Psicologia della musica (DiM)
Rosario Tomarchio
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Escher
“Belvedere”
Caravaggio
“Riposo durante la fuga in Egitto”
Orecchio
Beethoven
“Quartetto per archi in Si bemolle Maggiore OP.133 Grande Fuga”
Ornette Coleman “Free Jazz”
SOMME VISIVE SOMME AUDITIVE AUDIO VS VIDEO (confronti)
Stretta finale
Rosario Tomarchio Psicologia della musica (DiM)
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Preludio
“Se io le chiedo se il suo cervello è un sistema in equilibrio, tutto quel che devo fare è di chiederle di non pensare agli elefanti per qualche minuto, e lei saprà subito che non è un sistema in equilibrio.” Arnold Mandell
Spannung è un termine tedesco, utilizzato in letteratura per indicare il momento di massima tensione del racconto. Daniele Barbieri, semiologo, nel 2004 pubblica “Nel corso del testo” dove avanza una teoria sulla presenza di tensioni e distensioni in tutte le forme estetiche (letteratura, grafica, musica, architettura, media...) teoria che estenderebbe l’analisi testuale a prospettive innovative ed inattese. Barbieri parla di “un processo di costruzione di aspettative” che terrebbe più o meno incollato il fruitore al testo. Testo che condurrebbe dunque attraverso un percorso di curiosità e seduzioni continuamente rinnovate fino alla conclusione del viaggio ed all’appagamento del desiderio. Desiderio di inverare parti di reti fantasmatiche altrimenti nocive [BI.ESTE]. Ed è partendo da questi presupposti teorici che verrà qui fornita l’analisi di due testi pittorici ed altrettanti musicali al fine di individuare la presenza e le caratteristiche delle forme di tensione e distensione presenti in essi e cercando di darne una definizione oggettiva affiancata da spunti di osservazione prettamente soggettivi ed estemporanei [ABSORBER]. La scelta dei soggetti è stata effettuata senza ricorrere ai soliti stratagemmi formali o rituali cercando così di mantenere invariato l’aspetto universale della ricerca. L’analisi si avvalorerà di qualche cenno sulla biografia degli artisti in questione, della loro produzione e degli aspetti psicologici in essi presenti.
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Escher Maurits Cornelis Escher (1898-1972), incisore e pittore olandese vissuto a cavallo e oltre i conflitti mondiali, produsse divere centinaia di opere, per lo più (ma non solo) incentrate sull’utilizzo e la distorsione di forme geometriche [STILEMA], alcune delle quali divenute di fama e stima planetaria. Fino all’età di 13 anni seguì lezioni di carpenteria e piano, raggiunta la maggiore età si approcciò allo studio delle arti figurative il suo maestro venne deportato dai nazisti ed ucciso con tutta la famiglia perchè ebrei. Nel 1922 intraprende una serie di viaggi in europa, in Italia conosce la futura moglie e si stabilisce fino al 1936, in quelli che egli stesso definirà “ gli anni migliori della mia vita”. A causa del clima politico mussoliniano, decide di trasferirsi in Svizzera, da lì in Belgio quindi a causa della seconda guerra mondiale di nuovo in Olanda dove risiederà fino alla morte. All’interno della produzione escheriana sono presenti in maniera lampante e ricorrente diversi spunti analitici funzionali alla creazione di momenti di tensione[PATTERN]. Di rado si è assistito all’abitudine di evidenziare la presenza di strutture nelle proprie opere tanto quanto in Escher. La sua capacità di destrutturare i punti di osservazione, i piani simmetrici e le linee di forza, unita ad un eloquente mondo simbolico rendono le sue strutture ancor più piene di energia [ENTROPIA]. Il suo è uno dei più affascinanti e rari esempi di sinergia nell’attività creativa fra l’aspetto puramente artistico e quello speculativo. - Caos e complessità: geometrie frattali ad uso infinito (es. Limite del cerchio), aspetti naturali riproposti geometricamente (es. Gautte de roseè; i tre mondi) e in gran parte delle opere paesaggistiche del periodo italiano alla serie delle metamorfosi, dove un soggetto quasi contrappuntisticamente si trasforma svariate volte fino a divenire un altro soggetto. - Dualità e opposti: incastro tra figure animali o vegetali e figure geometriche (es. Gravitazione; Etoiles), preponderanza significativa fra bianco e nero - luce e buio - natura e manufatti (es. Ruban de Moebius II, Filling motif with reptiles). - Identificazione e “fantasmi”: autoritratti dove compare la figura dell’autore filtrata attraverso sfere dove si vede o meno il gesto del dipingere, mani che si disegnano a vicenda, l’occhio con il cranio all’interno della pupilla (es.Occhio; Dessiner; Hand with reflecting sphere). - Strutture e infinito: costruzioni impossibili, rappresentazioni dell’infinito, uso di poliedri ed interpretazioni originali appartenenti alla scienza (es. Relatività; Cascade; Torre di Babele).
