«R
itsuko-san, per favore, lo accetti», fece un inchino l’ennesimo dipendente venuto a portarmi il regalo per il mio fidanzamento ufficiale. «La ringrazio Kurasawa-san. Non doveva disturbarsi», risposi gentilmente mettendo il regalo sul tavolo della scrivania. Kurasawa mi sorrise e si congedò dopo avermi fatto ancora una volta le sue felicitazioni. «E con lui siamo a quota centottanta», sbuffai ricadendo sulla poltrona della scrivania. «Ho avvisato tutti che lei avrebbe preferito un’offerta all’associazione Korama per la difesa dell’ambiente, ma molti vogliono lasciarle un loro ricordo», sorrise Akari-san. «Deve avere pazienza» «Lasciamo stare questo argomento. Non è tanto per il regalo, quanto il fatto che mi stanno facendo perdere tempo», riaprii il quaderno della contabilità. «Ritsuko-san, se permette, vorrei ricordarle che siamo a fine agosto. Lei non ha preso giorni di ferie e ha sostenuto già quasi tutti gli esami del primo anno», mi fece notare. «Anche suo padre è preoccupato per il suo atteggiamento» «Mio padre dovrebbe esserne fiero», ribattei cercando di concentrarmi sul lavoro. «Io e il mio futuro marito stiamo cercando di non fargli fallire l’azienda» «Non sia così cinica. Suo padre vuole il meglio per lei, lo sa» «Certo», dissi rialzando gli occhi su di lui. «Non ne dubito» «Bene, sono contento di sentirglielo dire», mi sorrise di nuovo Akari. «Mi promette di tornare a casa per le otto stasera?» «Va bene, ma adesso mi lasci controllare l’andamento del trimestre, per favore», presi il quaderno con gli ultimi aggiornamenti. «Purtroppo all’azienda servirà davvero un bell’aiuto per riprendersi» «Lo vedo... il bilancio è semplicemente disastroso», richiusi i quaderni sprofondando sulla poltrona. «Mio padre continua a fare investimenti sbagliati», mi morsi le labbra. «Come lo posso fermare?» «Secondo me è solo una questione di tempi. Suo padre è un uomo in gamba, mi creda. L’azienda riuscirà a risollevarsi» Akari era sempre stato un ottimo consigliere, devoto alla famiglia Hino fin da quando ero piccola, ma aveva davvero troppa fiducia in mio 70
padre e nelle sue manovre sconsiderate. O forse non poteva screditarlo apertamente, dato che per lui ero ancora una ragazzina. Pensandoci bene, a volte li avevo sentiti discutere animatamente di operazioni delicate in cui alla fine mio padre risolveva tutto con un: “sono io il presidente e decido io” «Che situazione...», sospirai. Avevo le spalle al muro e l’unica soluzione sembrava davvero quella di rivolgersi ad Asakawa. Inoltre avrei dovuto trovare il modo di limitare il potere decisionale di mio padre. Il telefono squillò costringendomi a lasciare da parte le mie congetture. «Mi scusi Akari-san», dissi prendendo il cellulare. «La lascio tranquilla, a dopo», si congedò l’uomo uscendo dal mio ufficio e lasciandomi finalmente sola. «Pronto?» «Ehi, Ritsu-chan! Come stai?» «Non posso crederci, sei davvero tu?», sentii finalmente le labbra distendersi in un sorriso. «Hai ragione, sono sparito dopo la cerimonia dei diplomi ma... è stato difficile, lo sai... tutta quella storia», nicchiò Kobaiashi. «Ne abbiamo parlato al tempo, non preoccuparti. Mi spiace che tu abbia sofferto», presi un respiro cercando di non essere di nuovo travolta dal passato. «Allora, come hai fatto a trovare il mio numero e soprattutto come te la passi?» «Oh, beh, ho rivisto Amina-san un po’ di tempo fa. È lei che mi ha dato il tuo numero, le ho detto che volevo rintracciarti e allora...», spiegò. «Sai, ti avrei comunque chiamata ma poi ho letto il giornale la scorsa settimana e sono rimasto incredulo. Davvero ti sposi?» «Sì, il prossimo aprile», risposi sentendomi improvvisamente sulle spine. «Ma... Eriko lo sa?» Silenzio. «Pronto?» «Ci sono. Scusami ma la tua domanda mi ha un po’... spiazzata», presi la penna e iniziai a farla roteare nervosamente tra le dita. Fuori dal mio ufficio intanto si stavano accalcando un po’ di persone. 71
