equilibrio e di una nuova stabilità, sentimento che sta ovviamente alla base dei bisogni di una società che ha vissuto un lungo periodo di crisi o uno straordinario momento di tensione, sia nei termini di un’esigenza profonda dal punto di vista culturale, della soddisfazione di un bisogno innato dell’uomo. 2 E proprio qui lo stesso Gentile, nella conclusione del suo saggio , si rifà alle parole del Grande Inquisitore: “Non c’è preoccupazione più assillante e tormentosa per l’uomo, non appena rimanga libero, che quella di cercarsi al più presto qualcuno innanzi al quale genuflettersi”, ed ancora, “questa esigenza di una genuflessione in comune è il più gran tormento d’ogni uomo preso a sé e dell’umanità nel suo insieme fin dal principio dei secoli. Per bisogno di questa generale genuflessione gli uomini si son massacrati l’un l’altro a colpi di spada. Si son creati degli dèi e si sono sfidati l’un l’altro” (…) “E così avverrà fino alla fine del mondo, anche quando saranno scomparsi dal mondo gli stessi dèi: non importa, cadranno in ginocchio dinanzi agl’idoli”.
Movimenti come il bolscevismo, il fascismo – sul quale Gentile si concentra – ed il nazismo si sono attribuiti la funzione, finora propria soltanto della religione, di condurre la vita delle masse, interpretando il loro atavico bisogno più intimo: quello di essere guidate, di ricevere un’interpretazione del significato della vita, di capire il fine ultimo dell’esistenza. Il fascismo ha rappresentato il “primo esperimento di istituzionalizzazione di una nuova religione laica fatto in Europa dai tempi della rivoluzione francese”3, ci dice Gentile. Un esperimento che ha manifestato una sintesi del tutto particolare di miti, simboli, riti di massa, che hanno costituito una rappresentazione liturgica che non si esaurisce nella sua seppur spettacolare valenza estetica, propagandistica, demagogica, ma si inserisce in un complesso sistema di credenze, di valori, che vanno a costituire un vero e proprio culto: si mira a costituire uno stile di vita, a “plasmare la coscienza morale, la mentalità, i costumi della gente, e persino i suoi più intimi sentimenti sulla vita e sulla morte” 4.
L’ AUTORE Emilio Gentile nasce a Bojano, in provincia di Campobasso, nel 1946. Storico italiano di fama internazionale, allievo di Renzo De Felice, attualmente docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, ha insegnato in varie università internazionali, dalla Madison (Wisconsin, USA), al Trinity College di Hartford (Connecticut, USA), fino all’Istituto di Scienze Politiche a Parigi. Fin dalla seconda metà degli anni Settanta, ha svolto studi particolarmente innovativi sul fascismo, rivelandone la natura autenticamente totalitaria e svelandone con efficacia i risvolti ideologici e culturali.
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E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista , Bari, Laterza, 1994, p. 308. 3 E. Gentile, Il culto del littorio, cit., p. 310. 4 Ibidem, p. 312.
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Ha il merito di aver proposto una sistematizzazione teorica e storica del fenomeno della religione politica, della sacralizzazione della politica. Esprime la necessità di una storia della teologia politica, scrivendo nel 1993, proprio ne Il culto del littorio: “Negli ultimi anni, molti progressi sono stati fatti per l’analisi della dimensione religiosa della politica nella società moderna, soprattutto però nel campo della sociologia, mentre siamo ancora agli inizi di una storia delle religioni secolari”%. Nella varietà dei temi affrontati dallo storico si può avvertire una sorta di basso continuo che guida la sua intera riflessione: la comprensione della politica e della storia tramite il ruolo svolto dalle rappresentazioni ideologiche della realtà. Una convinzione questa in cui è ben presente la lezione di George Mosse, storico tedesco-americano, ebreo, omosessuale, antinazista, antifascista (al quale Gentile ha dedicato una 6 biografia ), che sosteneva che gli atteggiamenti diffusi, le mentalità correnti, l’insieme dei miti, delle paure, delle speranze, delle credenze che caratterizzano un’epoca, producono conseguenze storiche concrete, al pari e forse più delle condizioni materiali.