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“Belvedere” “Belvedere”(1958) è il titolo della litografia che andremo ad analizzare, esempio completo delle caratteristiche peculiari di Escher. Il paradosso, l’impossibile ma anche l’importanza della prospettiva con la quale si osserva la realtà, sono le proposizioni teoriche[ORDITO] sulle quali si sviluppa tematicamente l’opera. L’immagine rappresenta una struttura architettonica che si staglia su un panorama montano, all’interno della quale sono presenti personaggi con ruoli ben definiti che evidenziano l’illusione ottica sulla quale si basa la struttura che prende spunto dal cubo di Necker. L’aspetto temporale sembra bloccato intorno alla fine del medioevo, la dama che sale le scale infatti, a confermare questa ipotesi, è tratta da un quadro (il giardino dell’eden) di un pittore fiammingo del XV secolo. Due coppie di personaggi sono inseriti sapientemente all’interno della struttura a sottolineare l’assurdità della struttura, i primi due infatti salgono una scala a pioli che parte dall’interno per poggiarsi sulla balconata, gli altri pur essendo affacciati dal medesimo angolo della struttura sono orientati a 90° gradi di discrepanza l’uno dall’altro. Ma i personaggi più importanti, che appaiono in maniera meno evidente, ai fini degli aspetti emotivo e razionale dell’opera sono altri due. Un uomo schiavo della struttura e un giovine con in mano il cubo di Necker e ai suoi piedi il disegno/progetto dello stesso. Il punto focale dell’immagine, è una linea d’orizzonte situata poco più in alto del centro che corrisponde alla silhouette che separa le montagne dal cielo. E’ proprio su questa linea che si snoda l’aspetto paradossale dell’opera infatti come si denota (non a prima vista) dai pilastri, la parte sovrastante e quella sottostante della struttura, sono ruotate rispetto il loro stesso asse di 90°. In piccolo questa stessa tensione si ripropone sulle mani del giovane che cingono una struttura altrettanto impossibile e paradossale. Al tempo stesso l’immagine presenta uno spaccato statico e rilassante di un momento di fruizione del panorama per gran parte dei personaggi fonte di relax. Anche lo sguardo dello spettatore , grazie all’agilità snella della struttura, viene condotto quasi, automaticamente verso l’orizzonte. E’ intorno a questa serie di contrasti e dalla lunga serie di interrogativi a cui ci rimanda Escher, che ruota l’aspetto “tensivo” dell’opera.
