e di completa affidabilità. D. Per quel che riguarda l'esclusività dell'attività di intelligence, crede che oggi nella nostra società ci siano dei pericoli in materia di tutela della sfera di privacy del cittadino? R. La possibilità di legare in sistema i circuiti informatici messi in atto per le più diverse esigenze può consentire di attivare sistemi informativi non istituzionali che ledono i fondamentali diritti del cittadino. Si aprono, infatti, per effetto dell'informatica, spazi nuovi attraverso una permeabilità totale dell'ambito
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privato: spazi che non possono non richiamare l'attenzione del sistema informativo ufficiale. D. Lei ha fatto cenno ad una serie di esigenze di fondo dalle quali si dovrebbe procedere nell'affrontare una riforma tanto impegnativa. Quali osservazioni può aggiungere? R. Per ottenere una razionale articolazione del sistema credo che sarebbe opportuno considerare vari aspetti cui posso far cenno: la definizione dell'Autorità responsabile al massimo livello della politica di informazione e sicurezza; le materie di interesse ai fini delle informazioni e della sicurezza; le attività speciali; le fasi del processo di intelligence; le connessioni tra i due diversi concorrenti ambiti delle attività speciali; la delimitazione dei contesti delle attività per la ripartizione dei compiti; il coordinamento delle attività dei due diversi contesti. D. Si ritiene favorevole ad una soluzione pluralistica? R. Il problema del coordinamento porterebbe a privilegiare un sistema monistico per i vantaggi che, a prima vista, esso appare offrire in merito ad alcuni aspetti. Tenuto conto però degli svantaggi, a mio parere di maggior peso, che ne derivano in fatto di specializzazione, concentrazione di potere e prevedibile tendenza al burocratismo, debbo confessare di preferire una soluzione pluralistica. Integrato, infatti, da adeguati meccanismi di controllo, il sistema oltre a caratterizzarsi per una maggiore efficienza, offrirebbe sufficienti garanzie nei confronti delle possibili deviazioni. D. Le pare di riscontrare anche negli altri Paesi la necessità di un riadattamento forse anche radicale del sistema dei Servizi Speciali? R. Certamente. Negli Stati Uniti ci si muove, partendo dalla considerazione che un mondo che si avvia sempre più ad una caratterizzazione multipolare non può più essere interpretato attraverso le lenti del confronto con una controparte ben definita, quale era quella sovietica. Alcuni studiosi qualificati hanno sottolineato che, finito il confronto Est/Ovest, il centro di gravitazione dello sforzo informativo va spostato dal punto focale di natura geografica di una volta alle nuove aree di rischio di natura politico-economicosociale di oggi, quali, ad esempio, le tensioni sociali, la proliferazione nucleare e di armi di distruzione massiva, il terrorismo, la criminalità organizzata ed il narcotraffico. D. In questo contesto quale indirizzo deve avere la politica informativa? R. È di fondamentale importanza poter disporre di personale di elevata qualificazione che sia in grado di capire, il più compiutamente possibile, i fenomeni con i quali si sarà chiamati a confrontarsi. Considero, pertanto, indispensabile il reclutamento di veri professionisti nel campo della finanza, degli scambi commerciali, dell'economia, della tecnologia militare oltre che nel campo della politica pura. La vera grande riforma dovrà riorientare l'intero processo informativo, esaltando il momento interpretativo di sintesi, rispetto ai momenti intermedi di valutazione e comparazione delle singole notizie. D. Dalle sue parole sembra di capire che la vera grande riforma dovrebbe puntare alla professionalizzazione della struttura? R. Proprio così: è un punto questo di eccezionale importanza. il reclutamento e la disponibilità di cervelli rappresentano un aspetto essenziale della riforma. D. Negli Stati Uniti sono emersi elementi di interesse nella sede dei lavori della "Task Force" costituita al fine di formulare proposte con riferimento all'"Intelligence Reorganisation Act"? R. Essi sono principalmente: la necessità di un più stretto rapporto tra intelligence militare e intelligence civile; la possibilità di interscambio di personale tra l'agenzia di intelligence militare e quella di intelligence civile; l'attribuzione di un diverso e più incisivo potere nella nomina dei Capi delle Agenzie; la realizzazione di un unico centro di coordinamento per ognuna delle tre principali aree di raccolta delle informazioni; il potenziamento del settore dell'analisi delle informazioni con la costituzione di un qualificato gruppo di esperti che raccolga i migliori talenti; la ristrutturazione dell'attuale "Consiglio Nazionale dell'Intelligence" per trasformarlo in un pensatoio interdisciplinare; la definizione di un più rispondente processo per l'accertamento dei requisiti necessari al rilascio del "Nulla osta di segretezza". D. Vi sono altri Paesi in cui emergono ipotesi di ristrutturazione dei Servizi? R. Anche il dibattito sviluppatosi in Francia è molto stimolante. Le motivazioni di una riforma degli apparati informativi sono, infatti, legate fondamentalmente al ruolo che questo grande Paese intende giocare sulla scena internazionale. Il punto dolente è, in sostanza, l'estrema dipendenza dagli Stati Uniti, messa in evidenza in modo particolare durante la guerra del Golfo. Una potenza nucleare non può fare a meno di disporre di una capacità informativa a lunga portata. Affiora pertanto l'esigenza di una componente strategica incentrata essenzialmente su un dispositivo satellitare. D. Anche in Francia ci si è posti il problema della ottimizzazione delle strutture dei Servizi?
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R. Certamente. Gli studi condotti in Francia sembrano confermare la necessità di conferire al sistema dei Servizi Speciali un carattere sempre più accentuatamente interforze e interdisciplinare. In un mondo reso di difficile interpretazione, dopo la fine del confronto Est/Ovest, si impone di allargare lo spettro di osservazione di indagine per essere in condizioni di anticipare quello che può accadere. D. Torniamo in Italia. Quale soluzione vede possibile? R. Il caso italiano si inserisce nel grande filone occidentale, pur avendo una sua specificità derivante da tormentate vicende legate ad esperienze non sempre positive. Sarebbe tempo di mettere da parte anche il ricordo di tali vicende ed affrontare il tema della ristrutturazione con visione moderna decisamente proiettata al futuro. D. Quali sono, secondo la Sua opinione, i cardini di tale ristrutturazione? R. Al primo posto metterei il concetto di sistema comprensivo di una pluralità di organi informativi (fondamentali e concorrenti); sistema da considerare, peraltro, nella sua evoluzione nel tempo, aperto, cioè, a nuove, eventuali immissioni. Il concetto di sistema chiama in causa ben precise responsabilità di sovraintendenza, coordinamento e controllo al massimo livello politico (Presidente del Consiglio dei Ministri). D. Come potrebbero essere assolte tali responsabilità? R. Il Presidente del Consiglio dovrebbe poter disporre di una sorta di Stato Maggiore interministeriale, da incardinare, ad esempio, nel Dipartimento informazioni e sicurezza già previsto dalla legge n. 400 del 1988. A questo Dipartimento dovrebbe far capo anche il "Centro di analisi integrato". D. Quali sarebbero i compiti del "Centro di analisi integrato"? R. Ricevere dagli organi informativi fondamentali (Servizi) tutte le informazioni verificate, confrontate e consolidate, e dagli organi informativi concorrenti relazioni, analisi, rapporti periodici riferiti alle branche alle quali sono preposti; elaborare situazioni generali e particolari, fornendo valutazioni e presentando anche previsioni; elaborare il Piano di ricerca informativa da sottoporre all'approvazione del Presidente del Consiglio dei Ministri ed inviare input ai singoli servizi per eventuali ricerche mirate. D. Potrebbe illustrarci le funzioni che gli organi informativi fondamentali sarebbero chiamati ad assolvere? R. Le funzioni sono tre e più esattamente la funzione informativa generale esterna a livello politicostrategico, in una visione essenzialmente geopolitica, da assegnare ad un Servizio Informazioni Generale SIGE; la funzione informativa per la sicurezza interna, da assegnare al Servizio Informazioni per la Sicurezza Interna - SISI; la funzione informativa e di sicurezza per la Difesa a netta caratterizzazione militare, da assegnare al Servizio Informazioni Operative e Sicurezza per la Difesa - SIOSD. D. Quale sarebbe la collocazione ordinativa di questi tre Servizi? R. Per il Servizio informazioni generali - SIGE, si presentano due diverse possibili opzioni: la dipendenza dal Ministro della Difesa, come per l'attuale SISMi, da cui dovrebbe ereditare gran parte dei compiti; oppure la dipendenza dal Ministro degli Esteri, tenuto conto dello spettro assai più esteso delle funzioni che è chiamato ad assolvere. Personalmente opto per la prima ipotesi, anche per evitare pericolose soluzioni di continuità. Il Servizio Informazioni per la Sicurezza Interna - SISI, da impiantare sulla struttura dell'attuale SISDe, riveduta nelle sue articolazioni alla luce anche dell'opportunità dell'inglobamento dell'attuale I Reparto del SISMi (quello di controspionaggio per intenderci), che al momento opera prevalentemente sul territorio nazionale, non può che dipendere dal Ministro dell'Interno. D. E per quel che riguarda il Servizio Informazioni e Sicurezza per la Difesa - SIOSD? R. La creazione di tale Servizio è legata alla soppressione degli attuali SIOS di Forza Armata, alla luce oltretutto della revisione della struttura di vertice della Difesa e si traduce in pratica nella costituzione del II Reparto dello Stato Maggiore della Difesa, alle dirette dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa e, per suo tramite, quindi, dal Ministro della Difesa. D. Cosa può dire rispetto all'ambito territoriale nel quale ciascun Servizio verrebbe chiamato a svolgere la sua attività? R. La soluzione adombrata intende rispettare il criterio della esclusività territoriale nel senso che il SIGE e il SISI avrebbero competenza esclusiva, rispettivamente all'estero, il primo, ed all'interno il secondo. D. Tali criteri avrebbero il carattere di una stretta rigidità? R. È da valutare se non si debba prevedere qualche eventuale eccezione là dove insorgano esigenze peculiari che postulino il rispetto del criterio del carattere unitario di determinate ricerche, inserite, peraltro, in una politica informativa che non può non essere unitaria.