IL TESTO In sei capitoli, corredati da introduzione e conclusione, Gentile, con rigoroso metodo storiografico e straordinaria ricchezza di fonti, illustra passo passo la sua ipotesi interpretativa, nucleo centrale del saggio: dire che il fascismo ha rappresentato una religione laica, una religione politica, non significa strumentalizzare la parola “religione”. Il fascismo non è stato un movimento politico che, appunto, strumentalmente ha adoperato il linguaggio religioso per giustificare e legittimare una politica. L’universo simbolico creato dal fascismo, composto da miti, rituali, monumenti, ha mirato alla creazione di una vera e propria fede, che provocasse una conversione dei “nuovi” italiani ad una religione basata sul culto pagano della Nazione, che traesse la sua forza dai fasti della Roma antica, e comprendesse il culto del partito, dello Stato, supremo custode della morale, educatore, verso il quale fosse un dovere credere ed obbedire. Il tentativo di istituire una religione civile della patria, di sacralizzare la nazione, fu problema estremamente sentito fin dall’inizio del Risorgimento e rimase uno dei nodi fondamentali dello Stato nazionale anche dopo l’unificazione. Tale ricerca non fu condotta soltanto in ambiti laici o rivoluzionari, ma anche nel mondo cattolico. Dalla massoneria, ai giacobini italiani, ai tentativi conciliatori di Vincenzo Gioberti, fino al misticismo politico mazziniano, l’idea di una resurrezione spirituale atta a formare una coscienza morale unitaria collettiva, era sentita come esigenza prioritaria per – usando la famosa espressione di Massimo d’Azeglio – “fare gli italiani”. Ma quale nuova religione adottare? Quali contenuti doveva veicolare? Quali erano gli strumenti più adatti per la sua diffusione nelle masse? Esercito e scuola furono i canali
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Ibid., p. 315. E. Gentile, Il fascino del persecutore. George L. Mosse e la catastrofe dell’uomo moderno, Roma, Carocci, 2007. 6
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privilegiati. Riti, feste, manifestazioni e simboli erano gli strumenti da utilizzare. Ma tra visioni contrastanti, cerimonie commemorative, funerali, riti del rimpianto, folle d’occasione, assenza di entusiasmo e poca sensibilità culturale per l’attuazione di un progetto realmente unitario, gli esiti non furono dei più felici. La ricerca di una religione secolare riprese vigore agli inizi del Novecento nel movimento nazionalista, che elevava la patria a divinità vivente, guardando con ammirazione all’estremo Oriente ed in particolare ai riti di “autoadorazione” giapponesi, ma anche dando il merito alla rivoluzione francese di aver riportato alla luce l’importanza del culto della nazione. La tragica esperienza del primo conflitto mondiale, l’esperienza di morte di massa, diede una spinta ulteriore alla sacralizzazione della politica. Pochi anni dopo, al sorgere del movimento fascista, divenne facile convogliare questo sentimento collettivo, vivo nei reduci, negli intellettuali, nella borghesia patriottica e tra i giovani smaniosi di azione, verso una comune esperienza di fede. Sono gli anni tra le due guerre che Gentile sceglie per condurre la sua ricerca, analizzando l’origine, la formazione e l’affermazione di quello che diverrà il culto del littorio, coincidente con l’acme del fascismo al potere. Lo storico dichiara di aver lasciato ai margini il periodo del secondo conflitto mondiale, con il conseguente crollo del regime fascista, poiché in questo frangente non furono introdotte innovazioni significative nelle forme già istituzionalizzate di culto, e soprattutto perché l’asse si sposterà dalla religione politica alla guerra di religione, tra fascisti e antifascisti. La retorica fascista seppe fin dall’inizio coniare miti, immagini, tormentoni politici, sapientemente divulgati attraverso i mezzi di comunicazione dell’epoca. Le parole d’ordine, tra le altre, furono romanità, modernità, giovinezza, patria, famiglia, dovere. Il culto della personalità del leader politico si impose progressivamente attraverso una mitizzazione in senso eroico di un