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Caravaggio Michelangelo Merisi da Caravaggio(1571-1610), personaggio chiave della storia dell’arte “classica”. Figura oscura in almeno due accezioni del termine: - Variegata molteplicità di affermazioni spesso contrastanti riguardo la sua biografia. - Aspetti negativi nella sua personalità che l’avrebbero condotto a compiere gesti estremi che hanno contribuito ad affibiargli il ruolo di artista “maledetto”. Se pur breve, la sua esistenza si è arricchita di note biografiche tuttora in dubbio, si parla di continue fughe (Milano, Roma, Napoli, Malta e Sicilia) dovute a risse per donne, omicidi, sgarbi politici e brogli burocratici, di una vita vissuta fra la malattia e uno stile di vita fra i più bohemien del barocco, sfociata in una morte ( e relativa sepoltura ) indegna. La sua arte fu concepita fin dall’inizio in maniera innovativa, prevedeva l’utilizzo di una tecnica chiaroscurale, basata su quella che oggi viene definita illuminotecnica, egli stesso infatti era solito posizionare lanterne in punti ben precisi della “location” all’interno della quale ritraeva persone comuni (spesso di infimo livello sociale), sottolineando come la luce si riflettesse sui loro corpi e gli oggetti circostanti. Il suo approccio realistico alla pittura e la sapienza nel posizionare i punti luce, misti alla forte simbologia dei particolari più o meno evidenti, lo posero come capostipite della pittura cosiddetta “moderna”. L’aspetto psicologico del Caravaggio viene fuori dai contrasti delle sue scelte [OPPOSTI] di vita che, vere o presunte, hanno comunque condizionato la sua esistenza e le sue opere. Condannato alla decapitazione per motivi poco chiari iniziò a dipingere opere dove la figura ricorrente [PATTERN] di teste sgozzate, spesso con intento catartico [RESET]. Nelle sue prime opere, autoritratti raffiguranti Bacco, si possono notare aspetti del suo portare in arte la sua realtà quale la malattia o la sessualità lasciva (aspetto che a tutt’oggi sostiene dibattiti sulla presunta omosessualità).
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“Riposo durante la fuga in Egitto” “Riposo durante la fuga in egitto”(1594) Giuseppe, Maria, Gesù, un angelo ed un asino, sono i protagonisti della prima opera a tema religioso di Caravaggio. In quella che è forse una delle più funzionali e realistiche rappresentazioni della fuga da Erode, di cui si hanno svariati esempi di altri artisti non necessariamente minori, emergono in realtà pochi dei temi caratteristici dell’autore. Ed è proprio in queste prime opere che si vede la volontà di allontanarsi dai suoi contemporanei, andando a stravolgere le convenzioni direttamente su quello che era fino a quel momento il campo base della visione formale della pittura. L’immagine è suddivisibile a prima vista in due parti ben individuabili [OPPOSTI], alla sinistra della figura dell’angelo tutto ciò che riguarda il mondo sensibile (l’asino, un fagotto, un fiasco, lo spartito..),alla sua destra (in uno dei rarissimi paesaggi del pittore), una luce dai colori più chiari sottolinea la figura di Maria dormiente con in braccio Gesù e una folta vegetazione con uno squarcio di cielo limpido all’orizzonte che rappresentano, angelo
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incluso, l’aspetto ultraterreno del dipinto[INDICIBILE]. Il punto focale dell’insieme è rappresentato dall’angelo o dalla musica se si vuole, visto che l’angelo coinvolge con il suo atto di suonare il violino sia Giuseppe che regge in mano lo spartito (tratto da un opera di Noel Bauldwijn sul Cantico de cantici{Bibbia}), sia l’abbraccio tra Maria e Gesù che riposano accompagnati dalla melodia e persino l’attenzione dell’asino che guarda la scena alle spalle di Giuseppe. La struttura è essenzialmente tripartita, sia in orizzontale che in verticale formando così un quadrato composto da nove quadrati. Posto in primissimo piano, altro punto di tensione, sono le ali nere dell’angelo unico vero e proprio riferimento ultraterreno, senza il quale l’intera figura sarebbe sicuramente paragonabile a qualsiasi scena di accampamento. I drappi indossati dai personaggi (in particolar modo quello che copre le gambe di Giuseppe) insieme al panorama sullo sfondo contribuiscono a creare altri punti di tensione in una visione d’insieme che tende comunque più al rilassamento, dovuto alla distribuzione omogenea di colori e particolari.