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D. Quali sarebbero i rapporti da intrattenere con gli organi informativi concorrenti? R. Il coinvolgimento di tali organi dovrà essere regolato da precise direttive curate dal Presidente del Consiglio dei Ministri. I dati informativi elaborati provenienti da tali organi dovrebbero confluire al "Centro di Analisi integrato" che potrebbe poi stabilire suoi organi di collegamento e raccolta di informazioni presso i vari Dicasteri, sempre con la specifica autorizzazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. D. Un altro tema di grande rilievo è quello delle garanzie funzionali. Quali garanzie dovrebbero, secondo Lei, essere offerte agli operatori dei Servizi? R. Quello delle garanzie, intese nella più vasta accezione, rappresenta un altro punto qualificante di un'eventuale riforma. Se, da un lato, è necessario offrire agli agenti una doverosa tutela giuridica nell'espletamento della loro attività, si impone anche di dar loro una indispensabile garanzia politica, prevedendo che determinate operazioni - che pongano delicati problemi di legalità - chiamino in causa, all'atto della decisione, le massime autorità politiche responsabili (Ministro dell'Interno e Presidente del Consiglio dei Ministri) e possano essere oggetto di informazione al Comitato parlamentare. È ineludibile del resto la considerazione sulla necessità di prevedere una tutela generale degli interessi dell'Amministrazione e quindi dello Stato. Essa potrebbe essere affidata ad un organo costituito ad hoc, composto da Personalità di specchiata dirittura morale e spiccata professionalità (ad esempio, alti magistrati ed alti funzionari a riposo, di diversa specializzazione). Tale organo eserciterebbe le funzioni di tutela nei riguardi del personale dei Servizi per le attività e le operazioni che fanno insorgere problemi di legalità, controllo nei riguardi della contabilità riservata ed ordinaria, difesa dei diritti costituzionali dei cittadini o delle organizzazioni che al Comitato si rivolgono, ritenendosi ingiustamente colpiti da attività dei Servizi. Tale Comitato potrebbe trovare la sua collocazione a livello di Presidenza della Repubblica. D. Quali proposte ritiene potrebbero essere avanzate relativamente al personale dei Servizi? R. Il problema va affrontato, riferendosi non tanto e non soltanto a quanto concerne la selezione, la preparazione e la permanenza nell'impiego quanto - anche e soprattutto - con riferimento all'ampio spettro di specializzazioni professionali oggi richieste. Considerato però il fatto che a monte di tutto ci sono i problemi di sicurezza e di affidabilità, per evitare gli inconvenienti del passato è doveroso rimarcare la peculiarità che presenta l'intero contesto degli organi informativi al fine di legittimare verifiche nel tempo sulla affidabilità del personale ed assicurare provvedimenti idonei a garantire la sicurezza dell'intero strumento. Ritengo comunque che un rilievo particolare dovrebbe assumere la categoria degli analisti. Quale che sia l'idea di riforma che prevarrà, l'obiettivo che dà tono al sistema è rappresentato dall'inserimento di un qualche organo integrato di analisi al massimo livello anche se questo obiettivo non potrà essere conseguito che con un processo graduale di tipo modulare, iniziando con un numero anche modesto di moduli di base (per settori di specializzazione) e provvedendo via via al potenziamento con nuovi apporti scaglionati nel tempo. D. Un'ultima domanda. Da più parti viene chiesta un'estensione del controllo parlamentare. Cosa ne pensa? R. Credo che siano maturi i tempi per soddisfare una tale esigenza, ovviamente nel rispetto delle specifiche esigenze di tutela del segreto. C'è da augurarsi che, in tal modo, si possano evitare le periodiche campagne di disinformazione sull'attività dei Servizi che tanto danno hanno provocato in passato. Penso che, anche per questa via, si possa contribuire a creare nel nostro Paese la "cultura della sicurezza", oggi carente, nel cui contesto trovano collocazione, appunto, le esigenze informative. Solo così è possibile dare fiducia a quanti, con lodevole abnegazione, operano nell'ambito dei Servizi.
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Giovanni CONSO - Sicurezza fra informazione, segreto e garanzie (*)
Vorrei che questo mio intervento venisse considerato non tanto una conferenza quanto una meditazione con persone che hanno una conoscenza profonda della delicatissima tematica in oggetto. Se proprio vogliamo tornare alla parola conferenza, la vorrei intendere nella sua etimologia di "conferire", dare qualcosa, qualche modesto punto di vista, qualche impressione da inserire in un dialogo più ampio. Ecco che in questo ambito mi auguro di poter assolvere il compito che mi è stato affidato. Che il problema sia delicato, grave, assillante è sotto gli occhi di tutti per cause di vario ordine, tutte ben note. Le dividerei in due tipi: da un lato, una crisi di immagine sui Servizi, in particolare sul SISDe degli ultimi tempi; dall'altro, una situazione mondiale così profondamente cambiata, non soltanto dal punto di vista politicomilitare, ma anche socio-economico per l'incalzare dei traffici e il moltiplicarsi di ogni sorta di interdipendenza, che rende tutto più aggrovigliato. Si tratta, insomma, di affrontare una tematica oscillante tra Scilla e Cariddi. Scilla nel senso che c'è questa crisi di immagine e, quindi, una sorta di freno all'attività dell'Organismo o, più in generale, dei Servizi; Cariddi nel senso che c'è una complessità di compiti che avrebbe bisogno di maggiori poteri, stimoli e slanci. Quasi una contraddizione. Ecco allora che, accanto alla difficoltà oggettiva della problematica, esiste una sorta di difficoltà soggettiva che complica ancor di più le cose. Ciò non toglie che sia urgente affrontare il problema. In una delle più recenti pubblicazioni di questa vostra istituzione, culturalmente impegnata in modo tanto apprezzabile, ho trovato esplicitati concetti nei quali mi riconosco. E poiché ritengo che individuare alcuni punti ben chiari sia utile per fissare l'ambito entro cui procedere, mi pare opportuno ribadire le prese di posizione che sul piano dell'approfondimento culturale trovano la mia adesione per una meditazione comune, facendo conoscere che esse sono mie. Ecco perché da quelle pagine che tanto mi hanno colpito riprendo i passaggi che costituiscono per me il punto di partenza: "…non occorre uno speciale acume per ravvisare nell'attuale fase evolutiva degli assetti politici mondiali e di quelli interni a molti Stati la potenzialità destabilizzante di una quantità di conflitti e la proliferazione di minacce sconosciute in precedenza. Un mondo che sta diventando multipolare, squilibri economici che non sono più giustificati e governati dalle ideologie, flussi migratori non arginabili che stanno mutando la composizione demografica ed etnica degli Stati e che sposteranno ancora milioni di individui, forse centinaia di milioni da una parte all'altra del pianeta. Società nazionali che in poco tempo dovranno gestire una nuova identità multirazziale, straordinarie trasformazioni socio-culturali che saranno determinate dagli effetti del progresso tecnologico avanzato, altri cambiamenti di grande rilievo esigono tutti insieme un'attenzione politica e una tempestività di intervento più impegnata, maggiore di prima. Il fatto che oggi nel mondo sia disponibile e circoli una grande quantità di informazioni, come mai accaduto prima, rappresenta per i Servizi di tutti i Paesi un vantaggio, ma anche uno svantaggio. L'attività dei Servizi, lungi dall'essere facilitata, tende ad aumentare per quantità e a richiedere un superiore impegno delle intelligenze. Peraltro, in un mondo multimediale quale è l'attuale, anche il Servizio ha risentito della logica secondo cui la sua immagine reale è formata da ciò che viene riferito sul suo conto e non da quanto concretamente produce senza essere oggetto di comunicazioni esterne. Si pone il problema, pertanto, di rivedere almeno in parte la teoria secondo cui un Servizio di Informazioni debba rimanere nell'ombra conservando il segreto di ogni sua attività e soprattutto dei suoi successi. Certamente, il Servizio non può essere solo oggetto di campagne denigratorie senza perdere credibilità di fronte alle altre Istituzioni e alla opinione pubblica. Danno che si riverbera anche sulla disponibilità qualitativa e quantitativa delle fonti informative. Occorre pertanto uscire, con la dovuta discrezione, dall'isolamento e dal silenzio che oblitera ogni suo positivo risultato, senza far perdere al medesimo il suo connotato originario di riservatezza. E in questo senso sembra opportuno distinguere ciò che deve rimanere segreto da quanto può essere divulgato senza pericoli per le persone, per gli alleati, per il prosieguo della ricerca. A tutti deve essere nota l'importanza di restituire al personale dei Servizi la fiducia della gente e delle altre Istituzioni; da nessuno si può pretendere aiuto e protezione senza assicurargli il credito indispensabile per garantire motivazione al suo impegno. Non va trascurato, inoltre, un altro aspetto fondamentale dell'attività dei Servizi. Essi operano
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nell'ambito di una comunità di intelligence internazionale, che anch'essa si regge sull'affidabilità e sulla convenienza finalizzate alla collaborazione, agli scambi informativi, al confronto interpretativo delle analisi, delle situazioni, dei contributi. Se manca il credito e l'appoggio delle Comunità internazionali, a favore delle quali si producono, non si può pensare di ottenere il favore di altri partners via via crescenti e allargati. Il futuro del SISDe non dipenderà soltanto dalla sua riorganizzazione nell'ambito dell'intero apparato di sicurezza nazionale, né della mera ristrutturazione interna che comunque è già in atto. Occorre intorno ad esso un clima nuovo, un diverso atteggiamento dell'opinione pubblica sulla funzione che è chiamato a svolgere, una maggiore consapevolezza circa le sue possibilità ovvero quelle dei suoi uomini, una più matura comprensione dell'importanza degli obiettivi che persegue ed una partecipazione più diffusa dei cittadini, che sarà nostra cura favorire con iniziative adeguate." Sono parole da sottoscrivere appieno, anche perché ribadiscono i due aspetti che avevo riassunto in partenza, e cioè che esiste una crisi di immagine che non agevola, mentre ci sarebbe bisogno di un'immagine forte proprio per l'enorme complessità dei compiti che si debbono affrontare, sia per previsioni normative sia per esigenze collettive. Che fare, allora, per realizzare questo duplice obiettivo, superare gli scogli di Scilla e Cariddi e navigare in modo più sereno, fattivamente, senza intralci, senza troppe incomprensioni? Non è facile rispondere anche perché il segreto finisce con il dominare sempre la scena, pur quando esattamente si afferma - come leggevo un attimo fa - che non tutto deve restare segreto: c'è, infatti, un qualcosa che deve restare segreto a fronte di quanto può, invece, essere esternato. Indubbiamente, dovendosi mantenere almeno in parte il segreto, la questione del limite entro il quale il segreto ha ragione di persistere rimane un problema più difficile di quello che si porrebbe se si dicesse: tutto segreto o niente segreto. La ricerca di una via mediana costituisce già di per sé una difficoltà. Alla domanda "Che fare?" credo si possa senz'altro dire che è impensabile rispondere nel senso di abolire i Servizi, anche se in alcuni momenti qualcuno, di fronte a certi fatti di cronaca, a certe polemiche astiose, ha quasi considerato liberatoria la tesi dell'abolizione. Visto che non funzionerebbero in modo soddisfacente, visto che sarebbero causa di tante tensioni e di tanti inconvenienti, di procedimenti penali e di crisi politiche, perché non accontentarsi della normale polizia, tanto più che ormai esiste anche la DIA? Una tesi del genere è assolutamente insostenibile, anche in considerazione del fatto che la situazione mondiale lega strettamente ogni Paese a tutti gli altri. Non ci sono più le grandi scissure create dagli oceani, in ogni momento ci si confronta l'uno con l'altro, per cui senza Servizi è impensabile