«So che non sono affari miei e credimi, mi dispiace per tutto quello che è successo durante l’ultimo anno di liceo. Avrei tanto voluto parlartene prima…» «Devi scusarmi tu. So che eri davvero innamorato di Eriko» «Se è per questo lo sono ancora», mi freddò. «Per favore, non lasciare che venga a saperlo da qualcun altro. Eriko... ci tiene davvero a te» «Sai anche che si è fidanzata con un tipo di quelle parti?», mi spazientii. «Ti riferisci a Ikeda-kun?», prese una pausa. «È innamorata di lui quanto lo era di me», rincarò la dose. «Akito, vieni al sodo. Ti conosco troppo bene per non capire quando giri intorno ai discorsi...» «È vero, mi conosci bene», rise. «Non te la prendere Ritsu-chan. Vorrei solo sapere se sei davvero innamorata di questo facoltoso rampollo di buona famiglia o se lo fai per i suoi soldi. In ogni caso, sarebbe giusto dirlo a Eriko» «Non me la prendo ma, per prima cosa, se ho deciso di sposarmi con qualcuno ho i miei motivi e, seconda cosa... quando ho visto Eriko l’ultima volta mi ha chiesto di chiudere la nostra storia, poi ho saputo per vie traverse che usciva con quel ragazzo», sentii la rabbia salire. «Spiegami perché dovrei essere io a chiamarla per dirle una cosa del genere» «Davvero devo spiegartelo?» «Sei tu che mi chiedi di fare cose senza senso! Almeno spiegami il perché!», mi spazientii. «Ti sto chiedendo di fare questo perché se tu fossi veramente innamorata di lui e glielo dicessi, Eriko potrebbe mettere definitivamente una pietra sopra al passato, se invece tu non lo fossi... beh, potresti spiegarle le tue ragioni. In ogni caso non sarebbe così traumatico come venirlo a sapere da una terza persona» «Sei davvero carino a preoccuparti così ma secondo me stai esagerando», mi passai una mano sul volto. «Comunque, terrò conto di ciò che mi hai detto. Adesso devo davvero salutarti, ho dei clienti fuori dalla porta, scusami», lo liquidai. «Certo e... ah, quello che ti è comparso è il mio numero. Quando vuoi chiamami» 72
«Va bene, a presto», chiusi frettolosamente la comunicazione poi ripresi a lavorare, cacciando via i pensieri che avevano iniziato ad affollare la mia mente dopo la telefonata di Kobaiashi. Non avevo nessuna intenzione di chiamare Eriko per dirle che avevo accettato un matrimonio di comodo. Mi sembrava una cosa squallida... ma mi dovetti ricredere quando a novembre ricevetti la sua di telefonata. Credevo sul serio che non si sarebbe più fatta viva dopo il nostro ultimo incontro e quello che mi aveva raccontato Amina, ma mi sbagliavo. «Ciao Ritsuko, scusa se ti disturbo, so che stai lavorando», esordì Eriko con voce incerta. «Mi ha passato la tua telefonata la reception, sono in ufficio effettivamente», mi uscì una frase terribilmente distaccata. Eriko vacillò un attimo prima di riprendere. «Non ti ruberò molto tempo», fece una pausa. «Volevo dirti che aspetto un bambino» Silenzio. «Pronto? Ritsuko... ci sei?» «Sì... ci sono», risposi atona, col cuore a brandelli. «Preferivo dirtelo di persona piuttosto che fartelo sapere da altri» «Hai fatto bene», mentii nascondendo il mio stato d’animo. «Colgo l’occasione per dirti anch’io una cosa: mi sposerò il prossimo anno» «Ad aprile, giusto?», incalzò lei. «Lo hai saputo?» «I miei genitori si sono premurati di mandarmi una copia del giornale con l’annuncio ufficiale», commentò ironica. «Molto bene. Sembra proprio che le nostre vite prendano definitivamente strade diverse», mi sfuggì a denti stretti. «Già... è così», sentii la voce di Eriko spezzarsi. «Ti auguro ogni felicità, Ritsuko... davvero» La comunicazione si interruppe e io non seppi più niente di lei per due anni. Quella sera chiamai Hiro e andai a casa sua. Mi sfogai e bevvi insieme a lui fino a star male, finché non ci ritrovammo avvinghiati nel letto. 73