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Beethoven Ludovicus Van Beethoven (1770-1827) figura chiave nella storia della musica, compositore ed inizialmente esecutore tedesco, segnò il punto di passaggio fra il classicismo ed il romanticismo in maniera cosciente ed indelebile. Ludwig nasce e cresce guidato da un padre organista di corte, dedito all’alcool, che tenterà a tutti i costi di far diventare il figlio l’erede di Mozart. Poco più che maggiorenne perde la madre, notato da Haydn, si trasferisce a Vienna. Con l’avvento del nuovo secolo comincia ad essere apprezzato e capisce di stare perdendo l’udito, accusato di misantropia riesce a uscire dal periodo buio attraverso la fase chiamata “eroica” che lo condurrà fino alla maturità artistica. Giunto alla sordità completa perde il fratello di cui prende in affidamento il figlio e colpito da una grave malattia si inoltra in una fase spirituale-cristiana. Compone la Missa Solemnis e la Nona Sinfonia a conclusione di un percorso creativo assoluto. Dopo il tentato suicidio del nipote si ammala e nel giro di pochi mesi muore. Permeata dall’alone romantico la figura di Beethoven, uomo del suo tempo che seguì le vicende politiche della rivoluzione francese e ne subì le conseguenze versando in pessime condizioni economiche, incarnò spesso posizioni da outsider e si avvicinò a parti della filosofia kantiana, alla figura di Goethe ed alle composizioni di Schiller. L’aspetto da non sottovalutare nella sua figura è l’importanza della sordità (forse dovuta ad una intossicazione da piombo che sembra l’abbia accompagnato fino alla morte) che contribuì a dare rilevanza e interiorità alle sue composizione [RICOSTRUZIONE E RICONOSCIMENTO CAUSALE/FORMALE]. Nel caso di Beethoven più che parlare delle innovazioni a livello tecnico, è utile sottolineare l’approccio all’arte. Nel corso della sua esistenza furono due i momenti di tensione e rilassamento: la scoperta della sordità risoltasi con l’impegno e la morte del fratello/sordità completa contrastata da una forte accentuazione spirituale. E’ evidente dall’enorme quantità di informazioni sulla sua biografia, che l’artista soffrisse di forti sbalzi di umore di stampo (apparentemente) caratteriale che lo portavano ad un continuo oscillare fra soddisfazione e frustazione[DUALITA’ PULSIONALE].
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“ Quartetto per archi in Si Bemolle Maggiore Op.133. La grande fuga” “Quartetto per archi in Si bemolle Maggiore Op.133”(1825) una delle ultimissime opere di Ludwig van Beethoven, divenuta famosa per le difficoltà d’esecuzione. Originariamente finale del quartetto d’archi n.13, l’editore insistette affinche venisse sostituito in quanto inaccessibile sia al pubblico che agli esecutori. L’autore accettò la richiesta e pubblicò la fuga come opera a se stante. La critica è alquanto controversa sul giudizio, va dal parere di Louis Spohr “..un indecifrabile, incomprensibile orrore” a Stravinskij “il più perfetto miracolo della musica.(...) Musica contemporanea che rimarrà contemporanea per sempre”. Il quartetto si apre con l’esposizione dei soggetti, della durata di 24 battute, che sfocia in una doppia fuga incalzante, caratterizzata da forti cambi di tonalità e da serie continue di dissonanze. Convivenza tra fuga, sonata e variazione che porta ad un finale improvviso ed inatteso. Stasi ritmiche, sforzati inattesi ed indicazioni agogiche inframmezzate. Il punto di stacco fra Beethoven classico ed il Beethoven tardo è la “riuscita”. E’ facile notare come l’autore riesca a dimostrare che si può anche infrangere le strutture, pur rimanendo nell’omogeneità e nel rigore. Il suo stile tardo è caratterizzato[SUONEMA] da sottigliezze ed ambiguità formali, dallo scontro fra i due poli compositivi[OPPOSTI]. Interruzioni improvvise, uso di formule convenzionali voluto, scontro fra soggetto ed oggetto (monodia-polifonia), eloquenza che sostituisce la melodia, frammentarietà, ritmo armonico “turbato”. Minimalismo inteso come anti-decorativo. Rarefatto, enigmatico. Morte, o contrazione, dell’armonia. Nella fase classica tonalità come soggetto o personalità, nel periodo tardo scomparsa della tonalità, prìncipi di autoformazione, scomparsa del compositore. I punti principali di tensione risiedono nell’ouverture, dove i soggetti appaiono “nudi” ed “indifesi”, apparentemente inconciliabili; l’inizio della prima fuga è complice, insieme alla sua ricomparsa inaspettata ed incompleta, del momento di massima tensione del brano, dove paradossalmente i momenti di rilassamento diventano le lunghe parti di fugato che lasciano il fruitore vittima dell’ascolto(vedi partitura).