poter operare con efficacia a difesa della sicurezza dello Stato nel mondo. Dall'estero viene l'esempio: lì i Servizi ci sono ed anzi vengono curati, assistiti, sostenuti, agevolati. Ma, a mio avviso, c'è un'altra ragione ancora più forte, al di là delle esigenze che sono sotto gli occhi di tutti e al di là dei confronti con l'estero. C'è un aspetto essenziale, che ci conduce sul terreno dei grandi valori, dei valori di fondo, dei princìpi ispiratori della vita sociale: la sicurezza dello Stato è un bene fondamentale, anzi il bene fondamentale per eccellenza, di garanzia per tutti gli altri. Anche i beni dell'individuo, i diritti inviolabili di cui parla l'art. 2 della Costituzione, senza sicurezza, sono destinati allo sbando. Si tratta, più ancora che di una grande cornice, di una base da tutelare nel modo più assoluto per il bene comune. Occorre che ci sia una organizzazione apposita a protezione di questo grande valore che è la sicurezza dello Stato. E, a tutela di questa sicurezza, è necessaria l'informazione, è necessario il segreto, almeno entro certi limiti, e sono necessarie le garanzie. La tutela della sicurezza nazionale non può non essere affidata ai Servizi, a cominciare dall'attività informativa. L'operare dei Servizi ha, anzitutto, carattere cognitivo, rivolto com'è alla ricerca e alla raccolta di dati e informazioni. Ed è già molto. Guai, quindi, a voler strafare, perché ciò vorrebbe dire commettere due passi falsi: l'uno perché, quando si deborda dai propri confini, non si rispetta la legalità e l'altro perché, trasbordando, si invadono campi altrui con la conseguenza di creare conflitti. Caso mai modifichiamo la norma, se essa divide in modo non soddisfacente i campi d'azione, ma, fino a che ciò non avviene, non scavalchiamo mai il confine. Non bastano a giustificarlo né le più buone intenzioni, né il fine di far bene. È sempre negativo trasbordare. Generalmente tale attività informativa è nota come attività di intelligence, a significare sostanzialmente un complesso processo che, attraverso la ricerca e la raccolta di informazioni della più diversa natura e la relativa analisi, sfocia in un quadro di valutazioni volte alla comprensione e alla previsione di eventi, fenomeni, comportamenti meritevoli di attenzione per i loro contenuti di minaccia attuale o potenziale alla sicurezza dello Stato. Oggi questa sicurezza - ecco la mutata situazione mondiale - non dipende più soltanto come in passato
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dall'esistenza di due blocchi contrapposti. Oltre al bisogno di sicurezza militare e di stabilità politica, sono in gioco la tutela e la credibilità delle istituzioni, la difesa del sistema economico nazionale, la lotta alla criminalità organizzata e ai suoi traffici, la fiducia nei rapporti economici e commerciali, la pace sociale, la crescita dell'occupazione, l'integrazione degli emarginati, la protezione della ricerca scientifica e della vita culturale. Un panorama già di per sé talmente vasto che anche il limitarsi alla relativa ricerca di dati, notizie e informazioni significa avere un impegno forte, bisognoso di forze ed energie adeguate sia per quantità che per qualità. E che questo sia un bene fondamentale deve essere ribadito a tutti i costi di fronte ai continui tentativi di erosione del ruolo, anche in vista di una sua reimpostazione così da renderlo più consono a quello che è il suo vero scopo, la sua vera essenza, cioè il bene da tutelare, il bene fondamentale della sicurezza. Ci sono non poche norme del Codice penale e del Codice di procedura penale, c'è addirittura la nostra Costituzione, sia pure in un articolo dedicato alla Regione, il 126, a parlare di sicurezza nazionale. Senza dire degli artt. 52 (difesa della Patria), 54 e 87 (unità nazionale) che pur sottolineano il valore cruciale della sicurezza nazionale. Vi sono, poi, carte non meno importanti, anche se sovente a torto dimenticate quasi fossero un quid pluris da lasciare in disparte: si tratta delle Convenzioni internazionali, a cominciare da quella di Roma per la tutela dei diritti dell'uomo e dal Patto internazionale dei diritti civili e politici di New York. È straordinario notare come le norme di queste due Convenzioni facciano un uso del concetto di sicurezza nazionale così ampio, così insistito, così sottolineato da porlo al vertice di tutti i valori. Quindi, con un invito a tutti gli Stati che sono parte delle due Convenzioni (e l'Italia fa parte di entrambe) di tenere sempre presente questo valore fondamentale, in relazione al quale gli altri valori possono subire limitazioni proprio perché, di fronte a misure necessarie per la sicurezza nazionale di una società democratica, gli altri diritti possono subire un parziale sacrificio. Nella Convenzione Europea si ispirano a questo concetto gli artt. 8, 9, 10 e 11; nel Patto di New York gli artt. 12, 13, 14, 18 e 19. Né vanno dimenticate le sentenze della Corte Costituzionale, una delle quali ha avuto un peso determinante nella formulazione della legge istitutiva dei Servizi del 1977. Infatti, nelle more della discussione parlamentare del disegno di legge volto ad istituire i nuovi Servizi per l'Informazione e la Sicurezza venne introdotta la parte dedicata al segreto di Stato proprio perché, nel maggio di quell'anno, mentre quel testo stava veleggiando verso l'approvazione del primo ramo del Parlamento, la sentenza costituzionale n. 86 del 1977 aveva dichiarato illegittima in due parti la precedente normativa sul segreto di Stato. Ebbene, dalla motivazione di quella sentenza e di un'altra di poco precedente (la n. 82 del 1976) che, pur essendo stata di non fondatezza e non avendo, quindi, avuto il rilievo forte che ha avuto l'altra, non è meno significativa, emerge un passaggio da cui l'esame del nostro problema non può ormai in alcun modo prescindere, pur facendo entrambe riferimento ad ipotesi di segreto politico-militare, divenuto poi segreto di Stato (tale formula è stata, infatti, sostituita a quella del segreto politico-militare, cosicché le considerazioni fatte prima della riforma del 1977 per il segreto di allora valgono parimenti per quello che gli è subentrato, essendo la sostanza della disciplina, pur in parte nuova, rimasta la medesima). Dalle due sentenze richiamate si ricava che per la Corte non può essere considerato irrazionale il fatto che il modo e l'intensità della protezione penale e processuale delle varie specie di segreti riconosciute dal legislatore siano diversificati in quanto ben diversa è la rilevanza degli interessi cui ineriscono in una fin troppo evidente graduazione tra essi. Il grado più alto si raggiunge proprio quando è in gioco il segreto militare vero e proprio, il quale "assiste le notizie concernenti la forza, la preparazione e la difesa militare dello Stato", così coinvolgendo "il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, cioè l'interesse dello Statocomunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla stessa sua sopravvivenza". E tale interesse, "preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale ne sia il regime politico, trova espressione nella formula solenne dell'art. 52 della Costituzione, che afferma essere la difesa della Patria sacro dovere del cittadino". Analogamente è a dirsi per il segreto politico, di presidio per la sicurezza interna, e, una volta abbinati sotto l'etichetta "segreto di Stato", per la conseguente sintesi di due così fondamentali valori. Forte del suo peso di sentenza dichiarativa di illegittimità, la sentenza n. 86 del 1977 va oltre nell'approfondire il discorso relativo alla tutela della difesa interna ed esterna dello Stato, richiamandosi all'art. 95 della Costituzione, "in virtù del quale il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile" - da ciò l'affidamento al Presidente del Consiglio di tutto quanto
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concerne la gestione dei Servizi e del segreto di Stato - formula in cui "non può non essere compresa la suprema attività politica, quella attinente alla difesa esterna ed interna dello Stato". "Si tratta di stabilire" - prosegue la sentenza - "se il c.d. sbarramento all'esercizio del potere giurisdizionale si possa o meno considerare conforme al nostro sistema costituzionale e quindi, in definitiva, di stabilire come la Costituzione risolva il bilanciamento fra l'interesse alla sicurezza e quello della giustizia nei casi nei quali vengano in conflitto". E la risposta è nel senso che "la sicurezza dello Stato costituisce interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di assoluta preminenza su ogni altro in quanto tocca l'esistenza stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione". Anche se sono passati circa venti anni, questo insegnamento resta fondamentale e, quindi, ineludibile finché la Costituzione della Repubblica non muta. Dunque, l'interesse alla sicurezza è addirittura preminente anche su quello della giustizia. Che fare allora? Scartata l'idea di cancellare tutto, di restare senza Servizi, di prescindere dall'intelligence, dalle informazioni, dal segreto e dalle garanzie, ne discende che lo Stato deve tutelare a tutti i costi la sua sicurezza perché con essa tutti i beni risultano protetti, mentre senza di essa tutti i beni sono esposti a rischio. Si tratta ovviamente di migliorare, e sensibilmente, la situazione entro la quale siamo venuti via via a trovarci negli ultimi tempi, anche se va ricordato come i problemi di quelli che erano i Servizi segreti di allora sono sempre stati fonte di polemiche forti, talora drammatiche: valga per tutti il caso del SIFAR, quando nel 1964 si disse: "bisogna cambiare radicalmente". Una volta approdati alla riforma del 1977, già all'indomani si cominciò subito a dire che andava migliorata. Certo tutto può, deve essere migliorato, anche a fronte delle esperienze concrete, all'evolversi della società, al trasformarsi della vita nel mondo. Bisogna anzitutto adoperarsi per un recupero dell'immagine, a costo di qualsiasi sforzo. Solo così si potranno adeguatamente affrontare gli enormi compiti che incombono e che richiedono massima credibilità non solo all'interno ma anche all'esterno, perché tutto si rifrange su tutto in questo "villaggio globale". È chiaro che una caduta di prestigio all'interno nuoce fortemente pure all'esterno, per cui da tutti i punti di vista occorre un recupero d'immagine, operazione da perseguire in primo luogo attraverso una riorganizzazione che offra maggiori garanzie di funzionalità, oltre che di limpidezza. E qui sfioriamo l'argomento della trasparenza. Riorganizzare è, quindi, importantissimo. Da un discorso tenuto il 16 novembre 1994 alla presenza dell'allora ministro dell'interno Maroni da parte del prefetto Marino, traggo un brano che merita di essere sottolineato al massimo perché apre alla speranza con il testimoniare che si sta già operando in tale senso. "Il SISDe sta con caparbia determinazione superando una fase opaca che aveva visto inficiare la fiducia della pubblica opinione nei suoi confronti. Sta superando questa fase attraverso una progressiva opera di riordinamento interno, di accurata selezione del personale da destinare agli incarichi più delicati, di affinamento delle proprie capacità di intervento, opera resa difficile dalla consapevolezza che non vi sono più margini di errore, guai a sbagliare ancora. Una consapevolezza che si affianca tuttavia alla certezza che il SISDe ha nel proprio ambito sufficienti energie sane, si sta ricreando un ambiente in cui tutti gli operatori desiderano dimostrare che sanno e possono servire bene e meglio la comunità nazionale". Confortanti parole su questo impegno rinnovato, con l'ulteriore necessità di evitare ogni possibile accusa di illegalità. Quindi, anche cautela, ricordando che non conta solo quello che si trova di fronte alla propria coscienza, e cioè l'essere, ma ancora di più il come si appare di fronte alla società. Ma riorganizzare e informatizzare gli archivi, pur sicuro preludio ad un affinamento di preparazione, a vagli più accurati, ad approfondimenti culturali, non basta. Ci vuole una riforma normativa, punto delicatissimo, perché, mentre una migliore organizzazione interna può essere quotidianamente perseguita dall'amministrazione via via migliorando giorno per giorno, sul piano normativo occorre ovviamente che sia il Parlamento ad intervenire. Ciò è estremamente più arduo da ottenere, richiedendo comunque tempo, con il rischio notevole che non nasca nulla o che nasca, nel compromesso, un testo non in grado di conseguire i risultati sperati, quando non addirittura peggiorativi. Eppure, questa riforma è tanto più necessaria in quanto la legge n. 801 del 1977 nacque con affanno. C'era l'assillo di soddisfare un'attesa nata dai tempi del SIFAR, tanto più perché era intervenuta a sollecitarla la sentenza della Corte Costituzionale. In quei tempi l'esigenza di rispettare i dettati della Corte era molto più sentita che attualmente. Oggi la Corte Costituzionale sempre più spesso si lamenta nelle sentenze o negli interventi del suo Presidente perché potere legislativo e potere esecutivo non assecondano le indicazioni della Corte: passano, infatti, anni senza vedere attuati inviti perentori della Corte Costituzionale o colmati vuoti aperti da declaratorie di illegittimità. Quella sentenza, la n. 86 del 1977, ha avuto buona sorte, anche perché era già in avanzato corso di discussione un disegno di legge per