Paese in realtà debole e uscito sostanzialmente sconfitto dal primo conflitto mondiale. A questo Paese Mussolini seppe vendere il sogno di un impero economico, coloniale, militare, all’altezza delle sue glorie passate. A differenza degli altri movimenti politici, ovviamente non esenti dall’utilizzo di elementi mitologici, il fascismo va a richiamare espressamente il mito e il suo ruolo rigeneratore, in un’Europa giudicata corrotta, decadente, a causa delle idee di democrazia, liberalismo, socialismo. Andando per ordine, nel primo capitolo, intitolato La “Santa Milizia”, Gentile introduce in quel peculiare utilizzo del linguaggio e del mito che ha accompagnato il fascismo fin dalle origini. Userò di seguito il carattere corsivo allo scopo di evidenziare l’utilizzo del lessico e della simbologia propri delle religioni. Il fenomeno dello squadrismo, pienamente inserito nel clima tumultuoso che caratterizzava la vita italiana dei primi anni Venti, si risolse nel gennaio 1923 con la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, destinata ad inquadrare
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le forze paramilitari sinora decentrate: atto questo che spogliava lo Stato della prerogativa di detentore unico della forza. In questo periodo i fascisti, riporta Gentile, si considerarono come pastori, profeti, apostoli, missionari della nuova religione della patria. L’offensiva armata squadrista era definita come una santa crociata contro i profanatori della patria, contro gli eretici, contro i falsi dèi dell’internazionalismo. Il cameratismo delle squadre evoca e si nutre di un senso di comunione. La formula ufficiale del loro giuramento parla di consacrazione in tutto e per sempre al bene d’Italia. Simboli in cui riconoscersi sono il manganello, talismano, amuleto protettore, ed il fuoco, espressione della forza distruttrice e purificatrice (frequenti sono i roghi pubblici dei simboli e dei luoghi di culto dei nemici). E dopo il processo di distruzione e purificazione, avviene quello di redenzione della popolazione: vi si associa il rito della benedizione dei gagliardetti, generalmente effettuata da un sacerdote o dal capo squadrista. La morte occupa un posto centrale in questo universo di senso, ma non è interpretata in modo decadente, pessimista, nichilista, ma come fede nella vita e nell’immortalità. I caduti per la causa fascista sono eroi, da commemorare con devozione, poiché hanno versato il sangue rigeneratore e fecondatore dei martiri (metafora prettamente cristiana). Il rito che maggiormente rappresenta questa fusione tra la morte e la vita, tra il passato e il futuro e che esprime riconoscenza verso l’esempio dato dai caduti per la patria, è il rito dell’appello, vincolo sacro tra i morti e i vivi, congiunti dalla vitalità della fede. A sottolineare il carattere sincretico della religione fascista, che unificava mitologie di diverse derivazioni imprimendovi il proprio marchio in una rinnovata coerenza, venne istituita dal 1924 la celebrazione del Natale di Roma, il 21 aprile, durante la quale si festeggiava anche la festa dei lavoratori, sostituendo la data del primo maggio. Nel secondo capitolo, La patria in camicia nera, Gentile chiarisce quali siano le fasi dell’istituzionalizzazione della liturgia fascista, distinguendone schematicamente tre: dal 1923 al 1926, il fascismo si concentrò sulla conquista, con il monopolio del potere, del pieno controllo dell’universo simbolico dello Stato; dal 1926 al 1932, si operò sul consolidamento, con l’incorporazione del culto della patria: alla fascistizzazione dei riti corrispose la fascistizzazione della storia; nel decennio successivo si conservarono e svilupparono i caratteri acquisiti nel periodo precedente, andando incontro a un processo di cristallizzazione e meccanica ripetitività, secondo un duplice procedimento di riconsacrazione dei riti della tradizione, dell’unità nazionale, della patria risorta da un lato e dell’introduzione nella liturgia dello Stato dei simboli e riti della religione fascista, “attraverso una graduale simbiosi che finì col fascistizzare la «religione della 7 patria»” .