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Ornette Coleman Ornette Coleman (1930) Sassofonista e compositore statunitense, uno dei maggiori innovatori del free jazz. Non si sa molto sulla sua infanzia, comincia a suonare il sax alto all’età di 14 anni ed il tenore a 16. Lanciato da John Lewis del Modern Jazz Quartet, inizia la sua fase compositiva discografica (ATLANTIC), insieme a Dolphy, Hubbard, La Faro e Garrison. Nella metà degli anni sessanta comincia a suonare la tromba ed il violino, e con un nuovo trio (Izenzon, Moffett) registra un paio di set brillanti. Verso la fine del decennio comincia a suonare con il figlio Denardo ed a scrivere temi classici per musica da camera. Nei primi settanta forma il doppio quartetto Prime time, e rimane coerente alla sua filosofia musicale per tutti gli anni novanta registrando con la Verve, fino ai giorni nostri con il disco Sound Grammar che gli è valso il pulitzer per la musica e la nomination ai Grammy awards come miglior disco jazz strumentale. In seguito ad alcune esperienze con il Rythm and Blues rimase affascinato dai boppers, ma frenato dalle difficoltà tecniche e dall’apprendimento inventò un nuovo sistema musicale, l’armolodia, tecnica che lo condusse a contrasti con il pubblico e gli altri musicisti [INTERPLAY]. Coleman come tutti i grandi della musica jazz, e della musica in generale, sfrutta un segno distintivo [STILEMA] che lo rende facilmente distinguibile all’ascolto e preziose le sue collaborazioni con artisti del calibro di Charlie Haden, Don Cherry, Paul Bley e Pat Metheny. Coleman prende alla lettera il concetto ultimo di jazz, e lo porta all’esasperazione, la libertà. In seguito estenderà il suo stile al free funk oltre ad alcune forme di Avant-garde jazz. La sua influenza renderà “standards” alcuni dei suoi brani (Lonely woman, Turnaround, The blessing...) e porterà John Zorn a registrare un album di 17 brani di Coleman in una visione quasi trash-metal e Richard Greene a farne una versione country.
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“Free Jazz” “Free jazz - A collective improvisation” (1960). Il primo disco jazz di improvvisazione continua, con questo titolo programmatico Ornette Coleman ed il suo doppio quartetto (Don Cherry, Scott La Faro, Billy Higgins, Freddie Hubbard, Eric Dolphy, Charlie Haden e Ed Blackwell) il jazz mosse un ultimo passo in direzione della musica moderna, svincolato dalle tradizioni del jazz, come beat, chorus, armonia tonale. Quaranta minuti durante i quali, la struttura polifonica si raffina con brevissime imitazioni e con veloci reazioni nell’esecuzione collettiva. Le sezioni ritmiche suonano in un tutt’uno che accompagna l’intera improvvisazione con un ritmo pulsante e coinvolgente. Le sei sezioni chiave sono chiamate dai fiati a turno, i “soli” non sono altro che un dialogo vero e proprio dentro il quale gli altri musicisti sono liberi di interagire come meglio credono (accentuando, spingendo o puntualizzando le idee musicali del “solista”). Considerato che non c’era un’idea chiara di quale strada dovesse prendere questa registrazione, ogni musicista ha semplicemente apportato il proprio stile precedentemente acquisito nell’insieme, questo comportò la presenza di elementi convenzionali e melodie nelle singole voci, elementi che rendono Free jazz molto più accessibile rispetto a molti altri album venuti in seguito sulla sua falsa riga[SERENDIPITY]. All’interno di Free jazz si possono distinguere diverse fasi di tensione e distensione, dovute all’alternarsi tra lo sviluppo delle sezioni ritmiche senza sostegno armonico-melodico ed i momenti di distensione dopo il “tutti”. La frenesia si trasforma nuovamente in tensione fino al punto di sciogliersi quasi miracolosamente grazie all’ingresso delle sezioni armonico-melodiche. Ciclo che si ripete all’interno del brano tre volte, finale incluso. All’interno di questo groviglio sonoro, bisogna riconoscere dunque che esistono meccanismi ben precisi [STRUTTURE] oltre quelli dati (forse erroneamente) per scontati di tempo ed interplay, che sono facilmente rappresentabili in forma ciclica ed accomunabili all’idea di ordine e caos. L’idea della tensione raramente in altri generi musicali si esprime in maniera tanto vasta e sofisticata, come nel jazz, specialmente nel free.