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l'istituzione dei Servizi e la disciplina del segreto di Stato. Le date sono indicative: la Corte si pronunciò nel maggio, e nel luglio il disegno, in sintonia con la sentenza, fu votato dalla 1a Commissione, restando poi punto fermo nel passare dalla Camera al Senato, così da nascere rapidamente nell'ottobre di quello stesso anno. Che la legge del 1977 sia nata con affanno risulta anche dalle contemporanee vicende dirette all'emanazione del nuovo codice di procedura penale. La legge delega del 1974 stava dando, infatti, vita ad un progetto preliminare che si occupava anche del segreto di Stato, senza che ci fosse armonia tra le posizioni adottate dal Parlamento nel 1977 e quelle che la Commissione ministeriale stava adottando in sede di quel progetto. Anche se poi questo cadde, risultava all'evidenza come già ci fossero non lievi divergenze. D'altra parte, l'attuale esigenza di una riforma razionale, attenta alle esperienze, che recuperi credibilità, ridia immagine e consenta adeguatezza di interventi, è confermata dal fatto che, durante la X legislatura, la Commissione Affari Costituzionali della Camera portò a termine un'importante indagine conoscitiva sui Servizi di sicurezza, con la quale si mettevano in rilievo una serie di inconvenienti e si formulavano una serie di proposte. Intanto, nasceva il codice di procedura penale del 1988, in forza della delega del 16 febbraio 1987, contenente specifici criteri relativi al segreto di Stato, al segreto di ufficio, al segreto sulle fonti di informazione, con la conseguenza che il nuovo codice veniva ad incidere sulla legge del 1977 nelle parti che avevano modificato il testo originario del codice del 1930. Il fatto, dunque, che il codice del 1988 mutasse profondamente la disciplina delle prove e, in particolare, della testimonianza non poteva non creare squilibri con le statuizioni dovute alla legge del 1977. La riforma si impone, perciò, per ragioni di ordine sistematico non meno che per ragioni di ordine storico, occorrendo distinguere i problemi di forma e di metodo da quelli di sostanza. Anche se prima di optare per un metodo piuttosto che per un altro, potrebbe essere utile conoscere quale sia la sostanza da disciplinare, adattando il metodo alle innovazioni da apportare, è senz'altro più agevole prendere le mosse dalla problematica della forma così da munirsi di una chiara base operativa. La prima cosa da tenere presente è che la legge del 1977 consta di due parti, una sui Servizi e una sul segreto di Stato, risultando così evidente che, dovendosi affrontare un doppio contenuto, il problema formale si presenta senz'altro più complesso. Ecco, dunque, la necessità di domandarsi se sia preferibile mantenere uniti i due capitoli oppure scinderli, non senza rilevare, peraltro, che oggi i due capitoli non sono divisi in modo assoluto, a cominciare dall'art. 1, che, affidando alla Presidenza del Consiglio dei Ministri tutta una serie di responsabilità, fa riferimento sia alla organizzazione che alla conduzione dei Servizi sia al segreto di Stato, per finire con l'articolo conclusivo che vale per l'uno e l'altro settore. Che dire, poi, del continuo intreccio dovuto ai rapporti con il Comitato Parlamentare e la Presidenza del Consiglio, chiamati in causa per il segreto di Stato non solo in ordine alla testimonianza nel processo penale? Ma, oltre e insieme al problema se sdoppiare o no i contenuti, una scelta va pure effettuata tra la metodologia della novellazione, diretta a migliorare il preesistente testo dell'articolato assunto come base, e l'emanazione di nuova legge del tutto autonoma, che riveda ab iuris la tematica. Ed è una scelta che prospetta un'ampia gamma di soluzioni, potendosi, infatti, concepire una novellazione dell'intera legge o soltanto di una sua parte, oppure l'adozione di una nuova legge per il tutto o l'adozione di una oppure di due nuove leggi. I lavori parlamentari ci dimostrano come la tipologia delle proposte presentate sia così varia e ricca da ricomprendere tutte le ipotesi dianzi accennate. Soffermiamoci, per esemplificare, su quello che è il punto d'arrivo della X Legislatura, nel corso della quale erano stati presentati quattro progetti alla Camera (e altrettanti al Senato), con l'aggiunta di un disegno governativo, il disegno di legge n. 1628 del Presidente Ciampi di concerto con il Ministro dell'Interno e il Ministro della Giustizia, che alla fine prevalse, traducendosi nel testo coordinato votato dalla prima Camera. Quel testo aveva come titolo "Modificazioni e integrazioni alla legge 24 ottobre 1977 n. 801", trattandosi di una novellazione parziale di tale legge. Nel passaggio alla XI Legislatura, ci si accorge subito come il tema attragga, perché anche singoli deputati e singoli senatori presentano proposte che continuano a spaziare tra la novellazione totale e quella parziale, tra l'estrapolazione della parte oggetto del segreto onde farne legge a sé e il progetto di una legge completamente nuova riguardante entrambi i problemi. Il mio punto di vista è che meglio sarebbe lasciare da parte la formula della novellazione e dare vita ad una legge nuova, anche per sottolineare il senso di novità, di svolta, di recupero della immagine. Non dico che si debbano cambiare tutti i contenuti, ben potendosi salvare quello che c'è di buono, ma che è comunque bene
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riscriverli in modo più adeguato ai circa venti anni ormai trascorsi, tutt'altro che pochi, in un'epoca come l'attuale. Certamente, scrivere una legge ex novo è più faticoso, ma, se il tema è importante e si tratta di ridare immagine ed efficienza, occorre un segnale forte, che solo una nuova legge è in grado di fornire. Ma una o due leggi? Poiché tra le ragioni che hanno messo in crisi i Servizi vi è il loro connubio con il segreto, al punto di creare l'equivoco nominalistico consistente nel far ritenere tutto segreto ciò che riguarda i Servizi, il modo migliore per rompere questa impostazione, fonte di grave malessere per chi oggi chiede trasparenza, sarebbe quello di scindere le due sottotematiche. Poiché il segreto non coinvolge solo i Servizi, ma tutti coloro che sono portatori di eventuali segreti di Stato, troverebbe la sua ragione di essere una legge ad hoc, meglio coordinata con il codice di procedura penale, ma non limitata a tale ottica, che sarebbe riduttiva, data la necessità di un aggiornamento della normativa del segreto anche sul piano penalistico. Tanto più che un dettato della legge del 1977, l'art. 18, dispone che "sino all'emanazione di una legge organica relativa alla materia del segreto, le fattispecie previste e fornite dal libro II, titolo I, capitolo primo e quinto del codice penale, concernenti il segreto politico interno o internazionale, debbano essere riferite alla definizione di segreto di cui agli artt. 1 e 12 della presente legge". Essendo chiaro che l'esigenza di una nuova legge non è stata appagata con il nuovo codice di procedura penale, poiché esso fa esclusivo riferimento ad aspetti probatori, il bisogno di una nuova legge sul piano penale sostanziale è fuori discussione. Qui, anzi, se novellazione ha da esserci, essa non può che avere per oggetto il codice penale, disciplinando le violazioni extraprocessuali del segreto di Stato, in un modo comune a tutti i portatori di segreto, senza privilegiare gli esponenti dei Servizi, anche ad evitare spiacevoli sospetti. L'avversione ai Servizi si sintetizza in un "basta con il segreto", in un "vogliamo la trasparenza", modi grossolani, dalla sicura presa sulla gente comune. Con i mass media che dominano la scena, il bisogno di notizie fa sì che ciò che è coperto da segreto non vada loro bene per cui si cerca di contrastarlo in ogni modo. Occorre una disciplina più attenta, slegata per il segreto dalla normativa sui Servizi. Sono due i piani su cui lavorare: il primo corrisponde all'esigenza di un maggior controllo (per recuperare fiducia, per dare maggior tranquillità all'opinione pubblica, è chiaro che ci vogliono meno segreti e più controlli), il secondo implica l'esigenza di maggiori strumenti per consentire ai Servizi di meglio operare in quei settori che la società tecnologica, i traffici internazionali, la criminalità organizzata rendono sempre più cruciali (ma maggiori strumenti esigono anche maggiori garanzie, nonché maggiore copertura). Per quanto riguarda i controlli non possiamo prescindere dal rapporto - che è poi la principale esternazione del Comitato Parlamentare di controllo per i Servizi e il Segreto di Stato - del 6 aprile 1995, anche se ciò non vuol dire che tutto quanto è in esso contenuto sia da accettare in toto, bensì che va attentamente esaminato per essere controbattuto là dove non si è d'accordo e appoggiato dove lo si è. Il Comitato Parlamentare è l'organo che emerge meglio dalla storia di questi quasi vent'anni di fronte all'opinione generale: tutti pensano che vada potenziato e rafforzato. Constato che si tende a dargli un ruolo più forte di quello cauto che ha assunto in partenza. Ritengo che sia la strada giusta, perché è un organismo che ha funzionato riscuotendo consensi (il che non è facile perché le commissioni, i comitati, i gruppi di lavoro stanno oggi vivendo vicende travagliate) grazie anche ad un serio operare dovuto alla sua composizione molto ristretta e molto responsabilizzata. Credo che per qualsiasi riforma sia bene puntare su una maggiore responsabilizzazione: ogni attività deve avere pochi responsabili, ben individuati. Guai a governi assembleari, a commissioni di 40-80 persone. Con un numero limitato è più facile individuare chi ha mancato, e poi il dialogo si fa più rapido e costruttivo. Di conseguenza, anche più responsabilità al Presidente del Consiglio dei Ministri, che della legge è il centro motore, essendo lui che risponde al Comitato, al Parlamento, alla Magistratura. Il tutto anche in linea con la tendenza a dar vita ad un tipo di repubblica tendenzialmente volto a un maggior presidenzialismo. Magari istituendo un sottosegretariato alla Presidenza per la sicurezza, anche in relazione ai problemi di raccordo con il Ministero dell'Interno. In quest'ambito deve rientrare anche la gestione finanziaria, con la costante verifica dei rapporti costi/ricavi. Soprattutto le spese riservate vanno controllate in modo rassicurante. Qualcuno propone altresì che sia il Comitato a dover denunciare le illegittimità che emergono in sede di verifica. Gli archivi devono essere meglio organizzati non solo per favorire gli interventi del SISMi e del SISDe, ma anche per consentire a chi deve controllare di avere a disposizione tutti i dati necessari. Qualcuno sostiene anche l'opportunità di un'audizione dei Direttori dei due Servizi da parte del Comitato (sempreché i Servizi