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E. Gentile, Il culto del littorio, cit., p. 65.
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L’omaggio alla bandiera col saluto romano, la sua esposizione negli uffici pubblici, nelle cerimonie militari, nelle manifestazioni di piazza, l’istituzione delle selve votive, della guardia d’onore, rappresentavano più di un atto esteriore: era l’inizio di un radicale mutamento di clima politico, verso il quale non sarebbero più stati consentiti atteggiamenti indifferenti e tantomeno ostili. Sempre in questo capitolo lo storico dedica un’ampia sezione al rinnovo e all’arricchimento del calendario delle feste laiche dello Stato, ognuna con una funzione differente, con le proprie coreografie, e più o meno solennità a seconda dell’interesse che rivestivano nel progetto politico generale (la festa dello Statuto, seppur doverosamente celebrata, non si prestava ad essere incorporata nella liturgia fascista e non venne mai investita di particolare interesse). Il Partito estese il suo controllo sull’apparato celebrativo, fissando le modalità delle cerimonie e, ovviamente, anche qui emergono con forza le metafore religiose, tra il sacro pellegrinaggio di Mussolini al cimitero Redipuglia e l’immagine della resurrezione dell’Italia crocefissa fornita nella stessa occasione dal Duca d’Aosta. Giunto al potere il fascismo accelerò la simbiosi tra la religione nazionale e quella fascista. Per dare un segno imperituro dell’avvento al potere, si suggerì di imprimere sulle monete il fascio littorio8, simbolo dell’Imperium, potere che conferiva al suo titolare la facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non avrebbero potuto sottrarsi. La moneta passa per ogni mano, penetra ovunque – faceva notare un’importante critica d’arte contemporanea a Mussolini. Più tardi venne conferito l’incarico a un illustre archeologo di ricostruire l’immagine del fascio littorio dandogli una rappresentazione più fedele possibile alla simbologia romana. Così il fascio littorio venne introdotto ufficialmente nell’iconografia dello Stato, simbolo di unità, forza, disciplina, giustizia, della tradizione sacra della romanità, strettamente connessa al culto del fuoco sacro. La ripresa della romanità venne adattata al XX secolo, trasferita nella modernità, per la presentazione del fascismo come erede e culmine della tradizione romana. Imboccata la strada della costruzione del regime totalitario, l’istituzionalizzazione dei riti procedette senza tregua con la definitiva identificazione della religione fascista con la religione della patria. Appare lecito a questo punto chiedersi in quali rapporti, con quale stato d’animo la Chiesa si ponesse di fronte a queste manifestazioni, per l’ambiguità insita nel rapporto tra due diverse fedeltà, che miravano entrambe a conferire un significato e un fine ultimo all’esistenza. Vediamo sempre il rapporto del fascismo con il potere religioso come qualcosa di limitante verso le sue aspirazioni totalitarie; il fascismo tentò infatti di servirsi della religione tradizionale per spianare la strada alle sue aspirazioni, presentandosi come restauratore dei valori dello spirito e del prestigio della religione
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Il fascio è un simbolo largamente utilizzato per rappresentare l’autorità in stemmi, vessilli e sigilli di diverse parti del mondo. Si può ritrovare, ad esempio, negli USA, nel simbolo del Senato federale ed inciso sulla porta dello studio Ovale del Presidente, sullo stemma ufficiale ecuadoregno, francese, camerunense…