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Volevo dimenticare quello che mi aveva detto Eriko, volevo cancellare tutto: presente, passato, mio padre, l’azienda... Purtroppo però, per uno scherzo del destino, quella notte non me la sarei davvero mai più dimenticata... «Incinta?» «Sì, non siamo stati attenti quella sera», risposi nervosa. «No, tu eri stravolta e io... non reggo l’alcol», si passò una mano tra i capelli Hiro. «Avere un figlio adesso però...», sbuffò. «Siamo ancora giovani» «Lo so», abbassai gli occhi. «Vuoi che trovi un sistema per eliminare il problema?», mi sfuggì cinicamente. Hiro sgranò gli occhi: «Oh, no! Assolutamente! Cioè, non so se riuscirò ad essere all’altezza della situazione ma cercherò di fare del mio meglio per essere un buon padre», si corresse subito. «Per me è indifferente», lo fissai negli occhi. «Ma, nel caso decidessimo di tenerlo, dovremo anticipare il matrimonio. Non mi va di sposarmi con la pancia» Hiro mi si avvicinò ridendo: «Ma certo, questo non sarà un problema», mi abbracciò. «Ehi, Ritsuko, sembra proprio che ci abbiano fatto un regalo di Natale» «Lo pensi davvero?», ricambiai il suo gesto d’affetto. «A me più che un regalo sembra una nuova difficile prova da superare» «Non dire così!», mi riprese Hiro. «Potrebbe offendersi» «Non può sentirmi ancora, sarà grosso come un fagiolo!» «È lo stesso», mi sorrise abbassando la testa sul mio ventre. «Ehi, fagiolino, io ti voglio già bene» «Fantastico... Noto con piacere che tu hai già deciso», biascicai. «Ritsuko, che problema c’è? Esistono le governanti. Stai tranquilla, potrai finire gli studi e continuare a lavorare nell’azienda di tuo padre», mi strizzò un occhio. «Staremo benissimo», mi incoraggiò Hiro e io mi sentii rincuorata: anch’io volevo tenerlo quel bambino ed ero certa che fosse un dono del cielo, solo che in quel momento ero davvero troppo fragile per ammetterlo agli altri e a me stessa. 75
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*** Il sole sta tramontando e mentre il cielo si tinge di rosso, le cicale continuano a cantare, nascoste tra i rami che mi circondano. L’estate è sicuramente una bella stagione e quella in corso è stata per ora quella più ricca di colpi di scena. Mi dondolo sulla sdraio in giardino mentre finisco di leggere un romanzo d’amore e sorseggio un cocktail. L’amore nei libri è sempre così semplice: i personaggi si conoscono, solitamente si accendono subito in un litigio e naufragano nelle incomprensioni ma allo stesso tempo s’innamorano, si amano e infine, si sposano... happy ending. Sembra una cosa scontata e alla portata di tutti... ma non è così. «Ritsuko-sama, mi scusi se la disturbo» «Dimmi pure Yumiko-san, è successo qualcosa?», mi volto verso la governante che mi si è avvicinata con aria trafelata. «La signorina Rei dice che ha provato a chiamarla ma lei... non ha il cellulare acceso» «L’ho spento perché ho bisogno di stare un po’ in pace», mi inacidisco: ho un brutto presentimento. «Certo, quindi ha chiamato me e...», la frase rimane un attimo sospesa. «Vai avanti per favore» «Ecco... dice che stasera rimarrà di nuovo fuori. Voleva avvisare» Forse l’amore è semplice per tutti... tranne che per me. «Ok, ci penso io», riaccendo il telefono irritata. Congedo Yumiko e chiamo Rei. Il telefono inizia a squillare e dopo un po’ mia figlia risponde: ha una voce così felice che per un attimo non so come comportarmi. «Mamma, ciao! Scusami, ho avvisato Yumiko-san che non sarei rientrata, è tutto il pomeriggio che provo a chiamarti» «Si può sapere come mai questa novità? Sei rimasta a casa di Miyuki anche ieri sera», dico con tono fermo. «Lo so ma stasera c’è la festa in paese e faranno i fuochi d’artificio», risponde Rei che si è messa subito sulla difensiva. 77