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rimangano due, perché tra le soluzioni proposte dal Sen. Cossiga vi è quella di unificarli). Sentire direttamente i Direttori può rendere veramente più incisivo un controllo che, come sottolinea la relazione Brutti, dovrebbe involgere sia le responsabilità dell'esecutivo sia la gestione tecnica dei Servizi. Non basta controllare l'applicazione dei princìpi in generale, come prevede l'attuale legge, ma occorre un controllo sulle attività dei Servizi e sull'esercizio concreto delle relative funzioni. Qui si collega il problema del segreto nel tempo. Le proposte secondo cui dopo un certo periodo il segreto dovrebbe sempre cadere sono fondamentali. Vi sarà un dosaggio, una classificazione in categorie, delicata, ma necessaria. Poiché esiste già una prassi, se pur non ben determinata, ci vorrebbe una legge che prima o poi consenta di fare luce. Anche perché l'unico modo per scongiurare illiceità gravi è quello di far sì che prima o poi si possa venire a conoscenza che uno o più funzionari hanno mancato gravemente. Quindi, mai distruggere documenti fino a che il segreto non sia venuto a cadere, dando almeno per un certo periodo la possibilità di indagare su ciò che in partenza è stato coperto da segreto. Temporaneità dei segreti, loro classificazione in categorie, distruzione esclusa o, al massimo, consentita solo dopo un certo periodo dal venir meno del segreto. I tempi non devono essere troppo lunghi. Comunque è da escludere che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa opporre il segreto al Comitato. Il Comitato deve avere la possibilità di effettuare verifiche a tutto campo, ma va a sua volta tutelato dal segreto sulle sue attività: il segreto di Stato va regolamentato, ma, quando si arriva al Comitato, nei suoi confronti il segreto va ridotto al minimo. Naturalmente a carico del Comitato sorge un obbligo di segreto, il che spiega perché l'organo deve restare molto ristretto. Solo quando il segreto sarà completamente caduto, tutti potranno conoscerlo. Per quanto riguarda il profilo strumenti e garanzie, è chiaro che molte sono state le doglianze in questi ultimi tempi: la polizia giudiziaria e la polizia di Stato hanno visto incrementati i loro poteri, mentre ai funzionari dei Servizi la legge istitutiva della DIA ha affidato il compito di raccogliere tutte le informazioni in relazione alle attività della criminalità organizzata e, quindi, un compito notevolissimo. Ma in mancanza di poteri adeguati, esso è destinato a rimanere più che altro sulla carta. Siano almeno conferiti i poteri della polizia giudiziaria. Per quanto riguarda gli strumenti, il diritto comparato fornisce l'interessante esperienza della Repubblica Federale Tedesca, dove una legge emanata nel 1978 ha attribuito agli uffici per la sicurezza maggiori poteri autorizzando ad aprire e visionare la posta, nonché ad intercettare e registrare su nastro messaggi telematici e telefonici quando si tratta di particolari reati, senza doversi rivolgere al magistrato mentre una legge del 1990 ha legittimato, quando lo richieda la tutela della Costituzione, un ufficio strettamente collegato ai Servizi a far uso di strumenti, come l'impiego di persone di fiducia, pedinamenti, registrazioni, documenti di accesso, distintivi di copertura per acquisire in via riservata le opportune informazioni, previa apposita disposizione di servizio autorizzata dal Ministro dell'Interno che ne deve informare la Commissione parlamentare di controllo. Per quanto riguarda le garanzie, può, invece, richiamarsi l'esempio inglese, fornito da una legge del 1994 che abilita il Ministro degli esteri a conferire al sistema informativo segreto specifici "mandati" in forza dei quali gli operatori, nel rispetto di un'articolata disciplina, possono compiere intrusioni ambientali, telematiche o telefoniche. Quanto a noi, salvo a meditare meglio sulle indicazioni provenienti dall'esterno, per dare più copertura viene patrocinata da più parti la previsione di una esimente ad hoc. Là dove non vige l'obbligatorietà dell'azione penale, è chiaro che un comportamento illegittimo tenuto dai Servizi secondo direttive gradite all'Esecutivo non verrà perseguito, ma, là dove l'obbligatorietà dell'azione penale impone di perseguire chiunque l'abbia commesso, non vi è altra via che quella di introdurre una specifica causa di giustificazione, perché l'art. 51 dell'attuale codice penale non è sufficiente. Occorre estenderne espressamente l'ambito agli appartenenti ai Servizi per fatti inerenti all'ufficio, ovviamente fatta salva l'esigenza che il magistrato che sta procedendo e a cui viene risposto che si è operato nell'ambito di un dovere di ufficio, possa avvalersi di un'attendibile verifica confermativa. Altrettanto ovviamente, questo accertamento, da compiere al più presto possibile, deve svolgersi in via riservata. Bisogna, infatti, evitare che la verifica della sussistenza dell'esimente divenga, in caso positivo, di dominio pubblico per ben comprensibili ragioni, a meno di adottare il modello tedesco, dettando precise norme che diano ai Servizi una serie di poteri definiti una volta per tutte, oppure, ancor più improbabilmente, il sistema inglese, dando per ogni intervento o serie di interventi ad un organo dell'esecutivo il potere di conferire un "mandato" che autorizzi i Servizi a compiere un atto altrimenti illegittimo. si tratterebbe, in definitiva, da un lato, di aggiungere un comma all'art. 51 del
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codice penale, magari approfittando della rinnovata spinta ad una revisione della parte generale, e, dall'altro, di introdurre, in sede di revisione del codice di procedura penale, una norma che preveda una forma di verifica dell'eccepita esimente, rispettandone il segreto in un'ottica che meglio ne ridisegni l'intero quadro. Lasciamo, invece, ad una nuova legge sui Servizi tutto ciò che ne riguarda l'organizzazione e il controllo, inserendovi quelle previsioni di riserbo che debbono accompagnare i rapporti con il Comitato Parlamentare, nucleo specifico del settore. Ci vuole, in ogni caso, grande buona volontà da parte di tutti e, ancor più, senso dello Stato, essendone in questione la sicurezza. Poiché abbiamo una normativa che non funziona bene e che dà luogo a una serie di inconvenienti, in un senso e in un altro il problema va affrontato. Il fatto che sia difficile non è una buona ragione per rimandarlo. Anzi, quanto più un problema importante è difficile, tanto più gli uomini dotati di buona volontà e, aggiungo, di alto senso di responsabilità, devono affrontarlo. Credo che questo sia un appello da indirizzare anche alle forze politiche. (*) Relazione tenuta dal Prof. Giovanni CONSO, Presidente emerito della Corte Costituzionale, per il ciclo di Conferenze organizzato dalla Scuola di Addestramento del SISDe nell'anno accademico 1994/95 (Roma, 1° giugno 1995).
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Vanna PALUMBO - Sistemi informatici e tutela dei dati personali alla luce dell'accordo di Schengen (*)
1. Introduzione La generale tendenza a disporre per gli scopi più vari - militari, amministrativi, professionali, commerciali di una notevole quantità di archivi informatizzati che contengono una quantità di dati impressionante, il cui trattamento in tempo reale consente una crescita notevolissima delle capacità conoscitive e delle possibilità di intervento nel settore considerato, viene bilanciata, per così dire, dalla consapevolezza che questo accrescimento deve avvenire, per non risultare eccessivamente traumatico e pericoloso, in modo ordinato e secondo regole predefinite. A partire dagli anni sessanta gli Stati più industrializzati, ove l'applicazione dei nuovi strumenti informatici alla vita sociale, culturale, economica del paese cominciava a far sentire la sua influenza, si sono misurati con l'idea di proteggere i singoli individui esposti nella loro sfera più interna e profonda a trattamenti di vario genere e spesso inconsapevolmente. Le persone si trovavano quindi ad essere sia soggetti attivi - in quanto utilizzatori di banche dati - sia soggetti passivi (essendo i loro stessi dati personali inseriti ed elaborati dagli archivi informatizzati). Il passaggio dalla raccolta manuale (archivio cartaceo) a quella informatizzata ha consentito di trattare e incrociare in tempi assolutamente brevi una enorme massa di dati provenienti da diversi archivi, costruiti per differenti finalità e operanti da diversi punti del territorio nazionale ed estero. Si è pertanto fatta strada l'esigenza di proteggere la persona durante questo processo e ciascun Paese ha adottato nel tempo le disposizioni legislative e le procedure che riteneva più opportune a perseguire lo scopo anzidetto compatibilmente con il proprio sistema giuridico, sociale, culturale e tenendo conto degli interessi preminenti, sia pubblici sia privati. Poiché tuttavia le potenzialità di danno alla persona a causa del trattamento non esplicavano i loro effetti solamente sul territorio dello Stato ove il dato era raccolto, in quanto in una moderna società industriale gli scambi di informazioni e le interrelazioni sono continue e funzionali alla crescita stessa, si è fatta strada la consapevolezza che non fosse più sufficiente una disciplina nazionale del fenomeno, ma che andasse favorita e stimolata la definizione di un quadro legale generale a livello europeo, dettando una sorta di disciplina comune, cui rapportare l'azione dei singoli Stati. Dagli anni '70 questo tentativo ha impegnato le più rilevanti organizzazioni internazionali "regionali" (OCSE, Consiglio d'Europa, Comunità Europea) ma è solo nel 1981 che si perverrà alla firma della Convenzione europea sulla protezione delle persone riguardo al trattamento automatizzato di dati di carattere personale, elaborata dal Consiglio d'Europa (convenzione n. 108 del 28 gennaio 1981), cui successivamente si sono aggiunte Raccomandazioni settoriali, come ad esempio la Racc. (87) 15 sull'utilizzazione dei dati a fini di polizia. La Convenzione 108 introduceva e dettava alcuni princìpi chiave, corrispondenti all'idea generale dell'esistenza di un diritto all'informazione da parte dell'individuo, cioè del suo diritto di effettuare un controllo sull'uso dei propri dati personali inseriti in un archivio elettronico. La Convenzione lasciava poi agli Stati la scelta di come introdurre i princìpi nei propri ordinamenti. Per migliorare e "armonizzare" l'approccio dei Paesi membri delle Comunità europee sull'argomento e, quindi, per rendere più incisivi e omogenei nell'applicazione i princìpi già contenuti nella Convenzione 108, la Commissione europea, sul finire del 1990, ha presentato un "pacchetto" di proposte, tra cui spicca la proposta di Direttiva sulla tutela delle persone fisiche riguardo al trattamento dei dati personali. Si cercava così di definire un cerchio concentrico di diametro più ristretto nell'ambito dei Paesi firmatari della Convenzione di Strasburgo (cioè quelli facenti parte del Consiglio d'Europa), con omogeneità di regole e comportamenti nei rapporti interni tra singoli Stati e nei confronti dei Paesi terzi, derivante dai reciproci vincoli della comune appartenenza alla Comunità europea. Analoga tendenza a partire dalla Convenzione di Strasburgo per definire un ambito di collaborazione più stretto si è riscontrato anche, in particolare, tra i Paesi aderenti all'Accordo di Schengen, relativo alla
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soppressione graduale dei controlli alle frontiere comuni. Nella Convenzione di applicazione, firmata nel luglio 1990, si prevede l'istituzione del Sistema Informativo Schengen (S.I.S.), considerato lo strumento fondamentale per assicurare il perseguimento delle finalità dell'accordo stesso. Il S.I.S., nelle intenzioni dei contraenti, costituisce una "misura compensativa" alla caduta dei controlli, doganali e di polizia, e un imprescindibile strumento per garantire la cooperazione giudiziaria e di polizia, anche transfrontaliera. Nella Convenzione, il Capitolo secondo è dedicato alla gestione e utilizzazione del sistema, mentre il successivo Capitolo terzo detta regole specifiche in materia di protezione dei dati personali e di sicurezza dei dati: nel definire i princìpi che sovraintendono alla raccolta e al trattamento dei dati anche qui gli Stati contraenti fanno riferimento alla Convenzione del consiglio d'Europa cui si aggiunge, come anticipato, per la sua specificità, la Raccomandazione (87) 15 sui dati della polizia.