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cattolica, un atteggiamento salvifico contro l’agnosticismo ed il materialismo che caratterizzavano l’epoca precedente. Ma la competizione per il controllo e la formazione delle coscienze, cauta per calcolo, rimase sempre un nervo scoperto. Lo scrittore, giornalista e politico cattolico Igino Giordani, nel 1924, prima ancora che venisse instaurato il culto della personalità del Duce, aveva messo in guardia la Chiesa nei confronti di questo movimento neopagano che praticava una religione politica. Papa Pio XI condanna la concezione fascista della politica, simile alla statolatria pagana 9; Don Luigi Sturzo dedica moltissime sue pagine nell’analisi del carattere religioso del totalitarismo; teologi cattolici come Jacques Maritain e protestanti come Adolf Keller, Paul Tillich, parlano del fascismo, del comunismo, del totalitarismo come idolatrie e religioni politiche. Non poteva trattarsi di un abbaglio collettivo: non si stava utilizzando il linguaggio religioso soltanto per rivestire la politica di sacralità, ma si era fondata una nuova religione ben codificata, con precisi dogmi, una dottrina propria, che immaginava lo Stato come un soggetto mistico, un arcangelo mondano (titolo del terzo capitolo del saggio in esame, espressione felicemente coniata da Camillo Pellizzi), che andò fino alla pubblicazione, a cura del Partito, di un catechismo della religione fascista. Il lavoro pedagogico, illustrato durante il terzo capitolo e poi ripreso più approfonditamente nel quarto, fu capillare e comportò un grande dispiego di energie. I giovani erano esortati a credere ciecamente al Duce: “Abbi sempre fede. La fede te l’ha data Mussolini, perciò è cosa sacra (…) Dopo il ‘Credo’ in Dio recita, ogni mattina, 10 il ‘Credo’ in Mussolini” . La Casa del Fascio divenne la Chiesa della fede fascista: Starace nel 1932 decretò che ognuna dovesse avere una torre littoria, munita di campane, da suonare in occasione dei riti del regime, evocando così una tradizione religiosa plurisecolare. Le piazze, in particolare Piazza Venezia, divennero luoghi di culto. I grandi cortei, le adunate, erano processioni di comunione mistica tra la religione fascista e la vita collettiva della nazione. L’adesione della massa era stata ben compresa dal fascismo come punto di forza della politica, così come ne erano sempre state valutate con attenzione le componenti emotive, la passione, l’entusiasmo. E’ l’adesione collettiva, la sua cieca fiducia a mettere in moto la forza di volontà. A questo serve il mito: a dare un’interpretazione della vita e della storia, a porsi come motore che incita gli uomini all’azione. Per farlo il mito deve servirsi delle esigenze più intime degli uomini, dei suoi egoismi, dei suoi bisogni primari: la massa aveva bisogno di spiritualismo, di religiosità, di rito; lo Stato doveva fornirli, operando come un grande istituto di rieducazione collettiva, volto a plasmare le coscienze, per creare un “armonico collettivo”. E’ questo il titolo del quarto
-./ Enciclica Non abbiamo bisogno, 1931, fonte web: www.vatican.va. Link diretto: http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310629_ non-abbiamo-bisogno_it.html 10 E. Gentile, Il culto del littorio, cit., p. 127. ) *+,
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capitolo del saggio di Gentile, che mostra come l’esaltazione delle forme di vita collettiva all’aperto, delle feste, delle sagre, la promozione delle attività sportive, il culto della sanità fisica, le coreografie, le sfilate, i canti corali, i rituali posti in essere nelle manifestazioni di massa, restituissero un’immagine di bellezza, ordine, disciplina, potenza, vittoria sul caos e sull’incertezza, parte integrante del culto del littorio. Non siamo più di fronte a folle occasionali, come nel Risorgimento: è una massa liturgica, che partecipa con fede alla celebrazione dei riti del Regime. L’arte, in particolare l’architettura, viene chiamata a divenire militante, ad assumere una funzione educatrice, a servire l’idea collettiva. Era necessario costruire i Templi della fede (cap. V), monumenti duraturi con i quali lasciare l’impronta della “nuova civiltà” nei secoli, a perpetuare la gloria del fascismo e del suo Duce. Nelle pagine di questo capitolo Gentile illustra i vari progetti architettonici monumentali messi in opera o spesso soltanto vagheggiati per trasformare la città eterna nella città eternamente fascista. La Mostra della rivoluzione fascista, aperta a Roma il 28 ottobre del 1932 nel quadro delle grandi celebrazioni del Decennale fascista, fu la sintesi più suggestiva