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Somme visive Volendo sovrapporre i risultati analitici delle opere grafiche “Belvedere” e “ Riposo durante la fuga in Egitto” una volta superata la fase del porsi nell’ottica di comparare due opere distanti più di tre secoli e mezzo l’una dall’altra, non si può fare a meno di notare che in entrambi i dipinti emergono l’aspetto razionale/realistico ed emotivo/spirituale; un altro punto in comune è la presenza di uno sfondo naturale alle spalle del focus “scenografico”; ambedue gli autori hanno inserito all’interno della scena dei personaggi di entrambi i sessi, dal bambino all’anziano ed il contesto storico e geografico (spazio-tempo) risulta facilmente individuabile. Per quanto riguarda l’aspetto “tensivo” possiamo rilevare, la comune esistenza di un nucleo di assorbimento centrale e di altri periferici di diversa natura; ed in entrambi i casi l’aspetto distensivo è rilegato alla sfera “naturale”, all’ambito preliguistico o ad escamotage tecnicamente propedeutici. Il fulcro tensivo delle opere viene creato attraverso l’uso di contrasti (semiotici-semantici) che sfruttano la loro capacità di attraversare indisturbati i pensieri dello spettatore. Per quanto riguarda un idea più strutturale dei punti di forza precedentemente analizzati, ruotando “Belvedere” di 90° gradi sulla destra (e viceversa) , vengono a coincidere quasi tutte le linee di forza e i punti di tensione come a voler sottolineare, un aspetto quasi necessariamente piramidale delle strutture “tensive”.
Spunti Andando invece ad indagare nell’ambito soggettivo, oserei dire estemporaneo, durante il corso delle analisi biografiche e testuali naturalmente sono venuti fuori degli spunti per approfondimenti e notazioni che gradirei citare. L’insieme degli spunti segue le stesse regole di questa relazione, vale a dire associare per vie simboliche questi due testi ad altri testi. Nel caso di Escher, non ho potuto non notare le verosimiglianze tra la sua opera e quella di Bach, in particolar modo per quanto riguarda “L’offerta musicale(ricercare)” nell’amore per i rebus, gli incastri, le sfide “illuministiche” razionali e la capacità di conciliare l’aspetto speculativo ed artistico della creatività. Per quanto riguarda la biografia di Caravaggio in particolar modo per la visione che se ne ha nell’omonimo film di Derek Jarman(1986) è incredibile come il suo attaccamento ad un fantomatico pugnale/coltello mi abbia rimandato a “Il coltello nell’acqua” film di Polanski (1962) ed alla simbologia connessa all’oggetto in questione in entrambi i casi.
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Somme auditive Per quanto riguarda l’analisi dei due brani “Quartetto per archi in Si bemolle maggiore Op.133 La grande fuga” e “Free jazz a collective improvisation”, bisogna innanzitutto sottolineare che se pur sia passato “solo” un secolo fra le due creazioni, i testi appartengono a due realtà comunemente definite antipodistiche. Nonostante questo in entrambi i casi stranamente le opere sorgono circondate da un dissenso largamente diffuso ma nel giro di relativamente poco tempo su queste opere si è detto che hanno contribuito alla concezione di musica moderna comune in maniera determinante. Sia in un caso che nell’altro si tratta di opere di ampia durata (21 minuti il quartetto contro i 36 dell’improvvisazione) e di forte coinvolgimento emotivo. In ambedue le analisi si parla di morte dell’armonia, di rarefazione, di frammentarietà, di dissonanze e di cambi di tonalità improvvisi. Sotto molti aspetti l’opera degli autori presenta forti connotazioni politiche-sociali e di denuncia. Volendo invece azzardare una “faziosa” gara di originalità sembrerebbe avere la meglio Beethoven, in quanto arriva a concepire l’uso di formule convenzionali volutamente mentre nel caso di Coleman ciò avviene in maniera sicuramente meno prestabilita. Come abbiamo potuto notare, i punti di tensione risiedono principalmente nell’esposizione dei soggetti, che divengono la parte “cantabile” dell’opera che altrimenti per ampiezza e varietà risulterebbe mnemonicamente inafferrabile. Non credo sia troppo azzardato fare un paragone fra il periodo fugato del quartetto e la frenesia presente all’interno dei lunghi periodi di improvvisazione del free jazz, in entrambi i casi infatti seguono un periodicità tensiva ciclica, che porta naturalmente al paragone. Mentre però il periodo distensivo sembrerebbe essere in Beethoven la parte fugata, in Coleman risiede nel momento di chiusura della “fuga”, discrepanza forse dovuta alla maggior fluidità del periodo caotico classico, rispetto alla non sempre presenza di omogeneità durante i blocchi improvvisativi del “doppio quartetto”.