2. Lo sviluppo dei sistemi informatici e il rispetto della vita privata Il nuovo rapporto che si è venuto a instaurare tra cittadini e tra questi e lo Stato nella moderna società tecnologica ha dato luogo, come abbiamo visto, al sorgere del potere informatico e della libertà informatica come diritto soggettivo. Si è dunque posto il problema fondamentale di come regolare il rapporto tra potere e libertà e in questa nuova forma sono state, perciò, adottate soluzioni diverse, che corrispondono a scelte decisionali diverse nella determinazione del limite tra potere pubblico di controllo e di intervento e libertà privata di iniziativa per la raccolta e la tutela delle informazioni. I progressi dell'informatica hanno reso possibile il trattamento massiccio e rapido di dati differenti e il loro incrocio. I tipi di informazioni che possono essere inseriti in un elaboratore elettronico non sono sottoposti a limitazioni. Queste informazioni, che possono essere contenute in archivi sia privati sia pubblici, comprendono dati statistici, tecnologici, lavori di ricerca e di essi alcuni possono essere resi di pubblico dominio, altri no. Le informazioni, infatti, possono assumere un carattere di delicatezza o sensibilità con riferimento agli aspetti politici, commerciali oppure rispetto alla sfera personale del soggetto interessato e l'utilizzo non legittimo di queste informazioni può avere conseguenze diverse a seconda della loro natura e del grado di sensibilità. Nel corso dell'ultimo secolo, come osserva Frosini, la cultura giuridica delle società occidentali ha elaborato un nuovo diritto soggettivo, riferito al soggetto umano in quanto collocato in una trama di relazioni sociali con gli altri soggetti, che è stato chiamato "the right to privacy", traducibile in italiano come "diritto alla riservatezza", s'intende alla riservatezza della propria vita privata, cioè alla tutela dell'intimità personale. Questo nuovo diritto, che si configura come caratteristico delle società industriali di massa, in cui l'informazione è divenuta il prodotto di mezzi di comunicazione di massa, è un diritto di libertà attribuito all'uomo come singolo, che è stato poi esteso anche alle formazioni sociali in cui l'uomo svolge la sua attività al pari degli altri diritti inviolabili o diritti umani riconosciuti in Italia dalla Costituzione all'art. 2. Esso è stato attribuito a tutti gli uomini dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (art. 12: divieto di ogni interferenza arbitraria con la privacy). La concezione che aveva ispirato l'enunciazione del diritto alla riservatezza e, quindi, la definizione dell'essenza del diritto stesso ha subìto, nella seconda metà di questo secolo, un cambiamento, essendosi arricchito il suo contenuto: esso viene infatti oggi riferito specificamente alla libertà negativa di informazione nei confronti delle raccolte di dati personali negli archivi magnetici degli elaboratori elettronici; ossia della facoltà di rifiutare o di vietare l'uso dei propri dati per l'impiego nelle banche dati informatiche, pubbliche o private. Questa nuova forma di libertà negativa corrisponde alla libertà positiva di esercitare un diritto di controllo sui dati riferiti alla propria persona, che siano già usciti dalla sfera della riservatezza per diventare elementi di un archivio elettronico privato o pubblico. È questa la libertà informatica, che consiste nel diritto di autotutela della propria identità informatica, ossia quale essa risulta dalla raccolta e dal confronto dei dati personali inseriti nella memoria del calcolatore. Si verifica, quindi, un vero e proprio dualismo tra diritto alla riservatezza e diritto all'informazione. Per Frosini, nella società informatizzata, che rappresenta ormai il destino delle società industriali avanzate, tutti i cittadini sono ormai esposti, fin dalla nascita, al rischio di una metaforica espropriazione della loro
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identità, in quanto soggetti ad un potere informatico sempre più diffuso, più particolarizzato, più penetrante. Si pensi alla carta d'identità obbligatoria, all'anagrafe sanitaria, a quella fiscale, agli archivi magnetici dei pagamenti effettuati con carte di credito, alle schede e carte di credito telefoniche, alle prenotazioni di viaggi aerei ecc., insomma a tutte quelle forme di registrazione e di sorveglianza elettroniche cui il cittadino non può sottrarsi. Il potere informatico è un potere di informazione e il "right to privacy" è, perciò, diventato un diritto di libertà informatica. Esso tuttavia non può essere configurato come una difesa della personalità dall'invadenza altrui, giacché la schedatura informatica è una necessità ai cui vantaggi non si può rinunziare, ma va intesa come una forma di partecipazione responsabile al controllo collettivo, come un potere privato di controllo dell'informazione. I cittadini che vedono la graduale introduzione del computer nella amministrazione pubblica si formeranno un'idea sia dei vantaggi sia degli inconvenienti che esso comporta. Apprezzeranno la rapidità, la chiarezza, la logica con cui è trattata l'informazione nei processi amministrativi che li riguardano; ma potrebbero preoccuparsi per ciò che può apparire loro come un incremento del potere delle autorità conseguente all'informatizzazione dell'attività amministrativa. Uno dei timori più fortemente espressi è quello che la diffusione dell'uso dei computers e la creazione di banche-dati e archivi strutturati possa consentire ad alcune amministrazioni di scambiarsi delle informazioni sulle stesse persone, permettendo così allo Stato di formulare e aggiornare un esatto profilo di tutte le caratteristiche che costituiscono la personalità dei singoli cittadini, al di fuori e al di là della volontà e conoscenza da parte degli stessi. Anche se in realtà non è affatto semplice costruire tali profili, per l'esistenza di una serie di difficoltà tecniche, ciò nonostante, questa capacità potenziale della pubblica amministrazione moderna ha alimentato in alcune persone il timore della perdita della propria sfera di riservatezza, della propria intimità. Inoltre, la possibilità che la stessa informazione possa essere usata per più di uno scopo - e cioè al di fuori delle finalità per le quali è stata raccolta - proprio poiché diverse branche dell'amministrazione possono accedervi, ha determinato molti dubbi circa i reali scopi per cui l'informazione viene richiesta e circa la confidenzialità dell'informazione stessa. Una difficoltà implicita nei dibattiti sulla difesa della privacy di fronte alle banche pubbliche di dati deriva dal delicato problema di trovare un equilibrio tra i diversi interessi. I Governi devono affrontare da un lato i difensori dei diritti della persona che richiedono misure volte ad assicurare la natura confidenziale dei dati di cui lo Stato dispone riguardo ai cittadini e dall'altro coloro i quali richiedono l'eguale e libero accesso dei cittadini alle informazioni a disposizione delle autorità pubbliche. La nozione di vita privata, come già rilevato, non ha valore assoluto ma dipende largamente dalle idee e dalla cultura di ciascuna società; si tratta in realtà di un concetto tratto dalla sociologia, che sfugge quindi ad una definizione giuridica precisa. Nelle Linee direttive dettate dall'OCSE si definisce dato di carattere personale ogni informazione relativa a una persona fisica identificata o identificabile. Il problema che pone l'informatizzazione per quanto concerne la vita privata è quindi quello di sapere se lo sviluppo della attività di raccolta e trattamento dell'informazione, ai diversi fini sia pubblici sia privati, se non adeguatamente controllata possa portare ad un enorme potere di infiltrazione e di controllo da parte dello Stato sulla vita degli individui, nonché sull'attività delle organizzazioni e delle persone giuridiche. Questo può far sì che gli individui percepiscano la stessa attività come una minaccia addirittura duplice: una minaccia proveniente dallo Stato e una che origina dal soggetto privato che ha il possesso dei dati personali che li riguardano. Da ciò discende che gli interventi a tutela della vita privata si accompagnano, di regola, a quelli adottati a tutela dei dati di carattere personale. Eppure alcuni aspetti della protezione dei dati di carattere personale non hanno legami immediati con la vita privata, come, ad esempio, l'utilizzo di informazioni inesatte o incomplete come base di decisioni suscettibili di incidere sui diritti o sulle situazioni giuridiche soggettive. Tuttavia, nonostante le difficoltà e le difformità delle definizioni il punto fondamentale è e resta sempre il medesimo: quello di stabilire un equilibrio tra il diritto dell'individuo a misure di protezione della sua vita privata contro indebite interferenze attraverso la tutela dei dati di carattere personale e di consentire il migliore svolgimento dell'attività della pubblica amministrazione - ove il trattamento dei dati sia effettuato dal settore pubblico - ovvero la libera circolazione dei dati, qualora il trattamento sia effettuato da privati. Dagli anni '70 nelle legislazioni degli Stati maggiormente industrializzati e, quindi, più sensibili a questo tipo di problemi, sono state introdotte numerose disposizioni per regolare il fenomeno tutelando la
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riservatezza. Tutti i Paesi con legislazione sulla protezione dei dati personali hanno istituito l'obbligo di provvedere ad una registrazione delle banche dei dati. La regolamentazione prevista per la loro tenuta può riguardare il settore pubblico o quello privato o tutti e due. Può, in quest'ultima ipotesi, dettare una disciplina generale valida per entrambi, oppure differenziare i princìpi e le modalità di esercizio. Alcuni Paesi proteggono, poi, solo i dati relativi a persone fisiche, con riferimento al loro uso da parte delle pubbliche amministrazioni, altri invece tutelano anche i dati delle persone giuridiche private. La composizione dell'organo competente per la protezione dei dati appare anch'essa molto differenziata nei vari Paesi. Altro problema è rappresentato dall'ambito di applicazione delle norme. La legislazione di tutela deve applicarsi solo agli archivi di dati elettronici o può estendersi anche agli archivi manuali strutturati? Ciascun Paese ha affrontato la questione con le proprie tradizioni, la propria cultura e in base al proprio sistema giuridico: alcuni hanno preferito dettare una disciplina di carattere generale, altri hanno privilegiato un approccio settoriale, dettando regole differenziate per i diversi settori di attività (es. banche, assicurazioni, attività medica, attività di polizia) - ancorché talora non disgiunto dalla previsione di talune regole generali - alcuni hanno introdotto la distinzione fra trattamento effettuato nel settore pubblico e trattamento effettuato in quello privato, altri hanno preferito disciplinare soltanto il primo, lasciando al privato la facoltà di organizzarsi attraverso l'adozione di codici di condotta. Corrispondentemente alla necessità di definire i diritti dell'individuo, e in alcuni casi anche delle persone non fisiche, nonché i mezzi di ricorso che l'ordinamento predispone a tutela degli stessi, si pone la questione di pronunciarsi sulla necessità o meno di istituire un organismo di protezione dei dati dotato di requisiti di indipendenza e di una certa stabilità nel tempo cui affidare i compiti di registrazione delle banche-dati esistenti, consulenza e controllo. Quasi tutti i Paesi europei che negli anni si sono dotati di una legislazione specifica sulla protezione dei dati si sono orientati in questo senso e così sembrano del pari inclini a fare la Proposta di Direttiva comunitaria, nonché le iniziative legislative presentate al Parlamento italiano. Il dibattito sulla tutela dei dati di carattere personale riguarda sia le banche-dati c.d. interne sia quelle destinate alla attività commerciale. Sono, infatti, assoggettate alle regole dettate tutte le organizzazioni (private e pubbliche) che posseggano una o più banche-dati. Un elemento fondamentale è poi quello di individuare il responsabile del trattamento. Le regole di tutela dei dati sovraintendono al modo in cui le informazioni relative alle persone sono raccolte, trattate, diffuse, anche oltre le frontiere del paese; esse si applicano prescindendo alla verifica dell'esattezza dei dati in questione. Basta il solo fatto che il gestore o responsabile della banca-dati abbia inserito o trattato delle informazioni di carattere personale senza rispettare le norme che presiedevano alle rispettive operazioni (ad es. il consenso della persona interessata). Ove invece si sia in presenza di una divulgazione di informazioni false e lesive della reputazione del soggetto cui si riferiscono, al responsabile saranno applicabili le opportune sanzioni penali. Nella Proposta di Direttiva europea una questione chiave è rappresentata, appunto, dal consenso della persona interessata: secondo quanto previsto, il trattamento e la diffusione di dati possono essere legittimamente effettuati solo se la persona cui i dati si riferiscono abbia dato il suo consenso dopo essere stata informata dal responsabile dell'archivio degli scopi della raccolta. L'attenzione che le istituzioni e le organizzazioni a livello europeo hanno dimostrato al problema della tutela della vita privata in relazione alla creazione e all'uso di banche-dati su base elettronica nasce sicuramente dall'esigenza di stabilire un quadro giuridico e di azione comuni. Al riguardo molto sensibili sono stati l'OCSE, il Consiglio d'Europa e, più recentemente, le Istituzioni comunitarie. La loro azione ha avuto ed ha un ruolo importantissimo di riferimento per le legislazioni nazionali adottate negli anni, anche se è pur vero che i loro stessi interventi hanno in un certo senso preso l'avvio proprio grazie all'esperienza dei Paesi al riguardo più avanzati. Il riconoscimento delle possibili conseguenze del trattamento e della diffusione elettronica dei dati è alla base delle Linee direttive in materia di protezione della vita privata e sul flusso transfrontaliero dei dati, emanate dall'OCSE nel 1981 e della quasi coeva Convenzione n. 108 del Consiglio d'Europa sulla protezione delle persone nei riguardi del trattamento informatizzato dei dati di carattere personale. A questi strumenti sta per aggiungersi la proposta di Direttiva della Commissione europea. Per quanto concerne più specificamente i dati di polizia, cioè i dati di carattere personale raccolti e trattati nelle banche-dati gestite dalle forze di polizia, va fatto inoltre riferimento alla Raccomandazione n. (87) 15
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del Consiglio d'Europa, ai capitoli della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen e, infine, alla proposta di Direttiva comunitaria istitutiva del S.I.E. (Sistema informativo europeo).