dell’universo mitico e simbolico messo in piedi dal Regime. La preparazione di quella che venne efficacemente definita come una maestosa e solenne cattedrale laica destinata all’autocelebrazione dell’armonico collettivo, fu incredibilmente complessa e febbrile. E’ estremamente interessante ripercorrere tramite le varie testimonianze la percezione dell’atmosfera ricreata all’interno dell’esposizione, l’emozione, l’entusiasmo con cui venne accolta, i commenti dei pellegrini che andavano a rendere doveroso omaggio da ogni parte d’Italia e dall’estero, spesso vive testimonianze dell’efficacia pedagogica con la quale il fascismo aveva plasmato i loro stessi modi di esprimersi. Quasi quattro milioni di persone, uomini, donne, bambini, rappresentanti di ogni ceto sociale si susseguirono fino alla chiusura della mostra, il 28 ottobre 1934. Ultima, ma non meno importante, è la trattazione del culto della personalità del Duce, Il nuovo Dio d’Italia (cap. VI), strettamente derivata e inseparabile dalla religione fascista. I “miti di Mussolini” – fa notare Gentile – sono stati tanti, nei diversi ambienti, nell’evoluzione del tempo e nell’estrema plasticità del suo credo politico, che è sempre stato declinato secondo le esigenze del momento. Mussolini fu uno stratega, un pragmatico, disposto a giocare su più tavoli e a cambiare idea rapidamente se richiesto dalle condizioni della lotta politica. Offrire una sintesi della sua ideologia, almeno fino agli anni Trenta e al consolidamento della dittatura, è difficile e per certi versi fuorviante. Così il culto del Duce, prima di imporsi, ha dovuto percorrere un sentiero lungo e tortuoso, durante il quale si sono susseguiti vari miti associati a Mussolini (il mito socialista, l’antimito del traditore corrotto, il mito dell’uomo nuovo). Le varie crisi che il partito attraversò, specialmente dopo il delitto Matteotti, misero a repentaglio la sua figura, che ne uscì infine, contro ogni previsione, riabilitata ed esaltata come unico
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elemento di coesione, unico punto fisso, garanzia di stabilità al di sopra delle difficoltà, grazie soprattutto all’opera dei segretari del PNF Augusto Turati e Achille Starace. Con l’istituzione del culto del littorio l’esaltazione della figura del Duce divenne la principale attività della “fabbrica del consenso”. La religione fascista aveva trovato il suo Messia al quale si chiedevano grazie, il suo santo, profeta, salvatore, apostolo, grande iniziato, maestro infallibile inviato da Dio, nume vivente, eletto dal destino. Egli incarnava il mito dell’eroe: lo si paragona a Cesare, Augusto, Napoleone, Socrate, Mazzini, fino ad arrivare a San Francesco, Cristo e Dio. L’alone di santità sconfinava anche nella devozione per la memoria dei genitori del Duce, il fabbro Alessandro e la maestra elementare Rosa Maltoni, e del luogo della sua nascita, Predappio. Sorse a Milano nel 1930 per iniziativa di uno studente di giurisprudenza, Niccolò Giani, con l’appoggio di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, una scuola di Mistica fascista. Gentile suggerisce che è bene fare una distinzione tra le manifestazioni interne al partito e quindi strettamente politico-ideologiche, e le manifestazioni esterne, popolari, spesso prive di queste motivazioni. Da grande narcisista, Mussolini lavorò intensamente sulla propria immagine, e pensò lui stesso a diffondere il suo mito e la sua venerazione tra la gente comune, girando l’Italia in lungo e in largo, dando alle masse la percezione fisica di vicinanza al potere, la sensazione di poter essere ascoltate ed esaudite. L’ammirazione, la fiducia, lo stupore estatico, l’esaltazione collettiva con cui veniva accolto, con la sua invocazione ed annunciazione, il periodo di attesa anche molto dilatato che seguiva ed infine la sua apparizione, trasformavano questi incontri in atti di culto. Le voci popolari che Gentile chiama a testimoniare questo sentimento danno una precisa idea del senso di comunione tra la folla ed il suo rappresentante, forgiatore del Paese restituito ai fasti imperiali.