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«Non pensi che potresti essere di disturbo?» «Oh, no, al contrario», riprende in tono più leggero. «È stata Eriko-san a insistere che rimanessi, non è un problema per lei» Il sangue mi va subito alla testa. «Passamela immediatamente» «Mamma... perché sei così arrabbiata?», si preoccupa Rei. «Fai quello che ti ho detto», ordino. Rei emette un sospiro di sgomento ma poi esegue il comando ed Eriko prende il telefono: «Ritsuko che problemi hai? Le ragazze vengono con me alla festa» «Lo hai deciso tu?» «Lo abbiamo deciso tutte e tre insieme non appena hanno finito di studiare» «Non vedo mia figlia a casa da due giorni. Non mi sembra una buona educazione lasciare che le abbia tutte vinte» «Quindi... vuoi che la riporti da te?», s’innervosisce. «Manderò qualcuno a prenderla», ribatto acida. «Ritsuko...», prende una pausa Eriko. «Per favore, non rovinarci la serata» «Non è niente di personale, credimi», continuo la mia battaglia senza cedere. «Questo non è vero», dice tra i denti poi cambia tono di voce. «Lo sai quanto sono belli i fuochi d’estate, ci tengono a vederli insieme, ti prego...», insiste e ora è così dolce che fa più male di quando mi risponde bruscamente. «Mi dispiace ma...», vacillo. «Non ricordo più come sono i fuochi d’estate», mi sfugge e tutto si fa appannato. Porto una mano sugli occhi e cerco di ricacciare indietro le lacrime. «Ritsuko...» «Va bene, d’accordo», mi riprendo. «Ma a mezzanotte la farò venire a prendere» «Come vuoi ma... posso sapere perché non vuoi lasciarla dormire qui? Potremmo fare più tardi della mezzanotte» «Se permetti sta a me educare mia figlia, tu puoi educare la tua come vuoi» «Vorresti dire che non sono una brava madre?», mi colpisce. 79
«Non ho detto questo», mi mordo le labbra. «Ma sai cosa faranno al posto di dormire stanotte, o no?» Eriko scoppia a ridere e a me sale di nuovo il nervoso. «Sul serio ti preoccupi di questo?» «Certo che me ne preoccupo!» «Dovremmo affrontare un discorso un po’ più ampio noi due», dice in tono sottile. «Argomenti non trattabili per telefono...», lascia la frase in sospeso e il mio cuore inizia a battere più veloce. «Perché non vieni anche tu... stasera?» *** Quell’anno a Tokyo l’inverno fu davvero gelido, le temperature si erano abbassate come mai negli ultimi cinquant’anni e a causa di questo molte persone di una certa età furono colpite da malori. Tra queste persone c’erano anche i genitori di Eriko. «Hino-sama?», la mia segretaria si affacciò alla porta dell’ufficio mentre stavo finendo di concludere la trattativa con un cliente. «Himawari-san, dimmi pure», mi girai verso di lei sulle spine. «Ho trovato il numero che mi aveva chiesto», disse semplicemente lasciandomi il biglietto sul tavolino. «Grazie», lo presi tra le mani e tornai a concentrarmi sul lavoro, cercando di concludere il prima possibile l’affare. Quando rimasi sola nel mio ufficio, pensai più volte a quello che stavo per fare: se era la cosa più giusta, se dovevo lasciar perdere... Alla fine chiamai il numero trovato da Himawari: «Pronto?», non appena la sua voce mi rispose, le mie mani iniziarono a tremare. Non mi succedeva neppure per cose davvero importanti, eppure... lei riusciva ancora a farmi quell’effetto. «Eriko, sono Ritsuko», trattenni il fiato. «Chi ti ha dato il mio numero?», chiese sorpresa. «Un’amica comune», mi morsi le labbra pensando che forse non era stata una buona idea chiamarla. «Scusa, non volevo disturbarti ma ho saputo che tuo padre è ricoverato in ospedale e...» 80
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«Sei gentile a preoccuparti», riprese con tono dolce. «Mio padre è sotto controllo. Purtroppo ha avuto un malore mentre spalava la neve dal vialetto» «Capisco. Niente di grave spero» «No, ma deve stare a riposo. Lo tengono in osservazione per altri due giorni» «Meglio così», tirai un sospiro di sollievo. «Ritsuko...», disse con voce traballante, lasciandomi inchiodata alla cornetta. «Verrò su a Tokyo domani con mia figlia. Ecco... vorrei chiederti se...», non riuscì a terminare la frase. «Sì», continuai al posto suo. «Farebbe piacere anche a me» «Davvero? Grazie, mi fai felice», le sentii dire con voce piena di commozione. «Quello che ti è apparso sul cellulare è il mio numero personale. Chiamami quando arrivi in stazione, ti accompagno in ospedale e