3. L'attività del Consiglio d'Europa e la Convenzione di Strasburgo del 28 gennaio 1981, n. 108 Nel 1971 un sottocomitato del Comitato di Cooperazione giuridica (CD-CJ) ricevette l'incarico di studiare gli aspetti civilistici del diritto alla vita privata in correlazione con le realizzazioni scientifiche e tecniche moderne. Preso in esame il rapporto del Comitato di esperti in materia di diritti dell'Uomo e tenuto conto della raccomandazione n. 509 (1968) dell'assemblea consultiva relativa alle realizzazioni scientifiche e tecnologiche moderne, il sottocomitato concluse i suoi lavori affermando la priorità del problema della protezione della vita privata dell'individuo di fronte alle banche automatizzate di dati. Il Comitato dei Ministri decise di istituire un apposito Comitato di esperti sulla protezione della vita privata nei confronti delle banche-dati cui conferì il mandato di studiare un'azione appropriata di intervento nel settore. Avendo il rapporto degli esperti messo in evidenza l'inadeguatezza delle legislazioni degli Stati parte, tra il 1972 e il 1973, il CD-CJ esaminò e sottopose al Comitato dei Ministri le proposte formulate dagli esperti. Sulla base di questi lavori il Comitato dei Ministri adottò nel 1973 e nel 1974 due Risoluzioni concernenti la protezione della vita privata dell'individuo di fronte alle banche-dati automatizzate, nel settore privato e nel settore pubblico, lasciando liberi gli Stati di scegliere le modalità più opportune per renderle operative nella propria legislazione interna. L'allegato della Risoluzione (73) 22 ha enucleato dieci princìpi base da adottare nel settore privato: I. le informazioni registrate devono essere esatte e aggiornate. I dati sensibili (cioè quelli su razza, sesso, opinioni politiche, religiose nonché altri dati che possono essere usati in maniera discriminatoria per il soggetto) non devono, come regola, essere registrati o diffusi; II. le informazioni devono essere adeguate e pertinenti in rapporto alle finalità per cui sono state registrate; III. le informazioni non devono essere ottenute con mezzi fraudolenti o sleali; IV. debbono essere stabilite regole per determinare il periodo al di là del quale certe categorie di informazioni non possono essere più conservate o usate; V. senza apposita autorizzazione dei soggetti i cui dati sono stati inseriti nella banca-dati le informazioni relative non possono essere utilizzate a fini diversi da quelli della registrazione, né comunicati a terze persone; VI. le persone cui si riferiscono le informazioni hanno il diritto di conoscere i loro dati, le finalità per le quali erano stati raccolti e immagazzinati, e le comunicazioni effettuate; VII. si deve adottare la massima diligenza per correggere le informazioni inesatte e per cancellare quelle obsolete o ottenute con mezzi illeciti; VIII. devono essere prese precauzioni contro gli abusi o il cattivo uso delle informazioni. Le banche-dati elettroniche devono essere dotate di sistemi di sicurezza che impediscano a persone non autorizzate di accedere alle informazioni, di accertare eventuali fughe di notizie e individuarne gli autori; IX. l'accesso ai dati deve essere limitato alle persone che hanno un interesse legittimo. I tecnici responsabili debbono attenersi a regole di condotta destinate a impedire il cattivo uso dei dati e in particolare a informare la condotta professionale; X. i dati statistici non possono essere diffusi che in forma aggregata e in modo tale che non possano portare alla identificazione di specifici individui. L'allegato alla Risoluzione (74) 29, relativa al settore pubblico, conteneva i seguenti otto princìpi: 1. il pubblico deve essere regolarmente informato della creazione, del funzionamento e dello sviluppo delle banche dati elettroniche nel settore pubblico; 2. le informazioni debbono essere ottenute mediante mezzi leciti, essere esatte e aggiornate, adeguate e pertinenti alle finalità perseguite. Si deve adottare la massima diligenza per correggere le informazioni inesatte e per cancellare quelle inadeguate, non pertinenti e obsolete; 3. nel caso di banche dati che trattano informazioni concernenti l'intimità della vita privata delle persone o quando il trattamento delle informazioni può essere all'origine di discriminazioni: a) la loro creazione deve essere prevista da una legge o da un regolamento speciale e la loro esistenza deve essere resa pubblica in conformità con il sistema giuridico di ciascuno Stato parte; b) le leggi e i regolamenti sopra citati devono precisare le finalità della registrazione e della utilizzazione di
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tali informazioni, così come le condizioni alle quali esse potevano essere comunicate all'interno del settore pubblico o a persone e a organismi privati; c) le informazioni registrate, salvo deroghe espressamente autorizzate, non devono essere utilizzate a fini diversi da quelli stabiliti; 4. devono essere stabilite delle regole per determinare il termine al di là del quale certe categorie di informazioni non possono essere più conservate o utilizzate, fatta eccezione per utilizzazioni a fini statistici, scientifici o storici; 5. ciascuna persona ha il diritto di conoscere le informazioni registrate sul suo conto. Qualsiasi eccezione a questo principio o qualsiasi limitazione all'esercizio del diritto deve esser strettamente regolata; 6. devono essere adottate precauzioni contro qualsiasi abuso e cattivo uso delle informazioni; 7. l'accesso alle informazioni che non possono essere comunicate liberamente al pubblico deve essere consentito solo alle persone autorizzate a prenderne conoscenza per l'esercizio della loro funzione; 8. i dati utilizzati a fini statistici possono essere diffusi solo qualora sia stata resa impossibile la loro attribuzione ad una persona determinata. Tuttavia, nonostante l'introduzione di questi princìpi, la protezione dell'individuo poteva lo stesso essere frustrata e grandemente circoscritta a causa della notevole crescita delle trasmissioni di dati da un Paese all'altro. Il flusso e il trattamento transfrontaliero dei dati potevano consentire infatti di aggirare le disposizioni esistenti in un Paese e operare la raccolta e il trattamento in altro Paese privo di strumenti giuridici di tutela: proprio per queste ragioni allora il Consiglio d'Europa predispose un progetto di Convenzione, che fu poi approvata dal Comitato dei Ministri il 17 settembre 1980 e quindi firmata il 28 gennaio 1981 (n. 108). La Convenzione mirava a rinforzare e integrare le legislazioni esistenti nei Paesi aderenti al Consiglio d'Europa garantendo un eguale standard di protezione ai cittadini dei Paesi contraenti e obbligando al rispetto di questo standard, definito minimo, anche nei flussi transfrontalieri di dati. La Convenzione, all'art. 4, richiede, quale condizione essenziale della sua entrata in vigore nei confronti di ciascuno Stato, che questo attui nella sua legislazione interna i princìpi fondamentali elencati nel Capitolo II della stessa Convenzione. Tali princìpi attengono alla qualità (art. 5) e alla sicurezza dei dati (art. 7), al divieto di elaborazione informatica di determinate categorie di dati (i dati c.d. sensibili) salvo idonee garanzie per il trattamento (art. 6), al diritto di accesso e ai diritti complementari della persona interessata (art. 8), alle sanzioni e alle forme di tutela (art. 10). Come esplicitato nella stessa relazione illustrativa al Disegno di legge di ratifica della Convenzione, i princìpi su richiamati determinano: - che i dati vanno ottenuti ed elaborati in modo lecito e corretto e registrati e impegnati per scopi determinati e legittimi; essi, inoltre, debbono essere esatti e conservati in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate e per una durata non superiore a quella necessaria per il raggiungimento delle finalità perseguite; - i dati stessi vanno protetti contro la distruzione, l'accesso e la diffusione non autorizzata; - i dati personali indicanti l'origine nazionale, le opinioni politiche, i credi religiosi e quelli relativi alle condanne penali, allo stato di salute o alla vita sessuale non possono essere elaborati automaticamente se non con l'adozione di speciali garanzie; - ogni persona deve poter essere informata dell'esistenza di un casellario automatizzato di dati a carattere personale, dei fini dello stesso, dell'identità e residenza del suo responsabile; deve avere la possibilità di sapere se in tale casellario siano registrati dati ad essa relativi, di conoscerne il contenuto e di ottenerne la rettifica o la cancellazione ove siano stati elaborati in violazione delle norme della Convenzione; deve, infine, disporre della facoltà di ricorso. Deroghe a tali princìpi sono consentite solo in pochi casi predeterminati dall'art. 9; in particolare, quando ricorrano ragioni pertinenti alla sicurezza dello Stato, alla sicurezza pubblica, agli interessi monetari dello Stato e alla repressione di reati. Il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione, che è entrata in vigore sul piano internazionale il 1° ottobre 1985, con la legge 21 febbraio 1989, n. 98, ma, come meglio emergerà nel successivo capitolo III, non ha ancora adottato la necessaria normativa interna di carattere generale sulla protezione dei dati, secondo quanto prescritto dall'art. 4 della Convenzione e questa non può quindi avere vigore nel nostro Paese se non dopo aver conseguito il suddetto adempimento. Tornando brevemente alle disposizioni della convenzione n. 108, questa contiene tre gruppi di previsioni: la
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prima (cap. III) individua le regole per il trasferimento di dati personali attraverso le frontiere, la seconda (cap. IV) disciplina le modalità per la reciproca assistenza e per la cooperazione tra le parti contraenti. Il capitolo V prevede la costituzione di un Comitato consultivo in cui sono rappresentati tutti gli Stati ratificanti ed è ammessa la partecipazione di altri Stati in qualità di osservatori (l'Italia ha recentemente ottenuto di farvi parte, grazie alla presentazione in Parlamento, nel corso della XI Legislatura, del disegno di legge n. 1526): il Comitato ha il compito di seguire l'applicazione della Convenzione, verificare i problemi eventualmente insorti, fare proposte ed emettere pareri, nonché proporre emendamenti alla stessa. Ed è proprio nell'ambito di questo Comitato che si è deciso di concentrare l'attività, una volta sanciti i princìpi comuni di base, definendo regole per interventi settoriali, contenuti in specifiche Raccomandazioni che potessero tenere nella dovuta considerazione le peculiarità di ciascuno dei settori disciplinati. Ad esempio nel 1981 relativamente alle banche dati nel settore della sanità, nel 1983 in quello della ricerca scientifica, nel 1985 sul marketing, nel 1987 riguardo alle banche dati nel settore della polizia.