CONCLUSIONI Capire quanta sincerità e quanta uniformità nel consenso realmente vi fossero in queste manifestazioni comporterebbe, per stessa ammissione di Gentile, un esame e una complessa ricerca non affrontabile nella sede di un solo saggio. Manca anche – ancora, non per demerito, ma per un’ovvia scelta di tematiche di analisi sulle quali l’autore doveva focalizzarsi – tutto l’uso esteso e pervasivo della fotografia, della radiofonia e della filmografia, che attraverso un martellamento incessante giocarono un ruolo chiave nell’affermazione della religione fascista, con esiti significativi nell’avvaloramento di un consenso ben superiore a quello che il fascismo aveva saputo costruirsi mediante le misure sociali ed economiche (anch’esse degne di studio ed approfondimento). Tenendo fermo ciò che abbiamo appreso con la lettura de Il culto del littorio, e per tornare a quelle che sono state le premesse di questa mia lettura, sarebbe interessante proseguire l’indagine approfondendo un’altra strategia, ampiamente utilizzata dal Regime: l’infantilizzazione, la visione del popolo come un bambino. A questo proposito
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è denso di significati l’omonimo saggio di Antonio Gibelli 11, nel quale lo storico genovese ricostruisce il Novecento ed in particolare il periodo fascista tramite un’accuratissima analisi della pubblicistica destinata all’infanzia, della letteratura e dell’iconografia del tempo. Si nota nel saggio come il lessico sia continuamente manipolato, in chiave favolistica, la guerra sia assimilata al gioco per conferire naturalezza alla convivenza tra la vita quotidiana e il conflitto bellico; di come spesso si ricorra all'equivalenza tra difesa della patria e difesa della mamma e di come sia sempre vivo l’odio verso il “mostro”, il “malvagio”. Il trattamento fiabesco sembra talvolta lambire i confini dell'irriverenza: Gibelli cita su tutti l'esempio di Mussolini nelle vesti di Aladino, per mano di Bruno Roghi, meglio conosciuto come Nonno Ebe, specialista di questo genere di contaminazione. Va nella stessa direzione la millantata presunta santità del Duce, la sua capacità di compiere miracoli, largamente presente nelle pagine somministrate ai piccoli. Certamente la politica del Regime non è riducibile solo a questo aspetto, ma l'intera macchina organizzativa ha approfittato fino in fondo della credulità popolare, anche quando la realtà è arrivata a contraddire drammaticamente la favola. Sul sito della casa editrice Laterza è possibile ascoltare una lezione di Emilio Gentile intitolata Le religioni della politica: da Mussolini a Bush12. Al suo interno, mi ha colpito molto il modo in cui lo storico molisano riesce a rispondere alle obiezioni che gli vengono poste sul proprio lavoro. Gli è stato rimproverato di aver creato con l’espressione “religioni della politica” un nuovo “centauro”, figura di pura immaginazione, tra uomo e cavallo, e di non saper distinguere tra il fenomeno religioso reale e l’uso metaforico del termine religione. Al di là del fatto che chi legge Il culto del littorio sa già come rispondere a queste obiezioni, la risposta di Gentile è estremamente efficace. Dice: “Ho consultato l’Oracolo di Delfi, il quale mi ha detto di consultare il contadino filosofo Misone, uno dei sette savi, fondatore del pensiero razionale. Lui mi ha detto una sola frase: «Indaga le parole a partire dalle cose, non le cose a partire dalle parole»”. Allora, durante questa lezione, Gentile porta con sé “le cose”: una moneta da un dollaro, il breviario dell’Avanguardista dell’Opera Nazionale Balilla (1928), il Libretto Rosso di Mao (nella sua prima traduzione italiana, del 1968) e un articolo sul dittatore turkmeno Niyazov, morto nel 2006. Sulla moneta da un dollaro, fa notare, appare il motto USA “In God we trust” – noi confidiamo in Dio – che rappresenta ciò che gli americani hanno stabilito fin dall’inizio: la nascita degli Stati Uniti rientra in un disegno provvidenziale, questi Stati hanno una speciale missione, che deriva dal fatto di essere una democrazia che realizza il Regno di
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A. Gibelli, Il popolo bambino – infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Torino, Einaudi, 2005. Link diretto: http://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog &id=56&Itemid=120 12