dopo potremmo mangiare qualcosa insieme, che ne dici?» «D’accordo. A domani allora» La comunicazione si interruppe e io mi sentii disarmata: che cosa mi era saltato in mente? Il treno di Eriko arrivò puntuale. La riconobbi subito, avvolta in un grazioso piumino chiaro, i capelli un po’ più corti rispetto all’ultima volta che ci eravamo viste. Per mano teneva la piccola Miyuki che mi guardava con degli enormi occhioni verdi: era identica a sua madre. «Ritsuko!», mi corse incontro Eriko abbracciandomi calorosamente. «Che bello rivederti», mi tenne stretta finché la vocetta di Miyuki non la richiamò. «Mamma, chi è questa signora?» «Ciao piccola Miyuki-chan», mi chinai su di lei e le accarezzai i capelli. «Sono un’amica della mamma» Lei mi fissò curiosa. «In macchina c’è ad attenderti una sorpresa», sorrisi accarezzandole la guancia. 82
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«Davvero?», si entusiasmò. «Non dovevi disturbarti, davvero», mi riprese Eriko. «Stai scherzando? È un piacere», le dissi prendendole il trolley di mano. «Vieni, andiamo, fa freddo qui fuori» Un attimo dopo eravamo in macchina al caldo. Miyuki aveva già scartato il suo regalo ed Eriko si era rilassata sul sedile dopo il lungo viaggio. «Ritsuko-san, grazie è una bambola bellissima», rise la piccolina su di giri. «Sono contenta che ti piaccia», le dissi guardandola dallo specchietto retrovisore, poi mi voltai verso Eriko. «È adorabile» «Grazie», arrossì lei. «E tua figlia invece? Mi piacerebbe molto vederla» «Se ti va dopo possiamo fare un salto da me. È a casa con la governante» «Certo, volentieri», rispose subito Eriko. Eravamo entrambe così emozionate, così felici di rivederci dopo tutto quel tempo da non renderci conto del pericolo a cui stavamo andando di nuovo incontro. Dopo che il padre di Eriko fu dimesso dall’ospedale e le sue condizioni divennero stabili, lei continuò comunque a venire a Tokyo a trovarli almeno una volta al mese. In quelle occasioni riuscivamo a stare un po’ insieme: Miyuki e Rei andavano molto d’accordo e noi ne approfittavamo per parlare e aggiornarci sulle nostre vite. Ormai sembrava che ciò che avevamo vissuto al liceo fosse solo un lontano ricordo, qualcosa che non ci apparteneva più. Ma solo in apparenza... Anche se i mesi e gli anni trascorrevano, ogni volta che rivedevo Eriko nel mio cuore si accendeva la stessa fiammella. Quella non si sarebbe mai spenta, lo sapevo bene, ma dovevo fare in modo che non diventasse un incendio come era già accaduto in passato: non volevo perderla di nuovo. L’estate del settimo compleanno di Rei però, accadde qualcosa di non trascurabile... Erano gli inizi di luglio, avevamo deciso di festeggiare mia figlia a casa, in piscina. Solo noi quattro. In quell’ultimo periodo Eriko era stata indaffarata con la pasticceria dei suoi zii che si era ingrandita e non era più salita a 84
Tokyo dalla fioritura dei ciliegi. Avevamo perciò deciso di prenderci anche qualche giorno di relax e così, mentre le nostre bambine nuotavano in piscina, io ed Eriko le osservavamo sdraiate al sole in costume da bagno. «Guarda come si divertono», disse Eriko richiamando la mia attenzione. «Sì, mia figlia è così felice quando gioca con Miyuki», risi scattando l’ennesima foto. «Da quando hai comprato la macchina fotografica digitale non fai che scattare a raffica», scherzò Eriko. «Dai, vieni un po’ qui accanto a me», mi fece segno indicando la sdraio accanto alla sua. Certo lei non poteva sapere perché tentavo in tutti i modi di starle a distanza: il suo completo da bagno era adorabile e addosso a lei accendeva in me involontarie fantasie. «Perché invece non vieni a farti un bagno?», rilanciai poggiando la macchina fotografica sul tavolino. «Bambine, fate largo, arriva mamma Ritsuko!», dissi tuffandomi in piscina tra gli schiamazzi di Miyuki e Rei. Quando tornai a galla mi ritrovai alle spalle Eriko: si era tuffata anche lei e davvero non potei fare a meno di sentire che