4. L'attività della Comunità Europea L'altro grande punto di riferimento, a livello europeo, è da rinvenirsi nell'attività svolta dalle Istituzioni comunitarie. Fin dal 1973 la Commissione, in una comunicazione al Consiglio relativa alla politica della Comunità per l'informatica, metteva in rilievo la necessità di tutelare i diritti dei cittadini di fronte alla creazione di banche-dati. Nel 1975 il Parlamento europeo approvò una relazione che prospettava l'urgenza di pervenire a una Direttiva sul tema della libertà dell'individuo e informatica. Nel 1977 il Consiglio dei Ministri affidava alla Commissione lo svolgimento di studi congiunti sui temi della sicurezza, sulla valutazione e realizzazione di sistemi informatici. Sempre il Parlamento europeo nel 1979 votava una Risoluzione che impegnava la Commissione a preparare, tenendo conto delle raccomandazioni elaborate dallo stesso Parlamento, una proposta di Direttiva relativa all'armonizzazione delle legislazioni sulla tutela dei dati. La concretizzazione di quanto richiesto dal Parlamento ha però tardato altri dieci anni: è solo alla fine del 1990 che la Commissione presenta un "pacchetto" di interventi, di cui il più incisivo è la proposta di Direttiva (doc. COM (90) 314 final, SYN 287) relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali. Come rileva la stessa Commissione nel presentare la proposta, "il crescente ricorso al trattamento di dati personali in tutti gli aspetti delle attività economiche e sociali, come anche le nuove esigenze in materia di scambio di dati connesse con il rafforzamento della costruzione comunitaria, rendono indispensabile nella Comunità l'adozione di misure volte a garantire la protezione delle persone relativamente al trattamento dei dati personali e a rafforzare la sicurezza del trattamento dei dati nel contesto, in particolare, dello sviluppo delle reti aperte di telecomunicazioni". Da un lato i progressi compiuti nel campo delle tecnologie dell'informazione facilitano notevolmente il trattamento e lo scambio di dati di qualsiasi natura, dall'altro però, sempre nell'analisi della Commissione, lo stato della protezione delle persone relativamente a queste attività differisce profondamente all'interno della Comunità. Anche se, come già accennato, fin dagli anni '70 molti Stati membri si sono dotati di strumenti normativi volti a limitare e a disciplinare l'utilizzazione di questo tipo di dati, alla fine del 1990, data della presentazione della proposta, nonostante l'omogeneità degli obiettivi, continuavano a registrarsi notevoli difformità tra uno strumento e l'altro. Inoltre alcuni Stati, tra cui l'Italia, non avevano ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa e non disponevano pertanto di una legislazione al riguardo. Secondo la Commissione, le diversità degli approcci nazionali - in particolare per quanto concerneva il campo di applicazione (inclusione o meno degli archivi manuali, protezione o meno anche delle persone non fisiche e giuridiche), e le condizioni da rispettare per poter effettuare il trattamento dei dati (portata dell'obbligo di notifica, informazione all'atto della raccolta, trattamento dei dati sensibili) - sussistevano nonostante la ratifica da parte degli stessi Paesi della Convenzione del Consiglio d'Europa - l'unico strumento giuridicamente vincolante elaborato fino a quel momento - e impedivano il completamento del mercato interno (art. 100A dell'Atto Unico Europeo, base giuridica della proposta di Direttiva). L'approccio della Commissione, che informa la proposta di Direttiva, mira a garantire un elevato livello di protezione mediante un sistema comunitario di protezione che si basa su di una gamma di misure tra loro complementari: considerato che le legislazioni nazionali hanno per oggetto di garantire i diritti fondamentali
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delle persone, in particolare quello alla vita privata e tenuto conto che la stessa Comunità si è pronunciata per la protezione dei diritti fondamentali nel terzo paragrafo del Preambolo dell'Atto Unico europeo, l'azione, per la Commissione, non deve avere come effetto di ridurre la protezione, ma, anzi, di garantire un livello più elevato ed omogeneo all'interno della Comunità. Mentre la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali è scopo "diretto" della Convenzione n. 108, questa finalità assume nella proposta di Direttiva un ruolo diverso: essa è considerata - come si evince anche dalla base giuridica proposta - quale presupposto imprescindibile per l'obiettivo primario, che è quello di assicurare che la libera circolazione delle persone, merci, servizi e capitali possa svolgersi, insieme ai compiti delle amministrazioni nazionali degli Stati membri, senza ostacoli. La Commissione ritiene inoltre che, ad integrazione del ravvicinamento a un livello elevato dei diritti riconosciuti alle persone, sia indispensabile intraprendere una politica attiva in materia di sicurezza dei sistemi di informazione. La sicurezza dei sistemi è ritenuta importantissima sia per le persone sia per il commercio, l'industria e le amministrazioni pubbliche, tanto che nel "pacchetto" di proposte quella relativa ad una decisione nella specifica materia è stata esaminata e approvata in breve tempo. Nella proposta di Direttiva generale (SYN 287), è previsto che gli Stati stessi garantiscano i princìpi in essa enunciati. Essi riguardano, in particolare, le condizioni in cui il trattamento dei dati personali è legittimamente effettuato, i diritti della persona interessata (diritto all'informazione, diritto all'accesso, di rettifica, di opposizione), le qualità che debbono avere i dati (esattezza, raccolta effettuata in maniera leale, registrazione per finalità determinate). È inoltre prevista la costituzione di un Gruppo per la protezione dei dati personali con funzioni consultive rispetto alla Commissione e compiti in parte comparabili a quelli del Comitato consultivo previsto dalla Convenzione n. 108. La proposta di Direttiva concerne le attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario svolte sia dal settore pubblico sia da quello privato. Dopo l'adozione della Direttiva, gli Stati membri non potranno più porre restrizioni alla circolazione dei dati personali nella Comunità (ormai divenuta Unione) fondandole sulla protezione della persona interessata, poiché tutte le persone beneficeranno in ogni Stato membro di una protezione equivalente di elevato livello.
5. L'Accordo di Schengen e il Sistema Informativo Schengen L'Accordo di Schengen, firmato nel 1985 da Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, è nato per l'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni e, quindi, si è posto come un esempio di accelerazione del processo d'integrazione Europea. Difatti esso mira a realizzare, soprattutto, quella libera circolazione delle persone che risultava esser uno dei dossiers più spinosi sul tavolo dei Paesi membri della Comunità europea. Con l'Atto Unico del 1987, la realizzazione della libera circolazione delle persone diviene uno degli obiettivi fondamentali per il completamento del mercato interno e, di conseguenza, l'atteggiamento delle Istituzioni europee - soprattutto della Commissione - verso l'Accordo di Schengen è quello di considerarlo come un laboratorio, il banco di prova di un'Europa senza frontiere. Dal 1985 alla metà del 1990 i Paesi aderenti hanno lavorato per predisporre la Convenzione complementare dell'Accordo: infatti l'ambizioso obiettivo non poteva - come apparso ben presto - non essere accompagnato da una analitica ricognizione delle legislazioni e delle prassi amministrative esistenti nei Paesi nelle materie interessate, nonché dalla previsione di una serie di "misure di compensazione" per consentire l'eliminazione delle frontiere interne senza ripercussioni o "deficit di sicurezza". La Convenzione prevede quindi una collaborazione organizzata nei settori giustizia, polizia e immigrazione, cioè proprio in quei settori su cui meno aveva agito l'integrazione comunitaria, essendo tradizionalmente rientranti nella sfera di sovranità nazionale. L'Italia, inizialmente estranea all'Accordo, manifestò il suo interesse ai lavori in corso e fu successivamente ammessa come osservatore. Firmò poi la Convenzione di applicazione nel novembre 1990 e ha recentemente ratificato la Convenzione con la legge 30 settembre 1993, n. 388. Successivamente sono entrate a far parte dell'Accordo di Schengen anche Spagna, Portogallo e Grecia, portando a nove il numero dei paesi dell'unione Europea che vi partecipano. È inoltre imminente l'ingresso dell'Austria, in parallelo con la sua entrata nell'Unione. L'Accordo non è ancora entrato in vigore sul piano internazionale a causa di taluni rinvii dovuti alla non
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perfetta messa a punto dei sistemi di trasmissione e comunicazione di dati. È infatti fondamentale per la funzionalità dell'intero Accordo che si realizzi la piena operatività e la contestuale messa in esercizio del S.I.S. (Sistema Informativo Schengen). Si tratta di un sistema d'informazione comune che si compone di una parte nazionale (N. SIS) e di una parte di supporto tecnico (C.SIS). Le sezioni nazionali sono pressoché identiche e contengono tutti i dati di riferimento. L'unità di supporto centrale, con sede a Strasburgo, assicura che tutti gli N. SIS contengano le stesse informazioni. Infatti i cambiamenti che dovessero essere effettuati dal Paese che immette l'informazione nel sistema dovrebbero essere automaticamente trasmessi dal C. SIS a tutte le sezioni nazionali del S.I.S. Scopo del S.I.S. è quello di mantenere l'ordine e la sicurezza pubblica, inclusa la sicurezza dello Stato, e applicare le disposizioni della convenzione relative ai movimenti delle persone all'interno dei territori degli Stati contraenti attraverso l'utilizzo dei dati forniti dal sistema. Può essere inserito nel S.I.S. soltanto un numero limitato di dati e, precisamente, quelli elencati dall'art. 94; oltre alle informazioni fondamentali per l'identificazione (nome, luogo e data di nascita, sesso, nazionalità), si tratta di altri dati di utilità per lo svolgimento di indagini di polizia (segni di riconoscimento fisici della persona segnalata, l'eventuale presenza di armi, la propensione alla violenza, motivi della segnalazione e sua finalità). Altri dati, in particolare quelli considerati "sensibili" dalla convenzione n. 108 cui Schengen fa espressamente riferimento, non possono essere conservati. Presupposto del sistema è quello di seguire nello spazio la persona segnalata nel S.I.S. Se una persona viene fermata o controllata nel territorio di uno dei paesi Schengen, i funzionari di polizia potranno verificare se la stessa persona figura sulla lista delle persone segnalate. La Convenzione agli artt. 95-99 specifica in quali casi può essere effettuata la segnalazione: - se vi è una richiesta di estradizione; - persone cui è già stato rifiutato l'ingresso in uno dei paesi Schengen (inammissibile ai fini Schengen); - minori o persone scomparse; - testimoni in processi criminali; - persone da sottoporre a sorveglianza discreta (una delle forme di collaborazione tra polizie previste dall'Accordo). Gli articoli da 102 a 118 della Convenzione sono dedicati alla tutela e alla sicurezza dei dati. Il principio di base, fissato dall'art. 102, è che i dati trasmessi al S.I.S. e ivi inseriti possano essere usati solo per gli scopi specifici per i quali è autorizzata la raccolta (principio del fine limitato). Le uniche deroghe consentite riguardano la necessità di prevenire un pericolo serio e imminente all'ordine e alla sicurezza pubblica, per serie ragioni riguardanti la sicurezza dello Stato o per prevenire un crimine. In questa ultima ipotesi però occorre la previa autorizzazione del paese che ha inserito il dato e questo deve riguardare le categorie di persone indicate. È vietato inoltre l'inserimento dei dati del S.I.S. in altri archivi nazionali. L'art. 101 specifica quali autorità nei rispettivi Paesi possono avere accesso ai dati del S.I.S. La Convenzione inoltre detta disposizioni relativamente alla durata o alla permanenza negli archivi informatizzati delle informazioni, specificando che i dati debbono essere conservati solo per il tempo strettamente necessario. Quanto alla posizione della persona interessata, gli artt. 109 e 110 prevedono il diritto di accesso e quello di rettifica. Tuttavia il diritto di accesso deve essere esercitato secondo le leggi nazionali del Paese dove viene invocato. È però nella facoltà della persona scegliere a quale Paese indirizzare la richiesta. Comunque il diritto di accesso può essere rifiutato qualora sia indispensabile per il perseguimento dei fini assegnati oppure per proteggere i diritti e le libertà di terzi; e inoltre quando è stato adottato un provvedimento di sorveglianza discreta e questo riferisca ad esigenze di sicurezza dello Stato. Alla persona interessata viene riconosciuto il diritto di agire in giudizio per far correggere, cancellare o inserire dati, nonché per richiedere il risarcimento dei danni. La Convenzione di applicazione prevede poi che ciascun Paese designi una autorità responsabile, secondo le leggi nazionali, che abbia affidato il compito di operare un controllo indipendente sui "file" contenuti nella sezione nazionale del S.I.S. e per controllare che la raccolta e il trattamento dei dati nello stesso inseriti sia effettuata nel rispetto dei diritti della persona interessata. La stessa Autorità può effettuare, a richiesta, questo controllo.
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