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Audio Vs Video (confronti) Caravaggio - Riposo durante la fuga in Egitto (1594) Beethoven - Quartetto per archi in si bemolle maggiore Op.133 (1825) Escher - Belvedere (1958) Ornette Coleman - Free jazz (1960) Volendo cominciare con una nota cabalistica, quattro sono i personaggi scelti dal Caravaggio e quattro i musicisti del Quartetto di Beethoven, dove otto sono i personaggi del “belvedere” ed otto sono i musicisti del doppio quartetto di Coleman. Per quanto riguarda il contesto biografico degli autori, si rivela sempre di fondamentale importanza l’influenza politica e sociale ai fini delle opere, quasi a sottolineare come la sensibilità spesso sia il punto di forza dell’artista [arte che nasce da una complessa angoscia dell’uomo]. In entrambe le arti sembra che l’indicibile si esprima attraverso ambedue le sue accezioni, bene e male, bianco e nero, razionale ed emotivo, soggetto ed oggetto ma anche consonanze e dissonanze, ritmia ed aritmia, “ritornello” ed “esposizione” [DUALITA’]. Al tempo stesso possiamo notare come l’aspetto spirituale presente nelle due opere “classiche” venga meno o a modificarsi in razionale nelle opere “contemporanee”, particolare interessante e probabilmente espandibile ad una ricerca più ampia. Per quanto concerne l’aspetto “tensivo” si rileva una maggiore predisposizione al concentrare la tensione in un nucleo centrale da parte delle opere pittoriche rispetto al distribuirle più o meno ciclicamente all’interno del testo musicale. Anche se comunque sono presenti delle congruenze che vertono sempre sull’uso dei contrasti e di strutture atti a guidare l’at.tenzione del fruitore più verso una fase di rilassamento o di concentrazione. In entrambe le opere sono presenti dei “protagonisti” che possono essere i soggetti musicali o il nucleo principale dell’immagine pittorica, e quasi sempre il maggior punto di tensione ruota intorno a questi protagonisti, evidenziando come non solo nelle arti letterarie, ma ancora una volta in tutti i testi gli aspetti principali siano in larga parte comuni e diffusi.
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Stretta finale
“In ogni testo c’è una struttura, in ogni struttura esistono tensioni e
distensioni.”
La mia teoria consiste nel considerare all’interno dei testi uno specifico momento di tensione, facilmente individuabile che nella maggior parte dei casi risiede nell’ambito dell’oggettività o dell’inter-soggettività. Raramente questo momento, che per comodità ed efficacia definisco “orgasmo”, è un evento soggettivo. L’orgasmo è dunque il principio ordinatore che rende facenti parte tutto quello che c’è prima e dopo una sequenza. Nei testi analizzati abbiamo notato come sia presente in maniera evidente e funzionale ai fini estetici, e conferisca ai testi una caratterizzazione altrimenti scialba e povera di spunti simbolici. Da non sottovalutare in tutti i testi la fase di “riassesto” che funge dunque da collante tra il momento di massima tensione ed il relativo rillassamento, ma che si può anche facilmente individuare nei punti di tensione periferici. Questa teoria va ad avvalorare l’idea di Barbieri ampliandola sfruttando il supporto dato dall’idea di spannung. Da questo rileviamo dunque un quadro prospettico-strutturale del testo ancora più ampio che ci permette di concepire non solo un livello bidimensionale di tensione, ma una vera e propria gerarchia all’interno della quale è possibile condurre studi ed analisi ancora più approfondite. w
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