ormai quella fiammella aveva lasciato spazio a ben altro fuoco dentro di me. «Miyuki, Rei, venite qui», le chiamò Eriko portandosi indietro i capelli bagnati. «Vediamo chi tra voi due arriva prima alla sponda opposta» «Una gara?», si animò Miyuki. «Se vinco posso prendere doppia razione di gelato?» «Va bene», rise Eriko. «Mamma se vinco io invece, posso invitare un altro giorno Miyuki a casa nostra?», avanzò Rei. «Quello puoi farlo anche se perdi», mi voltai verso Eriko. «Loro sono sempre le ben venute» dissi di cuore. Come quelle due pesti si misero a battere i piedi, io ed Eriko fummo travolte dai loro schizzi e in quel trambusto, tra una risata e uno schiamazzo, mi ritrovai la schiena di Eriko accostata al mio petto. A quel contatto sentii un colpo violento allo stomaco, il profumo dei suoi capelli m’invase, la sua risata argentina mi riempì la testa e io persi il controllo: feci scivolare le braccia intorno alla sua vita e la strinsi a me: non importava se Eriko fosse inciampata, spostata a causa degli spruzzi o avesse compiuto un ge85
sto maldestro... non volevo che si allontanasse. Quella era l’unica cosa alla quale riuscivo a pensare in quel momento. «Ritsuko?», si girò all’indietro sorpresa. «Tutto bene?», chiese, ma quando i nostri occhi si incrociarono, in quel breve attimo, entrambe capimmo che tra noi non era affatto finita. «Mamma, ho vinto io!», gridò Miyuki tornando a nuoto verso di noi. «Bravissima», esclamò Eriko slacciandosi dal mio abbraccio per andare incontro a sua figlia. «Allora, il gelato lo prendiamo tra poco, ok? Non si mangia in acqua» «Tutto ok?», mi si avvicinò Rei guardandomi con i suoi occhioni blu. «Sì, tesoro. Devi allenarti un po’ di più o non vincerai mai contro Miyuki», le accarezzai la testa cercando di soffocare il mio vero stato d’animo. Eriko non mi disse niente di quell’abbraccio rubato in piscina ma diventò improvvisamente fredda e quando notai che si stava allontanando sempre di più cercai di parlarle: «Ritsuko, davvero, non è come pensi. Io non ho niente nei tuoi confronti, solo che quest’anno i miei hanno deciso di trascorrere il Natale da noi. Mi è impossibile venire fino a Tokyo, cerca di capire» «Sì, d’accordo ma...», presi tempo. «Rei sente molto la mancanza di Miyuki», le dissi appigliandomi a mia figlia. «Anche Miyuki sente la mancanza di Rei», esitò. «Ma sono ancora piccole. Non possiamo farci niente. Magari riusciranno a frequentarsi da buone amiche quando saranno più grandi», tagliò corto. «Va bene, quindi... non sai quando ci rivedremo?» «Onestamente no», rispose sempre con lo stesso tono. «Perché non venite voi a trovarci?», chiese a quel punto per gentilezza. «Ti ringrazio ma anch’io sono impegnata con l’azienda», rifiutai cortesemente. «Ti chiamerò per gli auguri di Natale» «D’accordo, vedi di non dimenticartene», si addolcì. «A presto», chiusi la comunicazione e crollai in ginocchio accanto al tavolino del telefono nel salottino al secondo piano. «Non puoi abbandonarmi di nuovo così... solo perché non ho saputo trattenermi dall’abbracciarti», mi morsi le labbra scoppiando a piangere. 86
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Quella notte non chiusi occhio, mi contorsi nel letto come un animale ferito e da lì iniziò il mio tracollo... Mentre l’azienda di mio padre rifioriva grazie alle mie strategie di marketing, io facevo l’opposto: ritrovai quel vizio che avevo al liceo, trasformandomi in una glaciale femme fatale: «Vorrei che fosse chiaro che questo... è solo sesso», ripetevo quella stessa frase di rito a tutti i miei amanti. Abituali o meno, nessuno poteva aspirare ad avere di più dell’involucro del mio corpo... niente di più. Buttandomi via in quel modo, se non altro, riuscivo a non impazzire dal dolore di averla persa di nuovo. ***
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Orange Cream - Flavoured di Scarlett Bell
con i disegni di Aeryn Sun
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