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Dio sulla Terra. L’America si è inventata un suo dio in cui tutti, al di là delle confessioni religiose si riconoscono, un dio incarnato nelle istituzioni, nella storia, nella stessa missione americana2 Il breviario dell’ONB si conclude con la frase “Tu non sei avanguardista se non perché prima di te, con te, e dopo di te Egli e soltanto Egli è”. Gentile parla poi, leggendo parti del Libretto Rosso, del culto di Mao Tse Tung, fenomenale episodio di sacralizzazione della persona verificatasi nei regimi comunisti, anche superiore a quello di Stalin. Infine introduce l’inquietante figura di Niyazov, autoproclamatosi all’inizio degli anni Novanta presidente a vita del Turkmenistan, che ha ordinato la costruzione di statue d’oro massiccio raffiguranti lui stesso che girano seguendo il moto del sole, ha imposto a tutti gli studenti e i soldati di indossare orologi con la sua effige, ha rinominato il mese di gennaio con il suo stesso nome, ed il pane col nome di sua madre, ha sostituito il giuramento di Ippocrate col giuramento su lui stesso. E sull’altra faccia della medaglia sono impresse decine e decine di provvedimenti dittatoriali e criminali a sua opera. Cosa hanno in comune queste esperienze? Siamo in paesi diversi, democrazie da una parte, dittature dall’altra, siamo a contatto con personaggi diversi, cristiani, protestanti, atei. E’ semplice: c’è l’istituzione di religioni politiche. Gentile pensa che queste religioni della politica non siano tuttora presenti, poiché – per la loro stessa struttura – sono effimere. Secondo la sua opinione, l’unica che è durata per quasi due secoli, con varie eclissi, è stata la religione civile americana, riesplosa dopo gli eventi dell’11 settembre. Rivoluzione francese, grande guerra, rivoluzione bolscevica, nazismo, fascismo: la chiusura di queste esperienze ha dissolto la possibilità che la politica possa nuovamente presentarsi in vesti sacre proprie, tolte le nuove forme di commistione, quelle che lui definisce “teopolitica”, tutto quell’insieme di politici contemporanei che ritengono che per fare politica non si debba fare appello alla ragione, all’esperienza e alla persuasione, ma fare riferimento a una dimensione più alta, a Dio. Ma se si invoca Dio per giustificare la propria politica, essa cessa di essere dimensione di un confronto razionale e rischia di diventare il campo di battaglia di uno scontro tra divinità e voci di divinità tra coloro i quali credono di interpretare in modo corretto la voce di Dio. Sarebbe un errore catalogare queste esperienze con vecchie categorie: è necessario inventare parole nuove per cose nuove. Vorrei concludere con una sorta provocazione: dato che ogni sistema esige il sostegno di specifiche attitudini culturali, condotte sociali, instillate nella società attraverso un sistema di miti, riti, valori, che assuma la forma di ethos morale o religioso collettivo, siamo forse di fronte oggi, con il nuovo consumismo, ad una nuova religione laica, questa volta di matrice economica? Questa sarebbe la domanda che vorrei porre a Emilio Gentile, se mai avrò la fortuna di assistere ad una sua lezione.
BIBLIOGRAFIA
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F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Torino, Einaudi, 2005 E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Bari, Laterza, 1994 E. Gentile, Il fascino del persecutore. George L. Mosse e la catastrofe dell’uomo moderno, Roma, Carocci, 2007 A. Gibelli, Il popolo bambino – infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò , Torino, Einaudi, 2005
SITOGRAFIA (ultima consultazione 27 Novembre 2010) Enciclica Pio XI, Non abbiamo bisogno, 1931. Fonte: www.vatican.va Link diretto: http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_pxi_enc_19310629_ non-abbiamo-bisogno_it.html
E. Gentile, registrazione audio della lezione Le religioni della politica: da Mussolini a Bush. Fonte: www.laterza.it Link diretto: http://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=56 &Itemid=120
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